Traina silenziosa con la barca a vela di Nautica Editrice il 21 Ago 2016 Circola ancora la voce secondo la quale le barche a vela non sarebbero adatte per praticare la pesca sportiva. Niente di più sbagliato! Direi anzi che, per alcuni tipi di pesca dilettantistica mediterranea, la vela è addirittura più funzionale di molti quotatissimi fisherman con doppia e potente motorizzazione. Perché? Perché le barche a vela: hanno quasi sempre motori ausiliari diesel aspirati di potenza non eccessiva tale cioè da consentire andature lentissime (1-2 nodi) ottimali per la traina costiera con esca naturale, ovvero un po’ più sostenute (3-6 nodi) potenzialmente buone per tutti gli altri tipi di traina; durante le crociere, soprattutto se di lungo corso, navigano sovente con o senza motore alla velocità giusta (4 o più nodi) in acque lontane e spesso inesplorate agli effetti del trolling e ove sono possibilissimi incontri entusiasmanti con i pelagici di altura (tonni, alalunghe, aguglie imperiali, ecc.); ovvero in bacini costieri privilegiati (isole e arcipelaghi) ove è tutt’altro che improbabile centrare bersagli di alto pregio sportivo e gastronomico come le palamite combattive e i dentici squisiti; sono in grado di garantire, grazie alla loro opera viva, notevolmente pronunciata, una stabilità senza confronti nell’azione di pesca a bolentino e in drifting; in verità la seconda un po’ penalizzata a causa delle sartie che limitano la libertà di movimento e della mancanza del seggiolino da combattimento; salvo poche controindicazioni possono essere agevolmente attrezzate per la pesca, in particolare per la traina. L’unico handicap, che si aggiunge a quello concernente il drifting al “molto grosso” appena accennato, riguarda i tempi, talvolta eccessivamente lunghi, necessari per raggiungere teatri di pesca molto distanti dalla base di partenza; sennonché questo problema esula dal contenuto del presente articolo che è essenzialmente incentrato sulla traina svolta, senza deviazione alcuna, sulle rotte seguite durante i viaggi di trasferimento. Agli accennati fattori concernenti la validità del mezzo nautico invelato ai fini della pesca, ne va poi sommato un altro, anche esso di segno positivo, attinente agli equipaggi: di norma l’andare a vela in crociera ha come presupposto e come stimolo una particolare forma mentis improntata allo spirito di avventura, alla ricerca di evasione dai paradigmi ricorrenti nella vita di tutti i giorni, al desiderio di scoprire il nuovo in noi stessi e nelle cose più belle che ci offre la natura; e allora possiamo ben dire che questo insieme di sentimenti e di aspirazioni si armonizza pienamente con la pratica della traina che, in definitiva, è anch’essa una proiezione del nostro interiore verso l’insolito e verso l’imprevisto. Prima di andare avanti con il discorso, penso che sia interessante rievocare un esempio di portata emblematica concernente le crociere mediterranee a largo raggio. Si tratta di questo. Un mio amico, nell’estate di ogni anno, intraprende con la sua barca a vela di 11 metri crociere familiari che lo conducono dal porto di armamento continentale (Fiumicino) alla Sardegna, o alla Corsica, o alle Baleari o ad altre isole che vengono abitualmente circumnavigate per intero. Questo mio amico ha preso l’abitudine di rimorchiare perennemente una sola traina costituita da una canna da 30 libbre, da un mulinello del 9/0, da un cuscino di lenza in dacron da 50 libbre, da 200 yards di filo metallico autoaffondante (monel), da un terminale in nylon dello 0,60 lungo 15 metri e da un’esca artificiale (Rapala) di 13-18 centimetri. Per regola inderogabile a mare ci vanno l’artificiale, il terminale e il monel (40 metri nelle traversate, 100 metri nei peripli costieri). Ebbene, con questa semplice attrezzatura il mio amico riesce spesso ad approvvigionare di pesce fresco la mensa