Ventotene, la mia isola di Redazione Nautica il 30 Ott 2024 a cura di Rino Esposito Siamo ormai quasi a fine agosto e le giornate si stanno accorciando, ma un sole ancora caldo incombe sul tiepido mare del Circeo. Una sera dopo cena, con il mio amico Roberto e sua moglie Raffaella, che nei porti è quella che dirige le manovre, cominciamo a pensare che una puntatina a Ponza di quattro-cinque giorni con il loro Bavaria 33 sarebbe ancora molto piacevole. Il Bavaria 33 di Roberto e Cristina a Lacco Ameno d’Ischia E poi dal fiume Badino – dove è attraccata la barca – a Ponza, sono solo 25 miglia, poco più di un’ora di navigazione. Per noi non ci sono soltanto le piacevoli serate in qualche ristorantino sul porto borbonico o alla stupenda Cala Feola: per esempio, sono sempre state fantastiche le mattinate che abbiamo trascorso ancorati davanti alla cosiddetta “spiaggia del francese” a Palmarola, che è forse l’isola più bella del Mediterraneo, dove la barca galleggia su un trasparente mare verde che ti lascia vedere pesciolini giallo-azzurri che nuotano sul fondo. C’è anche il ristorantino che dà il nome non ufficiale al luogo, aperto tantissimi anni fa da un ponzese emigrato in Francia e poi tornato alla sua isola. Fatto sta che, un paio di giorni dopo, con uno stupendo mare calmo, salpiamo da Badino, prua per 210, diretti a Ponza, con il suo pittoresco paese che, realizzato durante il periodo della colonizzazione borbonica dei primi decenni del ‘700, vanta un’architettura armoniosa che lo rende uno degli approdi più piacevoli della costa tirrenica. Unico non trascurabile problema: la difficoltà di trovare un attracco per la notte. Non ci sono posti nel porto borbonico che, riservato ai pescherecci locali, occupa la parte più coperta dell’insenatura, mentre tra il molo frangiflutti e S. Maria, dove ci sono cinque o sei pontili, il ridosso è scarso in particolare al vento da Est. Non succede spesso, ma quando in serata invece del solito leggero maestrale si alza il levante, nell’insenatura scoppia un caos infernale, con le barche che cercano di entrare nel piccolo porto borbonico o si dirigono verso l’altro lato dell’isola esposto a ponente. Una sera, anni fa, ci siamo capitati e per nostra fortuna e per le informazioni sulle previsioni del tempo avute dalla Capitaneria di Porto, abbiamo anticipatamente cercato riparo nel porticciolo, assistendo poi in serata a scene fantozziane con barche allo sbando, una delle quali finita addirittura sugli scogli alle grotte di Pilato nel tentativo di raggiungere Chiaia di Luna. Per fortuna in questi giorni non è prevista alcuna levantata, ma il vero problema è un altro: non c’è posto per l’attracco notturno da nessuna parte, neanche al pontile di Porzio a S. Maria che, essendo il più distante dal centro di Ponza, offre qualche possibilità in più. Le nostre signore non se la sentono di passare la notte ancorati nell’insenatura, come fanno tante barche, perche lo ritengono pericoloso. Ventotene – Il Porto Romano Ragioniamo quindi sull’ipotesi di raggiungere Chiaia di Luna solo per un bagno e, dopo aver mangiato qualcosa, di salpare per Ventotene, distante una ventina miglia. Per sicurezza, telefoniamo al nostro amico Modesto che ci assicura l’attracco al suo pontile galleggiante, al Porto Nuovo di Cala Rossano. Ma per esperienza sappiamo che di sera non è difficile trovare un posto laddove di giorno attraccano i traghetti o l’aliscafo, ovviamente con l’obbligo tassativo di andarsene non oltre le otto del mattino dopo. Certo Ventotene, la Pandataria degli antichi romani, che è poco più di uno scoglio in mezzo al Tirreno, non è vivace ed esuberante come Ponza, ma per chi come noi ha superato i vent’anni da parecchi lustri non è un problema. È comunque un’isola