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L’editoriale
Qualche settimana fa ho ricevuto l’ennesima mail di un lettore che, per sua stessa dichiarazione, ama discettare su una moltitudine di cose e gradirebbe moltissimo che ne scaturisse una sorta di contraddittorio da pubblicare su questa rivista. Cosa che non accadrà. In questo suo ultimo scritto polemico se la prende con l’ecologia e, soprattutto, con gli ecologisti. Come in passato, gli ho risposto solo privatamente e, stavolta, non con parole mie, bensì – assai telegraficamente e con un senso di fastidio che spero sia trapelato – con quelle del filosofo colombiano Nicolas Gómez Dàvila: “È facile convertirsi a una teoria ascoltando il difensore della teoria contraria”.
Poiché non sono sicuro che ne abbia colto il senso, glielo spiego qui. La mia convinzione che la natura debba essere curata e salvaguardata con ogni mezzo si è consolidata, se possibile, grazie anche ai “ragionamenti” di chi, come lui, sostiene che l’ecologia sia un’urticante moda salottiera di stampo antiprogressista. Non solo. Si è graniticamente radicata osservando un po’ ovunque quei “piccoli” ma gravissimi comportamenti di chi, con le sue azioni, procura un danno vero, tangibile, osservabile, tutt’altro che teorico.
Mi viene in mente un episodio che racchiude in sé tutti questi aspetti e che, probabilmente, i frequentatori dei social ricorderanno. Nell’agosto 2019, un giovane di nome Alessio, studente di giurisprudenza, pubblicò su Instagram un video nel quale lui, a bordo della sua lancetta, al grido beffardo di “Via la plastica!
Evviva il plastic free! Niente plastica a bordo della mia barca!”, lanciava nel mare di Punta Licosa, nel parco del Cilento, una bottiglia di plastica, appunto, con la quale aveva appena rabboccato l’olio del motore. Intuita la sua imminente identificazione e sperando di contenere le conseguenze penali del gesto, si presentò alla Capitaneria di Porto di Agropoli autodenunciandosi. E nel tentativo di ridurre la gravità del fatto a livello di una stupida bravata senza conseguenze, dichiarò che, subito dopo aver girato il video, aveva recuperato la bottiglia e, una volta tornato a terra, l’aveva gettata in un cassonetto.
Il risvolto a dir poco kafkiano di questa penosa vicenda è che, al tempo, se il protagonista della vicenda fosse stato il comandante di un’unità mercantile o di un peschereccio, in linea di principio i reati da lui compiuti sarebbero stati due: il primo, quello di inquinamento, per aver lanciato la bottiglia, peraltro contenente residui oleosi; il secondo, quello di trasporto illecito di rifiuti, per averla recuperata e portata a terra. Che meraviglia.
Orbene, se in Italia la strada per formare una diffusa coscienza ecologia è ancora lunghissima, va riconosciuto che quella per una giustizia più giusta e intelligente – quantomeno in tema ambientale – si è miracolosamente accorciata quale settimana fa: tra le diverse novità della cosiddetta legge Salvamare, approvata il mese scorso sotto la spinta di diverse associazioni trainate da Marevivo e dalla Federazione del Mare, c’è infatti quella che il pescatore che smaltirà a terra i rifiuti raccolti accidentalmente dalle sue reti non sarà più perseguibile penalmente. Anzi, diventerà, com’è giusto che sia, un benemerito. Tutto questo, caro avvocato, per dirle che l’ecologia è tutt’altro che salottiera. E tutt’altro che antiprogressista.
Corradino Corbò
Le ricette di CAMBUSA