di bordo: primeggiano i tonni di branco e le alalunghe durante le traversate, i dentici e le palamite nel corso delle circumnavigazioni insulari effettuate queste ultime con l’unica accortezza di seguire, nei limiti del possibile, la batimetrica dei -20. Sommario Come attrezzare la barca per la trainaLe attrezzature pescantiL’azione di trainaIl recupero delle prede Come attrezzare la barca per la traina Servono, per partire, un paio di portacanne amovibili (al limite ne basterebbe uno solo) con chiusura a morsetto che possono essere piazzati senza problemi sulle tubolature della battagliola di poppa.Possiamo dire che, con questo o con questi soli portacanne, la nostra barca è già pronta per cimentarsi in attività di pesca. Se però le aspirazioni raggiungono un certo livello occorreranno anche portacanne a incasso (uno centrale e due laterali); l’ecoscandaglio con allarme acustico posizionato preferibilmente in prossimità del posto di guida, il pilota automatico, la strumentazione elettronica di radio-posizionamento, la vasca per le esche vive (può bastare una bacinella di plastica da 30 litri) con presa di acqua di mare o con un modesto ossigenatore. Quasi sempre alcuni degli aggeggi appena elencati fanno già parte delle dotazioni di bordo. Di altri ammennicoli – e cioè poltrona o seggiolino da combattimento, bigo, basamenti fissi per downrigger (affondatori a palla di cannone) e per outrigger (divergenti per canne) – ne dovremo fare a meno in quanto incompatibili con le strutture e gli armamenti delle barche a vela. Se poi, oltre alla traina, penseremo di dedicarci al bolentino occorreranno ancore con braccia pieghevoli, ancorotti da scoglio e cime per l’ancoraggio (sezione: un millimetro per ogni metro di lunghezza dello scafo) di lunghezza almeno doppia rispetto a quella dei fondali prescelti per la pesca. Le attrezzature pescanti Il minimo indispensabile per una traina polivalente è costituito da una sola canna da 30 libbre con mulinello a tamburo rotante dei numeri 6/0 o 9/0 imbobinato con dacron o nylon da 50 libbre meglio se seguito da una intera bobina di monel (180 metri) di pari libbraggio; ma per aumentare le probabilità di cattura è certo più conveniente disporre anche di una seconda e di una terza canna con relativi mulinelli. Le potenze so-praindicate possono apparire un po’ eccessive; peraltro – considerata la possibilità di in-contrare prede particolarmente impegnative specie quando si viaggia con la sola vela in alto mare – sono quelle praticamente più adeguate alle nostre esigenze specifiche. E’ consigliabile che le canne siano del tipo stand-up lunghe cioè poco più di un metro e mezzo meno ingombranti di quelle normali (m 2,20-2,30) e concepite peculiarmente per il combattimento in piedi senza l’ausilio del seggiolino; è inoltre opportuno scegliere mulinelli muniti di allarme sonoro (la cosiddetta cicala) molto sonoro e perciò ben percepibile anche quando in zona pozzetto non c’è nessuno. Almeno uno dei mulinelli sarà fornito di lenza metallica come indicato sopra; per imbobinare l’altro o gli altri mulinelli sarà sufficiente impiegare il solo dacron (o nylon) appesantito, quando è necessario, con piombi amovibili. Le esche di più facile impiego e spesso anche di maggior cattura sono quelle artificiali: nel nostro caso pesci finti (minnows) con paletta metallica (ottimi i Rapala da 11 a 18 cm) e, in altura, anche le piume con testina solida da 5 a 8 cm montate su ami ad occhiello ed a gambo corto dei numeri dal 3/0 al 7/0. Ci occorrerà anche qualche altra cosetta e cioè: un grande coppo e una robusta gaffa di ferraggio con manichi lunghi tanto quanto basta per immergerli almeno mezzo metro abbondante, un giubbetto da combattimento con bicchierino e bretelle, una nutrita serie di piombi amovibili da 200 grammi in su. Se intenderemo dedicarci al bo-lentino o al drifting, le