piena di vita che non a caso ha conservato una bella anima partenopea, dato che ai primi del ‘700 i Re di Napoli la ripopolarono con 28 famiglie di agricoltori provenienti dalle fertili pianure campane, dopo che per oltre mille anni era rimasta una piccola isola dimenticata, una stupenda oasi di pace e natura. Arrivando dal mare, infatti, si nota subito la tipica architettura borbonica delle case che, appollaiate su una roccia di tufo, emanano un fascino antico. Dunque, verso le tre del pomeriggio leviamo l’ancora da Chiaia di Luna, sotto un sole ancora caldo che ci trasmette energia. Sul cruscotto c’è un nuovissimo plotter che ci dà tutte le indicazioni necessarie per raggiungere la nostra destinazione. Dopo una mezz’ora avvistiamo lo scoglio della Botte, in una zona in mezzo al mare molto frequentata dai pescatori: infatti incrociamo un paio di gozzi che stanno rientrando a Ponza. Ancora una mezz’ora di navigazione, una piccola deviazione per arrivare da Nord-Ovest dritti sul Porto Nuovo e vediamo la sagoma di Ventotene allungata sul mare come una balena che naviga verso ponente e, sulla sinistra, alto come un bastione, l’isolotto di S. Stefano col suo vecchio carcere borbonico ora abbandonato, anche se ha avuto ospiti illustri nel recente passato. Non dobbiamo dimenticare che in quel carcere è nata la prima idea di Europa Unita con il famoso “Manifesto di Ventotene” di Altiero Spinelli. Entriamo e, con l’aiuto del gommone della marina, attracchiamo al lato sud del pontile di Modesto, quello normalmente utilizzato da barche di 8-10 metri, dove troviamo subito un lungo tubo di gomma con il quale fare una rapida doccia rinfrescante. Ventotene – Porto Romano e il faro Verso sera, per salire al paese, attraversiamo l’antico porto romano, opera di ingegneria ancor oggi perfettamente agibile con le sue vecchie bitte per l’attracco delle triremi. L’abitato è in alto, su una piccola rupe, con le case di tanti colori pastello: dalla piazza del Municipio, con i bambini che si rincorrono, si domina la spiaggia di Calanave con i suoi ristorantini sistemati sulla scogliera che rendono gradevoli le fresche serate con la loro luce riflessa sul mare calmo della sera. Ma la dolce atmosfera è resa più piacevole da una aragosta pescata all’alba o da una succulenta zuppa delle famose lenticchie locali: come avrete capito non è solo amore per il mare. Il mattino dopo decidiamo di rivolgerci a una cooperativa di pescatori che portano turisti a fare il giro dell’isola e il bagno in calette non facilmente raggiungibili, nonché, volendo, portano i sub nei migliori punti di immersione (al porto romano c’è un’ottima scuola per i sub). Conosciamo così Gianmarco e il suo Apreamare di 7 metri e mezzo – “L’Evaso” – che impegniamo per tutta la mattinata. Imbarchiamo senza indugio e partiamo per la gita. Doppiata punta Eolo verso Nord, la nostra guida ci porta a vedere i resti di Villa Giulia, villa imperiale fatta costruire da Augusto nel 27 a.C. con le sue terme per l’otium estivo della sua corte. Anche se i resti sono modesti, si intuisce la struttura monumentale che ospitò nel tempo varie donne delle famiglie imperiali: Giulia, Agrippina, Livilla, Ottavia e Flavia Domitilla per vari motivi subirono la sorte dell’esilio in un angolo di paradiso. Dopo il periodo romano seguirono secoli di abbandono e saccheggi fino alla fine del ‘700, quando un Lord inglese, per dono del Re Ferdinando IV, portò in Inghilterra i marmi della villa sopravvissuti al tempo. Superata Villa Giulia e l’insenatura di Parata Grande, Gianmarco ci porta in una caletta sotto punta Pascone per un bagno in un’acqua verde smeraldo. Costeggiamo poi alte scogliere di lava (diecimila anni fa l’isola era un vulcano attivo) e arriviamo all’estremo