Ricciola, la regina del blu, tecniche di pesca di Nautica Editrice il 21 Ago 2016 La maggior parte dei trainisti, seguendo l’evoluzione della tecnica, aiutati da scandagli digitali, loran sempre più precisi, GPS, “down trigger”, canne in carbonio, mulinelli a leva, tentano in autunno l’insidia a questo splendido abitante degli alti fondali. Ma il problema principale da risolvere rimane pur sempre l’esca che, per gli esemplari adulti, può solo essere naturale e preferibilmente viva.A fine agosto i banchi di aguglie, in perenne ricerca di novellame, si fanno sempre più fitti e voraci, considerando anche la discreta taglia raggiunta. Lo stesso dicasi per le ricciole, l’anello seguente di questa gigantesca catena alimentare. I branchi di questi argentei carangidi nuotano veloci lungo le coste del nostro Tirreno, sfiorano i precipizi della Corsica, della Sardegna, della Sicilia. Leggendari gli incontri nelle isole più a Sud, come Lampedusa, dove gli esemplari più cospicui abbondavano, sulla secca di mezzogiorno o a Lampione, in gruppi così numerosi da cambiare il blu del mare in una nuvola d’argento. Ma la pesca distruttiva con quintali di tritolo, seguita in questi ultimi anni dalle reti di circuizione che si chiudono come un gigantesco sacco ed in ultimo l’inquinamento crescente, hanno dato un duro colpo alla progenie di questa regina delle isole. Nell’Arcipelago Toscano con Elba e Giannutri in testa, l’incontro in autunno era scontato e non certo occasionale com’è attualmente. La pesca a traina di questo pesce è diventata quindi più difficile e le opportunità che si presentano devono essere affrontate senza commettere errori con l’esca migliore, cioè l’aguglia viva. E’ facile procurarsene a traina con canna da spinning intorno ai m 2,10 e mulinello da lancio leggero, fissando al finale del 0,18 con un amo dell’8, una piccola ranfa di calamaro o una striscia di pelle di pesce; ottimi anche gli anellidi marini come il muriddo e il verme coreano. Più difficile è tenerle in vita: una vasca per il vivo di ampie dimensioni, dotata di ossigenatore ed alimentata da un flusso costante di fresca acqua marina, è il sistema più adeguato. La montatura deve essere robusta e regolabile, con dueami bianchi del 3/0 a gambo corto fissati sul finale raddoppiato oppure su uno spezzone di dacron da 80 o 130 Lbs. L’amo di trasporto da fissarsi sul becco deve essere sottile, per non ferire mortalmente l’esca. Se si usa un amo grosso, lo si deve legare sul becco; questo sistema è consigliato se si devono insidiare gli esemplari più grandi che sono soliti attaccare l’aguglia sulla testa. C’è chi utilizza altre esche naturali come il cefalo e l’occhiata, a volte più facilmente reperibili; sono entrambe più resistenti e quindi più adatte per la pesca da fermo ed a corrente. Ritengo però che l’aguglia sia l’esca migliore, e considerando il fatto che i grandi branchi di ricciole seguono gli spostamenti delle aguglie, se non ci sono queste ultime non ci sono neanche le ricciole, o almeno ci sono solo quegli animali che precedono o seguono il flusso del grande passo e i rari esemplari che hanno deciso di eleggere il loro stabile domicilio, indipendentemente dai passaggi di esche.Quindi si rischia di perdere solo più tempo; quando ci sono le aguglie mi sembra illogico usare altre esche meno appetite dalle ricciole, con minori probabilità di cattura. Altre esche validissime sono i molluschi cefalopodi come il totano, la seppia ed anche il calamaro. Sono difficili da catturare ed innescare vivi; acquistati direttamente dal pescatore che li ha catturati qualche ora prima, mantengono i loro colori naturali ed in particolare per la seppia, quella luminescenza verdognola sul ventre che è un elemento fondamentale perché attiri le prede. La seppia in particolare deve essere innescata con molta cura, con un amo di trasporto che fori anteriormente anche l’osso interno ed il secondo amo ben nascosto tra i tentacoli, della misura dell’1/0 o 2/0. Se la seppia non naviga in posizione corretta ma ruota attorno al proprio asse o si ribalta con la pancia verso l’alto è indispensabile legare nel cappuccio verso il basso un piombo ad oliva di 20 grammi e nella parte dorsale inserire una piccola striscia di polistirolo espanso, a guisa di galleggiante stabilizzatore. Con una seppia viva tutto questo non è necessario ed è senza dubbio l’esca migliore per le grandi ricciole, specie se di buona taglia. L’ausilio di uno scandaglio, meglio se a cristalli liquidi, ci documenta sulla fisonomia e natura del fondo, abbreviando notevolmente i tempi per trovare le zone più pescose. Dopo la cattura e l’innesco dell’esca viva, il problema che segue è come portarla in prossimità del fondo ideale che in alcuni casi raggiunge e supera i 40 metri. Il sistema più efficiente è l’utilizzo di un “down trigger” o affondatore, sia manuale che elettrico. Questo strumento non è altro che una grande bobina fissata su una base girevole, munita di braccio e contametri. Al cavo d’acciaio viene fissata una zavorra dai 3 ai 12 kg, alla quale si attacca il terminale di nylon, tramite una pinzetta a molla dalla tensione regolabile. Quando il pesce afferra l’esca, il finale si libera dalla pinza e si è liberi di combattere la preda senza l’interferenza della zavorra. In ordine di praticità, il secondo sistema è quello di adottare una madre lenza di monel, una lega di acciaio duttile autoaffondante. Il difetto è nella corrosione tra