Il charter di pesca è un’attività destinata a crescere, anche perché perfettamente connaturata alle esigenze del momento. Ma sicuramente risulta ostacolata dalla mancanza di una normativa specifica. Il convegno organizzato dall’Istituto Italiano di Navigazione sulla pesca sportiva e pesca ricreativa.

Se un parco di oltre 2.000.000 di praticanti – fra acqua dolce e mare – pone la pesca amatoriale in una posizione di rilievo nell’ambito delle attività sportive, è anche vero che si tratta di una disciplina poco sfruttata dal punto di vista strutturale e altrettanto poco considerata dal punto di vista economico. Il che appare singolare per un Paese che, tralasciando laghi e fiumi, dispone del più grande sviluppo costiero tra i Paesi europei.

Esistono naturalmente differenze fondamentali fra la pesca in acque interne e quella in mare, non solo relative come ovvio alla situazione ambientale e alle tecniche coinvolte, ma anche agli aspetti emozionali e soprattutto ai risvolti economici relativi a mezzi e attrezzature. Considerando i prevalenti interessi dei nostri lettori, ci concentreremo sulla pesca in mare, iniziando con il sottolineare una piccola ma significativa differenza fra il termine più generale di “pesca sportiva” e quello più specifico di “pesca ricreativa”.

Come ben definito in sede UE, il primo raggruppa quei pescatori interessati all’aspetto agonistico della disciplina; il secondo riguarda chi pesca per puro divertimento e non deve quindi sottostare a nessun regolamento, se non a quelli del buon senso e delle normative di settore. Parleremo quindi prevalentemente di pesca ricreativa in mare, inglobandovi quella sportiva, sottolineando i risvolti tutt’altro che indifferenti di questa attività sul settore nautico, quindi includendo motori ed elettronica.

Tanto per fare qualche esempio, anche se i dati non possono essere aggiornati al 100%, si considera che oltre il 30% delle barche sotto i 9 metri viene utilizzato per la pesca ricreativa, mentre per l’elettronica il settore vale più del 50%. E se consideriamo i motori, non sarà un caso che la Suzuki, leader nel settore dei fuoribordo, sia da anni main partner della FIPSAS ( Federazione Italiana Pesca Sportiva e Attività subacquee) in tutte le manifestazioni. Come semplice nota di cronaca possiamo inoltre osservare come sia oggi difficile vedere una barca a vela in trasferimento che non esponga  una o due canne, con la speranza di arricchire la mensa di bordo.

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Indotto economico

Grazie al suo sviluppo costiero, l’Italia fa del turismo di mare una delle sue più importanti fonti di reddito, mettendo in campo, oltre alla quantità di spiagge disponibili, la bellezza delle coste rocciose dove spettacolari baie a falesie hanno da sempre favorito lo sviluppo della nautica. Ben poco, tuttavia, sono state considerate le possibilità del mare aperto, dove magari c’è poco da vedere ma non mancano cose da fare e passioni da appagare: ad esempio la pesca.

Senza entrare nei meandri descrittivi di un’attività che per molti è una vera e propria religione, resta come detto l’importanza della pesca ricreativa per l’industria nautica, dove non è chiara la ragione per la quale molti cantieri italiani impegnati nel settore abbiano diminuito il loro interesse nei fisherman lasciando spazio alle barche americane, forse più specialistiche ma anche decisamente più care. In ogni caso, tralasciando le tecniche di pesca da terra, per pescare in mare servono una barca, un motore e una valida strumentazione elettronica, a meno che – ma di questo parleremo più avanti – non ci si rivolga al charter, settore con notevoli possibilità di evoluzione ma ancora in cerca di una corretta definizione.

Una voce tutt’altro che indifferente nei conti della pesca ricreativa è poi quella dell’indotto, soprattutto considerando che la barca di un pescatore è nella maggior parte dei casi una four season che non conosce fermi stagionali. Anzi, se proprio vogliamo analizzare meglio la questione, possiamo ricordare che la migliore stagione di pesca inizia proprio quando quella del classico diporto estivo va in letargo, il che si traduce in un fruttuoso prolungamento commerciale per un indotto che va dai marina alle officine, dagli alberghi ai ristoranti, dai negozi specializzati alla vendita dei carburanti, la quale, oltre ad arricchire i distributori, considerando i forti consumi di una barca da pesca, fa entrare un bel mucchietto di euro nelle casse dello Stato, dato che su ogni litro di benzina grava il 54,5% di tasse.