attrezzature pescanti saranno quelle specifiche per tali forme di pesca. L’azione di traina Sia a vela che a motore la nostra azione di traina incontra precisi limiti connessi alla situazione meteorologica. Orientativamente: con mare calmo o quasi calmo e vento fino a 6-7 nodi potremo impiegare tre canne; con mare formato e vento dai 7 ai 15 nodi dovremo scendere a due canne; con mare ben formato e vento da 15 a 20 nodi il massimo è rappresentato da una sola canna; oltre questo ultimo limite non si può più trainare.Se pescheremo con più di una traina e non vorremo correre il rischio di ritrovarci con le lenze aggrovigliate fra di loro, dovremo sempre recuperare, quanto meno in parte, le lenze a mare in caso di considerevole variazione di rotta: perciò attenzione ai bordi. Le frizioni dei mulinelli andranno di regola tarate su valori prossimi alla metà del carico di rottura dell’elemento più debole della lenza.In altura le lenze saranno filate a distanze comprese tra i 15 ed i 40 metri da poppa. Monteremo sia i pesci finti (dai 7 ai 18 cm) sia le piume con testina solida. I terminali di nylon varieranno dallo 0,60 allo 0,90 e saranno lunghi 4 o 5 metri. Non avremo bisogno di usare piombature. Durante le traversate il segnale principe circa la presenza dei predatori in mangianza è rappresentato dai salti degli stessi pesci ovvero dal volo concentrato e frenetico dei gabbiani che volteggiano, picchiano, si tuffano e risalgono senza interruzioni. E’ bene perciò tenere sotto attenta osservazione visiva, le acque ed il cielo vicini e lontani; e, non appena individuati detti segni, avvicinarsi quanto più rapidamente è possibile alla zona di mare interessata. Altri indizi di presenza possono essere costituiti dagli stuoli di uccelli (più sono e meglio è) posati “a bagnomaria”, ovvero dal bip-bip dell’allarme acustico dell’ecoscandaglio regolato su una profondità di 10-15 metri. Da non trascurare infine i relitti galleggianti alla deriva sotto i quali allignano di solito corpose lampughe. La velocità di traina mediamente più proficua varia dai 5 ai 7 nodi. A costa i risultati migliori si ottengono facendo viaggiare le esche sotto la mezzacqua o in prossimità del fondo. Traineremo perciò con lenze affondate mediante il monel il quale a 4 nodi (andatura più congeniale nelle acque litoranee) scende di 60 centimetri per ogni decametro immerso ovvero mediante i piombi amovibili; al riguardo è da tener presente come parametro che un piombo fusiforme di 300 grammi rimorchiato a 50 metri da poppa naviga circa 3 metri sotto la superficie. I terminali, in nylon dello 0,50-0,60, saranno lunghi una quindicina di metri. Come esche useremo esclusivamente pesci finti con paletta metallica lunghi dai 7 ai 14 centimetri; è da ricordare, allo scopo di evitare i sempre fastidiosissimi arroccamenti, che i pesci finti hanno un loro autonomo coefficiente di affondamento che varia, in rapporto alle dimensioni dell’esca e sempre all’andatura di 4 nodi, da un minimo di m 2,50 (il 7 centimetri) ad un massimo di m 3,50 (il 14 centimetri). Le lenze vanno sempre filate a distanze diverse: ad esempio una laterale a 40 metri e l’altra laterale (imbobinata con il monel) a 100 o più metri; la traina centrale, se messa in pesca, sarà portata sempre più a corto e sempre più a fondo delle laterali. Durante le crociere ci sono abitualmente delle tabelle di marcia da rispettare anche in fase di navigazione costiera per gli spostamenti da una località all’altra. Ciò può comportare la convenienza di adottare la tattica escogitata da quell’amico di cui ho parlato prima seguendo costantemente una batimetrica di potenziale validità che, di norma, varia dai 15 ai 20 metri. Questo modus operandi funziona certo meglio quando si viaggia in acque pescose quali sono di solito quelle che contornano le isole e gli arcipelaghi; ma molto meno nei bacini