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L’editoriale
Nelle tipiche occasioni ufficiali, come per esempio le conferenze stampa che si moltiplicano nel corso dei saloni settembrini, spesso duplicandosi e sovrapponendosi in modo odioso, molti cantieri raccontano sé stessi attraverso numeri, grafici, percentuali, statistiche.
Alcuni, addirittura, hanno preso l’abitudine di utilizzare i codici dell’alta finanza, buttando lì a casaccio termini come Ebitda, Ebit, order intake, backlog, guidance, outlook e altri. È un buon modo per anestetizzare ulteriormente un uditorio che, tra uno sbadiglio e l’altro, difficilmente è in grado – o ha la voglia – di confutare dati che spesso sono assai poco veritieri.
A noi, persone semplici, piacerebbe molto di più sapere se l’anno passato è andato bene o così così, ammesso e non concesso che ci venisse detta la verità, che è diventata merce assai rara ai piani alti del nostro settore.
Rara, però, significa che qualcuno ancora la dice, senza pudore e senza maschere. Tra i benemeriti che la praticano, ci sono quelli che non esito a definire i miei beniamini, cioè le persone che le barche le fabbricano proprio con le loro mani.
Quasi mai compaiono sui palcoscenici, non soltanto perché difficilmente vengono chiamati a prendersi gli applausi, ma anche perché si sentono molto più a loro agio nel tenere in mano una saldatrice, un trapano, una pialla, piuttosto che un microfono.
Per questo motivo, quando visito un cantiere, amo trattenermi il più possibile a parlare con loro, imparando ogni volta qualcosa di nuovo e, appunto, scoprendo spesso cose che l’amministratore delegato di quella stessa azienda quasi sicuramente non mi direbbe.
Mi piace scoprire la soddisfazione con la quale queste persone mi raccontano di come hanno risolto un certo problema, finendo talvolta, misteriosamente, per confidarmi persino qualcosa di sé e delle loro famiglie. E quando assisto a un varo, il mio sguardo va dritto ai loro occhi, che mi rivelano quanto la loro commozione sia vera.
È questo il mondo della nautica che adoro. Corradino Corbò
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