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Potenzialità da esplorare per il charter di pesca

Un settore che, trovando larga diffusione nel diporto, potrebbe avere ulteriori spazi evolutivi aprendo alla pesca ricreativa, è quello del charter, dove però ostacoli di vario tipo scoraggiano molti potenziali operatori. Sarebbe di conseguenza opportuno disporre di una normativa specifica, purché chiara, lineare e facilmente comprensibile.

Il problema continua ad essere ignorato dalle Istituzioni, lasciando una poco gradevole confusione in cui ciascuno deve – italian style – trovarsi la propria nicchia operativa, perché a voler fare le cose in modo diciamo così regolare c’è da mettersi le mani nei capelli, a  partire dalle complicazioni burocratiche e fiscali e poi, a seguire, il tipo di imbarcazione richiesto, le relative dotazioni di bordo, le abilitazioni  richieste al comandante, i costi e  le complicazioni imposte dalle assicurazioni.

Tanto per dire: la maggior parte delle compagnie di assicurazione copre i danni derivanti dall’ormeggio e dalla navigazione ma non quelli dovuti a un casuale incidente avvenuto a bordo del mezzo stesso, che in un’attività dinamica come la pesca ricreativa è sempre possibile.

Come detto, le scoraggianti problematiche già accennate vengono normalmente aggirate con soluzioni fai-da-te. Fermo restando che c’è anche chi opera in nero tout court, c’è l’associazione che porta a pesca i suoi soci; il “negozio” che esce in mare per far provare le attrezzature ai suoi clienti; chi, semplicemente, si fa accompagnare da un gruppo di amici virtualmente non paganti… che se poi rilasciano una “mancia“ qual è il problema? E via dicendo.

Nel valutare la situazione non si può evitare di dare uno sguardo all’estero, dove l’attività del charter di pesca è ampiamente diffusa anche in Paesi mediterranei a noi vicini come Francia, Spagna e Croazia, mentre se spingiamo l’occhio oltre Atlantico partono i fuochi d’artificio. Volendo, come spesso ci piace fare, passare dalle parole ai fatti, o meglio alle cifre, vediamo che negli Stati Uniti, nel 2023, erano operative 3.649 barche da pesca (di cui 491 nella sola Florida) con un incremento del 2,2% rispetto all’anno precedente: un trend di ripresa particolarmente significativo dopo i ben noti problemi pandemici, che ha portato a un fatturato di oltre 400.000.000 di dollari e a un’occupazione di 5.753 persone (dati IBIS World).

Un’attività per altro molto parcellizzata, dove non esistono operatori di grosso calibro ma per lo più singole realtà locali, per la maggior parte specializzate nell’offshore fishing. Naturalmente parliamo di un altro pianeta, soprattutto in termini di pesca ricreativa, ovvero di un Paese dove sono operativi, fra dolce e salato, circa 55.000.000 pescatori e dove (fatto solo apparentemente marginale) non sono mancati aspiranti presidenti USA che hanno inserito nella loro campagna elettorale immagini che li ritraevano in pesca.

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No fish, no party

C’è un altro dettaglio tutt’altro che secondario nel confronto fra le due sponde dell’Atlantico e, più in particolare, con quelle del nostro Paese. Per dare un senso a un’uscita di pesca, infatti, charter o non charter, una volta risolti i problemi fisco-legal-burocratici, è necessaria la collaborazione…del pesce, che purtroppo nei nostri mari non attraversa un gran periodo. Il che, tornando al charter, rende ancor più preziosa la guida di un esperto conoscitore della zona e delle specifiche tecniche per affrontare quelle specie maggiormente ricercate.

