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L’editoriale
Tra l’11 novembre 1918 e il I settembre 1939 si pone quel periodo che, solitamente definito con il termine limitativo di “primo dopoguerra”, andrebbe piuttosto chiamato “periodo interbellico” poiché a caratterizzarlo fu proprio il suo posizionamento temporale tra le due guerre mondiali. Allora fu un ventennio. Oggi, sono dodici i mesi che separano la ritrazione della pandemia da Covid-19 – che a suo modo è stata una guerra mondiale (scrivo al passato per innato ottimismo) – dalla crisi globale conseguente all’intervento russo in Ucraina.
A poter generare inquietudine sono le analogie. Verso la fine della Grande Guerra, il mondo dovette affrontare una grave crisi energetica. Subito dopo, fece i conti con l’influenza “spagnola”, la prima pandemia del XX secolo. Gli Stati Uniti conobbero un periodo di grande progresso socio-economico che si sarebbe trasformato nella bolla azionaria che il 24 ottobre del ’29 esplose a Wall Street , innescando quella che i libri di storia raccontano come la Grande Depressione.
Nello stesso periodo, l’Europa visse una turbolenta fase politica che avrebbe cambiato le posizioni dei singoli Stati sullo scacchiere internazionale. Poi, nel ’39 ci fu l’attacco della Germania alla Polonia e ne conseguì quel che sappiamo.
In quei vent’anni, ogni singolo settore produttivo fu coinvolto e condizionato da tutte queste vicende. E in questi dodici mesi che cosa è successo, in particolare, nel nostro? “Nautica in Cifre”, l’importante documento annuale prodotto da Confindustria Nautica, ci offre un’analisi che è perfettamente sintetizzata nella prima frase della prefazione firmata dal suo presidente, Saverio Cecchi: «Il 2021 per l’industria italiana della nautica si è rivelato l’anno con il migliore incremento di fatturato di sempre e l’anno nautico appena concluso ha assicurato solide prospettive anche per il 2022, consolidando una crescita strutturale». Il problema è che le previsioni contenute in questo studio, svolto dalla Fondazione Edison, sono state elaborate prima della crisi ucraina e, pertanto, non tengono conto dei gravissimi effetti che essa sta producendo sull’economia mondiale. Dunque, almeno per il momento, non possiamo far altro che osservare i segnali che, giorno per giorno, ci giungono dal mercato.
I pochi cantieri solidi e lungimiranti stanno affrontando questo periodo con la stessa accortezza che permise loro di sopravvivere alla crisi del 2008 e, perciò, stanno riuscendo addirittura ad aumentare i loro volumi di vendita, imponendo alla clientela attese di due-tre anni per ricevere barche che normalmente richiederebbero 8-10 mesi.
I cantieri che vivono alla giornata tentano di imitarli bluffando: fingono cioè quegli stessi lunghi tempi di consegna per vantare un’inesistente schiera di clienti adoranti e, soprattutto, per esercitare una funzione deterrente nei confronti della classica richiesta di sconti. Come a dire “non mi chiedere di pagare di meno, perché dietro di te ci sono almeno dieci persone che, pur di avere quella barca, sono pronte a pagare persino di più”.
Per i futuri armatori questo significa che mai come ora è necessario adoperare la massima prudenza e che persino gli “affaroni” possono nascondere pesanti insidie.
di Corradino Corbò
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