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L’editoriale
“Ora tutto è uno slogan, una definizione che di fatto non significa nulla: tutti possono etichettarsi come vogliono, ma sono pochi quelli che sanno davvero fare ciò di cui si vantano”.
E ancora: “Questo sistema ha ucciso la creatività: ognuno ha una visione diversa ma quando tutto diventa una serie di frasi fatte, questa varietà scompare”. A pronunciare queste sagge parole non è stato un illuminato manager della nautica, bensì, pressoché all’unisono, Domenico Dolce e Stefano Gabbana nel backstage della sfilata di presentazione della loro collezione autunno-inverno 2024/25.
Pare che, in quella occasione, l’assenza di Chiara Ferragni – l’influencer attualmente indagata per truffa aggravata per la ben nota storiaccia dei falsi pandoro di beneficenza – abbia avuto lo stesso effetto ipotizzato da Nanni Moretti nel suo celebre “Ecce Bombo”: cioè, molto probabilmente, il fatto di non esserci andata, per condivisibili motivi di opportunità, l’ha fatta notare assai più di quanto, forse, sarebbe successo se avesse presenziato.
Sta di fatto che, soprattutto tra gli invitati delle prime file, pare abbia serpeggiato lo struggente dilemma: ma l’avranno invitata o no? Dolce e Gabbana, che, a quanto pare sono persone molto serie, hanno inteso dare un’elegante risposta indiretta affermando che “quando a trionfare è la qualità, gli influencer in automatico vanno a cadere”.
Ebbene, è incredibile come tutta questa storia si adatti perfettamente al nostro mondo, salvo magari per alcune differenze più estetiche che sostanziali: la settimana della moda invece di un salone nautico, la passerella invece di un pontile, il pandoro invece di una barca.
Ma le dinamiche sono proprio le stesse, cioè gli slogan, le definizioni mendaci e le etichette prive di contenuto creano un appiattimento che non permette all’utente finale di cogliere quelle peculiarità, quei pregi, quelle differenze che potrebbero esserci o non esserci, tanto non importa: se di un determinato prodotto vendi soltanto l’immagine, che cosa ti importa di raccontare tutto il lavoro che c’è stato dietro per costruirlo in quel determinato modo? Quel che preoccupa è che in buona misura questo sistema funziona, almeno per un po’.
Cioè, l’offerta di chi vende immagine si incontra puntualmente con la domanda di chi compra immagine, e tutto va bene fino al momento in cui, per i più svariati motivi, non entra in gioco la sostanza.
Se questa c’è, bene. Se non c’è, male. Non ci sono vie di mezzo. Mi spiego: se il capo griffato si scolora al primo lavaggio o se la barca al primo corto circuito prende fuoco, il fallimento è netto e completo. Dunque, attenzione a chi presenta la propria barca come se fosse un pandoro.
Corradino Corbò
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