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L’editoriale
Mentre il gioco del calcio ha come per decreto cancellato il Covid, come dimostra la sostanziale riapertura al pubblico degli stadi destinati agli Europei del mese scorso, le Olimpiadi, molto più saggiamente, no. Perciò ai giochi di Tokyo – già rimandati di un anno per il generale lockdown del 2020 e, al momento di scrivere queste poche righe, appena inaugurati – gli spalti di tutti gli impianti resteranno vuoti fino alla cerimonia di chiusura.
La decisione del comitato giapponese è stata definita dannosa da quasi tutti quegli atleti che, ricavando trasfusioni di adrenalina dai boati della folla, contano proprio su questo potente contatto fisico con gli spettatori per poter guadagnare miracolosamente quel centimetro in più o quel centesimo di secondo in meno che in condizioni normali neppure si sognerebbero.
Ma per tutti gli altri atleti che, invece, sono abituati a confrontarsi in modo assai meno plateale, non è stato così grave. È il caso dei velisti che, con l’unica assai parziale eccezione della Coppa America, sono abituati a combattere con i loro avversari in un clima che, al confronto, può apparire addirittura asettico.
Ecco quindi, sugli schermi e nelle radiocronache, quella sorta di uniformazione generale alla moderazione, se non addirittura al silenzio, che nel pieno della pandemia dei mesi scorsi già ci aveva permesso di udire limpido e chiaro ciò che generalmente sfugge: le indicazioni di un allenatore a bordo campo; l’urlo di un giavellottista al momento della spallata; il kiai di un judoka in attacco.
Nel caso di altri, invece, nulla di diverso dal solito. È perciò un po’ curioso – anche se comprensibile – che molti commentatori abbiano già definito tutto l’insieme di queste Olimpiadi “sotto tono”, soltanto perché, sul piano della partecipazione diretta del pubblico, la livella del Covid (ricordate quella del grande Totò?) ha costretto gli sport da stadio ad allinearsi con tutti gli altri. Anche perché, sul piano mediatico, la differenza è rimasta e rimarrà purtroppo la stessa anche per le settimane a venire.
Ecco perché è giusto e doveroso gridare qui a piena voce i nomi poco conosciuti dei ragazzi che – meritevoli quanto un Donnarumma o un Berrettini – compongono la squadra della vela azzurra di Tokyo: Elena Berta e Bianca Caruso, nel 470 femminile; Giacomo Ferrari e Giulio Calabrò, nel 470 maschile; Silvia Zennaro, nell’Ilca 6 singolo femminile; Ruggero Tita e Caterina Marianna Banti, nel Nacra 17 misto; Marta Maggetti, nell’RS:X femminile; Mattia Camboni, nell’RS:X maschile. Dei risultati parleremo a tempo debito. Corradino Corbò