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(a cura di Bianca Gropallo)
L’editoriale
Stavolta, lo spunto per tornare sull’argomento delle patenti nautiche ce lo offre la cronaca giudiziaria: lo scorso mese di luglio, gli agenti del nucleo speciale investigativo del corpo delle Capitanerie di Porto – Guardia Costiera hanno notificato a sei persone – tra le quali proprio un ex vicecomandante della Capitaneria di Porto di Carloforte – l’ordinanza di custodia cautelare disposta dal gip del tribunale di Cagliari, Luca Melis, nell’ambito di un’inchiesta che ha rilevato reati di corruzione, falsi aggravati e attentato alla sicurezza dei trasporti.
In sostanza, circa duecento aspiranti comandanti provenienti da ogni parte della Sardegna avrebbero conseguito il titolo senza sostenere gli esami e senza neppure sottoporsi alla visita medica di idoneità. In cambio di denaro e/o di favori, ça va sans dire.
Come spesso accade, il fatto ha scoperchiato una situazione che in realtà, stando a ciò che spesso si sussurra e assai raramente si denuncia, è diffusa sul territorio nazionale. E va notato che il malcostume va iscritto non soltanto nell’ambito di un comportamento oggettivamente fuorilegge da parte di chi vende e di chi compra il documento, ma anche nella mentalità di chi pensa che il comando di un’imbarcazione da diporto sia un qualcosa che non richiede alcuna particolare competenza.
Tutto all’insegna dell’odiosissimo “che ce vo’?”. Dunque, perché mai sottoporsi alla noia delle lezioni in aula e alla fatica degli esercizi in mare, quando per prendere i gradi basta sganciare qualche migliaio di euro?
Ora, il problema è anche un altro. Perché tra questo girone infernale dove abitano corrotti-corruttori e il paradiso dove i diportisti onesti si godono l’agognata abilitazione, c’è un limbo che, francamente, trovo non meno inquietante. È quello dei corsi-patente che, pur non avendo alcun profilo di illiceità, sia chiaro, promettono il conseguimento del titolo in poche ore. Evidentemente, pure in quel caso, il principio è quello del “che ce vo’?”.
Ecco allora che, per uscire dagli equivoci e dalle contraddizioni, è necessario prendere una posizione chiara e netta. Se si pensa che mettersi ai comandi di una barca (cioè anche al “comando”, nel senso dell’autorità esercitata a bordo) sia una cosa che richiede cultura, preparazione, senso di responsabilità, allora la patente nautica – pur nelle sue varianti – va considerata indispensabile, senza eccezioni, deroghe o cavilli, e per il suo conseguimento si deve passare attraverso scuole seriamente accreditate e superare esami rigorosi.
Se invece si pensa che tutto possa essere affidato alla coscienza dell’individuo, si dica chiaramente che si è a favore del classico “tana libera tutti”: chi ha i soldi per comprarsi una barca può governarla senza bisogno di speciali autorizzazioni e se ne assume tutte le responsabilità. A questi paladini del liberalismo anglosassone vorrei tuttavia chiedere se salirebbero mai su un qualsiasi aeroplano sapendo che ai comandi c’è un Tizio senza brevetto di pilotaggio.Corradino Corbò