Tristan Da Cunha: l’arcipelago dimenticato di Simone Repetto il 31 Mar 2020 Sommario Tristan viene considerata l’isola più remota del pianetaLe isole dell’arcipelagoIl risveglio del vulcano a TristanGianfranco Repetto: a Tristan la ricerca delle proprie origini Tristan viene considerata l’isola più remota del pianeta La comunità considerata la più remota del pianeta sopravvive aprendosi con estrema prudenza al turismo e al “mondo di fuori”. Senza mutare la sua essenza e le sue tradizioni. Le isole lontane hanno sempre esercitato un fascino particolare nell’immaginario collettivo. Un senso di avventura e di mistero, fin dai tempi in cui le prime mappe segnalavano quei puntini in mezzo agli oceani. Fazzoletti di terra che, con lo svilupparsi dei viaggi e dei trasporti, hanno rappresentato la meta di turisti e diportisti in cerca di emozioni e destinazioni fuori dal comune. Una di queste, ancora oggi, ospita la comunità considerata più remota al mondo. E’ Tristan da Cunha, l’isola maggiore di un piccolo arcipelago situato a Sud-Ovest dell’Africa, poco sotto i cosiddetti “40 ruggenti”, a una latitudine che i navigatori più temerari ben conoscono per le frequenti tempeste che l’attraversano. Tra questi, nel 1506 ci fu il portoghese Tristão da Cunha che, veleggiando nelle vicinanze, la descrisse per la prima volta e le dette il suo nome. Le altre terre abitate più vicine, l’Isola di Sant’Elena a Nord, il Sud Africa a Est e il Brasile a Nord-Ovest, distano rispettivamente oltre 1.300, 1.500, 1.800 miglia. Tristan, territorio britannico d’oltremare, ha una superficie di 98 chilometri quadrati e un vulcano attivo che supera i 2.000 metri di altezza: il “Queen Mary’s Peek”. Le isole dell’arcipelago L’unico centro abitato è Edinburgh of the Seven Seas (nome assegnato dopo la visita del Principe Alfredo, Duca di Edimburgo, nel 1867), chiamato dalle circa 250 persone che lo abitano “The Settlement”. Le altre isole dell’arcipelago, più piccole e disabitate, sono Inaccessible, Nightingale e Gough, quest’ultima distante circa 220 miglia a Sud-Est, nella quale si trova una stazione meteorologica gestita da personale sudafricano. L’arcipelago di Tristan è formalmente dipendente dal governo dell’isola di Sant’Elena (altro territorio britannico d’oltremare), anche se nel 2002 ha ottenuto una certa autonomia, con un amministratore e un consiglio della comunità, una legislazione apposita, una bandiera e uno stemma. Nello scudo centrale vi sono degli albatri, grandi uccelli marini presenti in quantità e nidificanti nell’arcipelago, mentre ai lati spiccano due aragoste. Rappresentano la specie endemica jasus tristani. In alto, compare la barca a vela tipica degli isolani, chiamata “long boat”, con prora e poppa rastremate, simile a un gozzo. In basso, c’è invece una frase che riassume lo spirito della comunità: “Our faith is our strength”, ovvero “La nostra fede è la nostra forza”. Una fedeltà incrollabile nei confronti di una terra remota che i tristaniani ritengono prioritaria e irrinunciabile. Dopo vari sbarchi e stazionamenti temporanei da parte di navigatori, cacciatori e militari in cerca di riparo, di acqua e di foche e dopo la realizzazione di una base logistica strategica, il primo insediamento stabile si sviluppò a partire dal 1815, quando nell’isola arrivò una guarnigione inglese, composta da militari e civili che costruirono le prime case dell’abitato. Alla ripartenza del 1817, decisero di restare William Glass e la moglie, insieme a due scalpellini. Negli anni a venire si aggiunsero altri uomini e donne che contribuirono a sviluppare una collettività piuttosto eterogenea, di provenienza europea e americana per gli uomini, meticcia e sudafricana per le donne. Ciò anche a causa di due naufragi, a seguito dei quali alcuni membri degli sfortunati equipaggi decisero di fermarsi. Il primo, nel 1836, riguardò la goletta americana Emily, mentre il secondo, nel 1892, fu quello del brigantino a palo ligure Italia. A seguito di quest’ultimo, Gaetano Lavarello e Andrea Repetto, di Camogli, decisero di entrare a far parte di una comunità allora costituita da una cinquantina di persone. Comunità che conobbe momenti di grande difficoltà, soprattutto quando la caccia alle balene e alle foche diminuì e Tristan venne sempre meno frequentata dalle navi di passaggio, fattore essenziale per i rifornimenti e per lo scambio di beni vari. Il risveglio del vulcano a Tristan Ma l’episodio più drammatico avvenne nell’autunno 1961, quando il risveglio del vulcano provocò terremoti e colate laviche tali da mettere in pericolo la popolazione – allora di oltre 260 persone – che venne trasferita in massa in Inghilterra, a Calshot. Per il governo britannico sarebbe stato un viaggio di sola andata, ma non per i tristaniani che, dopo aver vissuto per due anni nella moderna realtà inglese, vollero fortemente tornare alla loro isola, cosa che si realizzò nel novembre 1963. A Tristan riprese pertanto la vita, così caratterizzata da quel senso di comunità e solidarietà ancor oggi presente. Fu il fondatore William Glass a dettare le regole di buona convivenza, fatte di aiuto e scambio reciproco, eguaglianza, condivisione di incassi e spese, assenza di proprietà privata e di moneta, utilizzo dei beni in comune senza prevaricazioni o gerarchie. È grazie a questa struttura