La buona ripresa dei tonni rossi nei nostri mari e la crescente diffusione dell’aguglia imperiale – due target di alto prestigio del nostro big game – offre buone possibilità a chi volesse dedicarsi a questa tecnica, che richiede tuttavia una certa disponibilità economica per mettere in campo una barca e delle attrezzature adeguate, ma anche la pazienza per affrontare un’avventura incerta e mirata che a fine giornata potrebbe anche risultare uno sconfortante cappotto.

Sottocosta, dentici, ricciole e orate condividono il podio delle specie di maggior interesse, ma al di là di catture occasionali dove il fattore “C” premia sempre i più audaci, non è che i pesci saltino in barca da soli, e anche in questo caso oltre all’esperienza e alla disponibilità di buone attrezzature bisogna fare i conti con una presenza non proprio esuberante.

Se da un lato la potenzialità del nostro mare, benedetto dalla varietà dei fondali, dal gioco delle correnti e dalla centralità della nostra penisola, potrebbe offrire ben di più, la riflessione sullo stato attuale delle cose porta a una delle più celebri questioni filosofiche: è meglio un uovo oggi o una gallina domani?

Di fronte a questo amletico dubbio, che in realtà investe tutto ciò che riguarda lo sfruttamento delle risorse naturali, agricoltura inclusa, la pesca professionale, rea di uno sfruttamento necessario forse per sopravvivere ma andato oltre il dovuto, deve trovare il giusto compromesso.

Perché, se continuiamo a raschiare il fondo del barile senza dare agli stock ittici la possibilità di riprodursi, finiremo per mangiare plastica, pesci coltivati, o peggio ancora pesci sintetici.

Del resto, se importiamo circa l’80% del pesce presente nei nostri mercati, nonostante le potenzialità dei nostri fondali, forse una ragione c’è. Da questo punto di vista difendere la pesca ricreativa è fin troppo facile, non solo per lo scarso impatto ambientale, ma soprattutto per la sempre più diffusa pratica del catch&release, ovvero il rilascio della preda, libera di tornare nel suo blu.

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Un futuro da capire

Organizzato dall’Istituto Italiano di Navigazione presso il Circolo Ufficiali della Marina Militare, il convegno “La pesca in Italia – Nuove Professioni” ha fatto il punto sulle opportunità e i vantaggi offerti dallo sviluppo della pesca ricreativa, con particolare riferimento a una recente proposta di legge (A.C.1029) che mira a creare una nuova figura professionale guidata da precisi principi normativi. Il convegno ha avuto la consistente collaborazione dell’A.I.GU.P.P. (Associazione Italiana Guide Professionali di Pesca) che da anni sostiene l’esigenza di inquadrare e sviluppare una figura che rappresenti un ponte fra turismo, pesca ricreativa e sostenibilità ambientale.

Importante il parterre du roi dei relatori, che ha visto rappresentanti delle autorità marittime, a partire dall’Ammiraglio Sergio Liardo, vice Comandante Generale delle Capitanerie di Porto-Guardia Costiera, della pesca professionale con la dott.ssa Francesca Biondo direttore di Federpesca, ma anche personalità politiche come Riccardo Rigillo, Capo di Gabinetto del Ministero per la Protezione Civile e le Politiche del Mare. Fabio Cavaletto, fondatore e Presidente dell’ A.I.GU.P.P. ha illustrato le possibilità di sviluppo professionale nell’ambito della pesca ricreativa, mentre Vittorio Rubino, in qualità di rappresentante dei tour operator, ha posto la questione delle problematicità e delle possibili soluzioni nel campo delle barche utilizzate per la pesca ricreativa, charter ovviamente incluso.

Al biologo marino Armando Macali è invece spettato il compito di illustrare la situazione dei nostri mari, con particolare riguardo allo stato degli stock ittici e all’incidenza della pesca ricreativa.

In sostanza sono state illustrate ed esaminate le possibilità di istituire nell’ambito della pesca ricreativa una figura professionale che garantisca lo sviluppo, la sicurezza e la soddisfazione di un’attività che potrebbe avere buone possibilità di crescita, il tutto con un impatto ambientale minimo e nel pieno rispetto del mare.

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Fabio Cavaletto, fondatore e presidente di A.I.GU.P.P.

