Nautica 754 – Febbraio 2025

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Editoriale

La lectio magistralis dello sport

Lo sport – quello praticato – è stato una parte molto importante della mia vita, eppure confesso di non essere mai diventato un assiduo spettatore di eventi sportivi. Non lo ero neppure quando da ragazzino significava essere tagliato fuori dalle dispute dialettiche riguardanti – che so – la formazione della squadra del cuore. Che infatti neppure avevo.

Al contrario mi affascinavano e mi affascinano tuttora certi campioni, le loro storie, i percorsi attraverso i quali sono arrivati all’apice. Mi affascina l’aspetto umano delle loro vicende, nelle quali l’indubbia predisposizione naturale si accompagna immancabilmente a un intenso sacrificio alimentato dalla passione e, soprattutto, dalla sana umiltà.

Cioè da quella forma di modestia che, permettendo di guardare bene in faccia i propri limiti, di individuare nei dettagli i propri errori, di riconoscere la superiorità dell’avversario in una gara che si è persa, costituisce l’unica strategia per migliorare, per fare progressi.

Perciò resto affascinato da un Max Sirena che mi spiega perfettamente dove ha sbagliato una virata; da un Leclerc che mi indica il momento in cui ha perso il controllo della sua vettura ed è uscito di pista; da un Sinner che, molto semplicemente, mi dice di aver giocato male una certa partita.

È, insomma, quel repertorio di severe autocritiche che sono del tutto coerenti con quel che noi stessi, con occhi attenti, possiamo osservare dall’esterno e che troppo spesso mancano del tutto in altri campi, dove invece dominano il narcisismo, la cieca affermazione del sé, il travisamento della realtà.

Nel caso del nostro settore, per esempio, sono anni che nelle più svariate occasioni ufficiali e nel florilegio di comunicati stampa sentiamo diversi top manager raccontare dei loro successi commerciali, delle vendite stratosferiche, delle acquisizioni stellari. Cifre, percentuali, indicatori economici spesso tirati fuori dal calzino con la stessa disinvoltura dei numeretti della tombola e facilmente smentiti nel momento stesso in cui, entrando nei loro cantieri, ci rendiamo conto che di tutto quel fermento non c’è traccia.

Per non parlare della curiosa dissonanza tra le disinvolte dichiarazioni in press conference di tante commesse ricevute e, poco tempo dopo (la memoria, proprio come le bugie, ha le gambe corte), l’entusiastico comunicato stampa nel quale si annuncia la conclusione di una singola vendita. Non di un incrociatore, beninteso, ma magari di un open di dodici metri.

Così, mentre qualche tempo fa si diceva nel corso di un’assemblea che la nautica da diporto cresceva a due cifre, un importante operatore nel campo delle forniture ai cantieri, che mi sedeva accanto, mi sussurrava all’orecchio che gli ordini da lui ricevuti di materiali e accessori destinati alla costruzione di barche fino ai 13-15 metri di lunghezza erano letteralmente crollati. Anche in quel caso a due cifre, è vero, ma di segno negativo.

So di ripetermi – e di questo mi scuso con i lettori che se ne accorgono – quando affermo che vorrei tanto che la nautica da diporto italiana si scrollasse di dosso tutti quei falsi lustrini che, con effetto boomerang, nascondono quel tanto di buono che c’è, mettendo in ombra quegli operatori virtuosi che lavorano con la stessa onestà intellettuale dei veri campioni.

Corradino Corbò