sociale che i tristaniani hanno saputo sopravvivere in un luogo non facile, con poche terre sfruttabili e, per molti giorni all’anno, impraticabile, a causa del ricorrente maltempo. Le fonti tradizionali di sostentamento sono l’allevamento del bestiame e le coltivazioni di frutta e ortaggi (in particolare le patate), oltre alla pesca di pesci e crostacei, di cui sono ricche le acque dell’arcipelago. Quest’ultimo settore è stato sviluppato negli anni, al punto da diventare la prima fonte di ricchezza per l’isola, dove è attivo uno stabilimento per la lavorazione della prelibata aragosta, che viene esportata in scatole con il marchio “Tristan Lobster”. Importante è anche la produzione di francobolli, emessi dall’ufficio postale locale e ricercatissimi dagli appassionati di filatelia. Ma è solo nel 2005 che Tristan ha ricevuto il codice postale britannico TDCU 1ZZ, così da poter sviluppare il traffico postale con maggiore fluidità, anche grazie all’introduzione nell’isola di Internet. I rapporti con quello che i locali chiamano “outside world”, ovvero il resto del mondo, sono stati sempre volutamente limitati, per non intaccare la propria specificità. Per questa ragione non si è mai pensato alla costruzione di una pista di atterraggio per velivoli e nemmeno alla realizzazione di un’infrastruttura portuale in grado di ospitare scafi di grandi dimensioni. Attualmente, è operativo un piccolo approdo dove possono accedere solo piccole imbarcazioni, costringendo le unità maggiori ad ancorare al largo. Del resto, raggiungere Tristan non è facile. I collegamenti per i rifornimenti e per gli scambi sono garantiti da pescherecci, cargo e navi da ricerca che, non oltre una decina l’anno, partono da Città del Capo a mesi alterni. Ogni traversata dura circa una settimana, i posti disponibili a bordo non superano la dozzina e la priorità è riservata agli isolani, perciò un visitatore esterno rischia di dover attendere l’imbarco oltre il previsto, mentre il suo sbarco deve essere autorizzato dal Consiglio isolano. Va detto, tuttavia, che nell’ultimo decennio c’è stata una progressiva apertura al turismo, con possibilità di soggiornare nell’isola in case tradizionali (costruite in pietra con tetto in paglia), presso famiglie o guest house. Oltre all’organizzazione di escursioni, nel “settlement” si possono visitare l’ufficio turistico e postale, il museo, il bar “Albatros” o il “Cafè da Cunha”, le due chiese (una anglicana, l’altra cattolica), acquistare souvenir (come i manufatti in lana locale o i modellini di “long boat”), giocare a golf, a calcio o tuffarsi in piscina, il tutto in modalità piuttosto spartane. All’occorrenza, è operativo anche un ospedale attrezzato, il “Camogli Hospital”, così chiamato per ricordare la città di provenienza dei due naufraghi italiani. Pinguino crestato di Moseley Poi ci sono i visitatori occasionali, quelli che sbarcano da yacht privati o da navi da crociera che seguono rotte dedicate ai fans di quelle latitudini. Come quella che, partendo da Ushuaia, in Argentina, attraversa l’Oceano Atlantico fino a Città del Capo, passando per le Falkland, la Georgia del Sud e Tristan da Cunha. E per quanto tutti gli isolani siano pervasi da un forte sentimento di accoglienza, a chi arriva si raccomanda sempre attenzione, massimo rispetto e una buona capacità di adattamento alla vita locale. Gianfranco Repetto: a Tristan la ricerca delle proprie origini “Ho finalmente realizzato il sogno della mia vita”, ha dichiarato entusiasta il camoglino Gianfranco Repetto al suo ritorno dall’isola di Tristan. Altri italiani avevano già intrapreso quel viaggio, ma nessuno con le sue motivazioni. Ha infatti compiuto una sorta di missione familiare, in quanto discendente di quell’Andrea Repetto che, dopo essere naufragato nell’isola nel 1892, decise di restarci e metter su famiglia. Repetto, ancor oggi, è uno degli otto cognomi presenti a Tristan, insieme all’altro camoglino Lavarello. Il suo viaggio è iniziato a gennaio e terminato a marzo, con qualche imprevisto. Dopo aver raggiunto Città del Capo in aereo, partendo da Genova con scalo a Monaco di Baviera, è giunto a Tristan impiegandoci due settimane, in quanto l’Edinburgh (il peschereccio che più frequentemente sbarca a Tristan) aveva avuto un’avaria nel corso della traversata ed era dovuto tornare indietro. Una volta messo piede sull’isola, Repetto ha ricevuto una meravigliosa accoglienza e ha potuto conoscere i suoi parenti prendendo parte alla vita della comunità. Ha così partecipato alle attività quotidiane, tra cui la pesca e la raccolta di patate, e si è fatto volentieri accompagnare a scoprire l’isola e il suo straordinario patrimonio naturale. Nell’arcipelago vivono diverse specie endemiche e alcuni siti sono tutelati dall’Unesco come riserve di biodiversità. Durante le scalate in quota, ha camminato in mezzo alla vegetazione tipica (soprattutto felci), ma anche osservato la variegata fauna: in particolare pinguini, otarie, leoni marini e uccelli navigatori (sterne e albatri) che non temono la vicinanza dell’uomo. Comprensibilmente, i momenti più emozionanti sono stati le visite alle tombe degli avi e al museo che conserva alcune parti del brigantino Italia e lo scambio di doni con l’amministratore dell’isola Sean Burns. Questo articolo ti è piaciuto? Condividilo!