Intervista a Fabio Cavaletto, Fondatore e Presidente di A.I.GU.P.P.

AIGUPP è una associazione di categoria professionale che rappresenta le guide di pesca professionali e le tutela. Occorre ricordare che le guide di pesca, come tutte le professioni, hanno una legislazione che devono seguire. La legge 4/2013 è la base, ma il vero problema è che tutti i professionisti hanno un Codice del Consumatore che deve essere rispettato, e proprio per essere certi che le guide abbiano gli strumenti e la formazione per rispettarlo, è nata A.I.GU.P.P. L’associazione ha la stessa funzione che Unindustria ha per gli industriali. Cerca di semplificare le procedure lavorative per le guide e migliorare la loro condizione professionale.

Cosa dice la legge in materia di charter di pesca?

Purtroppo in Italia la legislazione è vecchia e contorta, ma occorre precisare che la pesca ricreativa può essere fatta solo su mezzi da diporto e che il charter di pesca si compone di due servizi distinti e molto diversi: il trasporto sul luogo di pesca e l’attività di guida di chi organizza l’uscita. Se il trasporto genera “reddito” è considerata attività commerciale.

Attualmente fare charter risulta abbastanza semplice se il mezzo è un natante, perché basta avere una ditta, aprire i Codici Ateco e mettere, dopo aver fatto le pratiche amministrative, i mezzi a locazione o a noleggio. In questo caso basta possedere la patente nautica. Nel caso di imbarcazione, oltre a tutta la procedura precedente, il conduttore deve invece possedere i titoli professionali del diporto, titoli che il 5 febbraio hanno leggermente modificato, ma che comunque risultano di difficile conseguimento. Il problema è che comunque, anche se in regola con il charter, se non si dimostra di essere guide professionali, si rischia di veder sorgere problemi enormi in caso di incidenti o problemi col cliente davanti allo sportello del consumatore. In altre parole se il cliente si pianta un amo sulla mano durante la battuta di pesca si rischia che l’assicurazione del charter non risponda, perché l’assicurazione del mezzo copre i danni derivanti dal mezzo non da una attività professionale che deve avere una apposita assicurazione professionale.

L’aspetto fiscale, invece, è diverso. Se fai charter in regola, la ditta deve emettere un contratto che deve essere tenuto a bordo, il pagamento risulta chiaro e di conseguenza la ditta pagherà la tassazione che gli compete. La guida può emettere fattura o ricevuta a parte o, come nel caso di alcune guide che hanno aperto una società di cui sono dipendenti, è la società stessa che emette doppia fattura, sia del noleggio, che dell’attività di guida.

Sarebbe possibile fare del charter di pesca utilizzando il noleggio occasionale?

Il noleggio occasionale è una soluzione attualmente utilizzata da alcune nostre guide, ma deve essere configurato in modo molto chiaro. Non possono essere superati i massimali di incasso e di giornate stabilite dalla legge, il mezzo deve essere una imbarcazione e non un natante, il proprietario, che deve essere a bordo, deve possedere la patente da almeno 3 anni, e per ogni uscita il proprietario deve comunicare via mail il noleggio.

E per quanto riguarda assicurazione e titoli richiesti al comandante?

Per quanto riguarda l’assicurazione, oltre a quella specifica per il charter (non basta l’assicurazione sul motore, ma le CCPP ne richiedono una specifica per il charter), occorre anche l’assicurazione professionale per la guida, un’assicurazione che copra tutti i danni derivanti dall’attività di pesca o da problemi da essa derivanti. Per quanto riguarda i titoli richiesti al comandante si apre il dilemma, perché se hai un natante ti basta una patente nautica, se hai imbarcazione ti servono invece i titoli professionali del diporto o il vecchio titolo di skipper (conduttore di imbarcazioni da diporto adibite a noleggio), oltre alla patente specifica per il tipo di mezzo che viene condotto (imbarcazione o nave).

Se si pensa che un diving center può utilizzare un’imbarcazione con la semplice patente nautica, mentre una guida di pesca per lavorare deve aprire una società di charter quando il suo lavoro è la pesca e non appunto il charter…siamo veramente di fronte ad un controsenso.