la bobina del mulinello ed il filo dovuta alla corrente galvanica e l’eccessiva usura delle carrucole dei passanti della canna. Terzosistema, il più semplice ed economico, è l’adozione del piombo testimone: un bracciolo di tre metri di nylon fissato alla girella tra la madre lenza ed il finale, al quale va appeso un piombo a sfera o a cilindro tra i 300 ed i 600 grammi. Per quanto riguarda le canne la scelta è molto vasta. Ottima la fibra di carbonio e quelle tubolari in Kevlar tra le 20 e le 30 lbs, se le prede sono di mole considerevole, o da 8 e 12 lbs per la traina leggera. I passanti sono il tallone d’Achille dalla canna e devono essere dotati di carrucole rotanti inox ben lubrificate e con poca tolleranza tra il supporto e la carrucola stessa, altrimenti il nylon od il dacron sottili si possono inserire in questo spazio vuoto e tranciarsi al primo strattone. Le continue fughe della ricciola sottopongono la lenza ad una usura eccessiva nel caso di canne con passanti ad anello fisso.I mulinelli a leva sono attualmente i più affidabili, come i Penn International IIº, i Gladiator, gli Everoll italiani e gli Shimanogiapponesi da 30 e 50 lbs. Ottimi i 30 lbs TW a bobina larga, della Pan International, che possono portare fino a 400 m di nylon del 0,70 o 800 yards di dacron da 30 lbs. Non bisogna avere fretta di recuperare la preda, una volta certi che la ferratura sia ottimale. La frizione deve essere regolata leggera per permettere al pesce di prendersi il filo che vuole. Ci si aiuta durante il recupero con il pollice della mano che impugna la canna e lo si preme sul manico di neoprene della stessa all’atto del pompaggio verso l’alto, allo scopo di frenare ulteriormente la madre lenza ma con la possibilità di allentare la pressione nonappena la preda reagisce per fuggire nuovamente. Le reazioni dell’animale sono a volte imprevedibili e spesso si dirige verso la barca; è consigliabile cercare d’anticipare questi rientri di filo, recuperando velocemente e seguendo con l’occhio, se possibile, il punto di contatto della lenza sulla superficie del mare. È facile che la ricciola si slami e fugga via se si lascia la lenza in bando. Un altro tentativo per liberarsi è costituito da una repentina fuga verso il fondo, dove usa strisciarsi per liberarsi dell’amo od arroccarsi dietro ad uno scoglio per resistere alla trazione. È quindi buona norma, appena ferrato l’animale, dirigersi verso il largo alla ricerca di fondali più alti, aumentando di poco l’andatura per tenere l’animale sollevato dal fondo quanto più possibile. Se la preda è stata stancata a dovere, il recupero a bordo non presenta particolari problemi. In caso contrario una fuga improvvisa dell’animale, spesso in direzione dell’elica o del timone, metterà fine al combattimento per una meritata libertà, acquistata in extremis. Per gli esemplari fino a sei kg sarà sufficiente un capiente guadino; per gli esemplari maggiori il raffio risulterà indispensabile. Il pescatore esperto sa benissimo che questo è uno dei momenti più delicati del recupero. Un errore al primo tentativo è a volte perdonato, il secondo ci può lasciare con un palmo di naso e la lenza viene liberata proprio dal nostro colpo maldestro e dall’ultimo guizzo della preda. È proprio questa alea, protratta fino all’ultimo istante della cattura, che rende particolarmente emozionante la traina alla regina delle isole.Sopra, è cominciata l’azione di pesca: i due battelli che partecipano alla battuta hanno filato le lenze in acqua, e si deve solo attendere. Nelle foto a sinistra, due tipi di montatura dell’aguglia. Il primo prevede la montatura esterna con tre ami: uno di trasporto fissato al becco del pesce, due, più grandi, appena sotto pelle; se ben fatta, l’esca resta viva. Il secondo metodo con pesce morto, nel quale la montatura viene nascosta all’interno dell’aguglia, successivamente ricucita, e dalla quale escono le punte di due ami; il becco viene legato attorno al finale, in questo caso in sottile cavetto d’acciaio. Seriola Dumerilii E’ il più grande dei carangidi del Mediterraneo, ha corpo affusolato, agile e slanciato, con colore grigio argenteo sul dorso che diviene chiaro sul ventre; all’altezza della linea mediana, sui fianchi, ha un riflesso giallastro che diminuisce dopo la cattura. In certi esemplari, specialmente se giovani, il riflesso può tendere al verdastro e addirittura al roseo. Ha abitudini pelagiche e periodicamente compie migrazioni sia di distanza dalle coste che in profondità; si avvicina a terra in estate, fino alla prima parte dell’autunno, frequentando le coste scoscese, le secche, ma giungendo qualche volta anche in acqua relativamente bassa. E’ un carnivoro e predatore, segue i branchi di pesce azzurro, ma si spinge fino in bassi fondali per assalire cefali e altri pesci. Le sue dimensioni variano con l’età, ma è specie che può raggiungere i due metri ed un peso di 60 chili. Nelle nostre acque ha una distribuzione pressoché totale, anche se non comunissima. Raramente procede da sola, e preferisce muoversi in gruppi di alcuni esemplari; una volta non erano rari branchi di trenta-quaranta ricciole. Viene catturata con reti di circuizione, con palamiti, con lenze a traina e abbastanza spesso dai subacquei con il fucile. Combattente vigorosa, è preda sportiva per eccellenza. Le sue carni sono buone. Esche valide sono l’aguglia, i cefalopodi, i cefali, le occhiate. Questo articolo ti è piaciuto? Condividilo!