sud-ovest dell’isola, a Punta dell’Arco. Ci fermiamo per un altro bagno in una specie di piscina naturale, chiusa da una scogliera e profonda 5-6 metri, che ti lascia vedere sul fondo le donzelle pavonine, piccoli pesci coloratissimi. Salpiamo poi per la vicina isola di S. Stefano, avvicinandoci laddove inizia il sentiero che porta su al carcere. Ma non possiamo attraccare e scendere a terra perché ci vuole un permesso speciale. La struttura era stata concepita ed edificata alla fine del ‘700 dagli architetti dei Borbone su progetto del Maggiore Antonio Winspeare che con l’architetto Carpi redasse anche il piano urbanistico del paese di Ventotene, con le bellissime rampe che dal Porto Romano portano su al paese. La struttura del carcere era stata concepita come un esperimento illuminista, propugnato dal filosofo inglese Jeremy Bentham, che aveva ideato un carcere ideale, detto Panopticon, che prevedeva una struttura semicircolare, facilmente controllabile, per dissuadere i detenuti a compiere atti di ribellione. Si voleva creare un carcere modello in cui espiare la giusta pena. Invece, diventò presto un luogo angosciante per tanti ergastolani, con devastanti effetti psicologici anche perché dalle alte finestre delle celle non si poteva neanche vedere il mare. Un dato impressionante rivela che intorno alla metà dell’Ottocento in pochi anni morirono più di mille detenuti, e non per morte naturale. Il carcere fu chiuso nel 1965 per un decreto che imponeva la chiusura di strutture inutilmente punitive. Mentre rientriamo a Ventotene, Gianmarco ci racconta la storia di un suo bisavolo, che, per quanto ci sia sembrata condita di molta fantasia, vale comunque la pena di raccontarla. Questa: nel corso degli anni, dal carcere c’erano state evasioni di massa finite nel sangue, ma c’erano state anche fughe isolate finite con l’arresto del fuggiasco o con la sua morte in mare nel tentativo di arrivare a nuoto nella vicina isola di Ventotene. Dopo l’Unità d’Italia, con l’arrivo dei piemontesi che sostituivano la guarnigione borbonica, nella confusione che si era creata, un detenuto che lavorava nell’orto riuscì a raggiungere a nuoto la parte disabitata a Sud dell’isola, trovando rifugio in una grotta. Sopravvisse pescando qualche pesce, raccogliendo frutta e bevendo l’acqua che colava da una roccia. Dopo qualche settimana le ricerche dell’evaso furono abbandonate ritenendo che fosse affogato nella traversata. Invece, con l’aiuto di una ragazza del paese, egli riuscì a restare ben nascosto fino a quando, dato il profondo legame che intanto era nato con la ragazza, fu accolto dalla sua famiglia che lo presentò, sbarbato e ripulito, come il fidanzato della figlia venuto dal continente. Finì che i due si sposarono e l’evaso continuò a vivere tranquillamente a Ventotene lavorando la terra. Insomma, una storia molto fantasiosa che però mi piacerebbe fosse vera, perché darebbe un po’ di umanità alle tragiche vicende dei condannati, a prescindere dalle loro colpe, tenuto anche conto che molti di loro furono reclusi per motivi politici. Il giorno dopo usciamo con la nostra barca anche se da Sud-Est soffia uno scirocco teso che increspa il mare. Ma nell’insenatura di Parata Grande, sul versante nord dell’isola, il mare è abbastanza calmo e così passiamo la giornata tra un bagno e l’altro, consumando bruschetta con pomodori e frutta fresca per il pranzo, nel tepore di questa lunga estate. La mattina successiva ci organizziamo con calma per riprendere la nostra rotta a Nord, verso il Circeo. Durante le due tranquille ore di navigazione rientriamo in quella magica atmosfera del mare aperto, in cui i giorni non hanno più ore e diventano una dimensione in cui il tempo scompare. Questo articolo ti è piaciuto? Condividilo!