continentali purtroppo molto più poveri perché troppo sfruttati. Comunque, se nel nostro costeggiare ci imbatteremo in fondali particolarmente propizi quali sono di regola quelli rocciosi caratterizzati da cospicui salti batimetrici, nessuno ci vieterà, tabelle di marcia permettendolo, di insistere e persistere in loco. Il recupero delle prede Soffermiamoci ora un minuto sulle azioni successive all’abboccata, dirette al salpaggio del pesce. Sono possibili due scenari diversi. Il pesce ferrato è di taglia modesta. Ce ne renderemo conto immediatamente per la limitata violenza dell’impatto: il filo fuoriesce lentamente dal mulinello, ovvero non fuoriesce affatto mentre la canna si flette moderatamente e vibra appena un poco. In tal caso, sia a vela che a motore, ridurremo o cercheremo di ridurre la velocità della barca e daremo subito corso al recupero accostando a destra o a manca per ridurre la trazione. Se il comando direzionale è affidato alla barca basterà una sola persona che potrà lavorare con la canna ed il mulinello e, contemporaneamente, agire sulla barra stessa servendosi delle gambe. Se viceversa c’è la ruota sarà bene che un membro dell’equipaggio si metta ai comandi. Ove la barca stia navigando con il pilota automatico, la soluzione del problema recupero sarà notevolmente facilitata. Di norma le prede minori vanno “volate” direttamente a bordo. Il pesce ferrato è di buona stazza. Anche in questo caso l’indicazione dell’evento fuori ordinanza ce la fornirà la velocità di scorrimento del filo scandita dal rabbioso e costante gracidio della cicala. Ecco il da farsi: – se andiamo a vela metteremo un attimo la prua al vento per accendere il motore e per serrare la frizione del mulinello quanto serve; prenderemo poi la rotta che consente di procedere all’andatura più lenta, cominceremo a ridurre la superficie velica esposta, recupereremo le lenze non impegnate. Solo dopo essere rimasti a secco o quasi a secco di vele potremo provvedere al salpaggio; in questa fase faremo evoluire la barca e stringeremo o allenteremo la frizione quanto serve in rapporto al comportamento del signore che sta attaccato all’estremità del filo. E’ importante non mandare la lenza in bando ad evitare che il pesce possa cambiare senza fatica la direzione di fuga e riuscire così a liberarsi dell’amo o dell’ancoretta. Le operazioni di emergenza da effettuare sulla velatura sono le seguenti: a) fiocco in bando; b) scotta e randa allascate al punto di assicurare, avuto riguardo alla direzione ed alla forza del vento, una certa governabilità della barca. E’ ovvio che, nelle menzionate evenienze, avranno maggiori possibilità le unità fornite di equipaggi numerosi e bene affiatati. Qualche esercitazione di prova con correlativa assegnazione di ruoli precisi a ciascuna delle persone imbarcate non guasterà mai. – Se invece navighiamo a motore tutto diventa più semplice.Nell’uno e nell’altro caso ricordiamoci sempre che il pesce in canna non ha alcuna intenzione di arrendersi e che, se non vogliamo perderlo, dovremo farlo stancare parecchio senza mai serrare a morte la frizione del mulinello prima di portarlo sottobordo ove, alla vista ravvicinata dello scafo, scatenerà tutte le sue residue energie spesso ancora incredibilmente possenti.Le prede di taglia, diciamo dai cinque chili in su, non vanno né coppate né tantomeno “volate”. Ci vuole un deciso colpo di raffio inferto con forza possibilmente nella parte dorsale anteriore del corpo. Quello che abbiamo descritto finora può, entro certi limiti, essere fatto anche impiegando robuste traine a mano; con le quali non potremo utilizzare il monel, correremo in maggior misura l’alea di ritrovarci con la lenza spezzata e dovremo rinunciare a priori alla esaltazione della sportività della pesca. Ma tant’è: meglio le traine a mano che niente. Questo articolo ti è piaciuto? Condividilo!