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L’editoriale
La spettacolare capacità connettiva del Mediterraneo è ben nota fin dall’antichità, cioè fin da quando Greci, Fenici, Etruschi e Romani presero a navigarlo secondo precise rotte strategiche. Oggi, questa funzione fa da supporto anche al drammatico flusso migratorio che, non a caso, trova nell’Italia un provvidenziale pontile naturale per raggiungere l’Europa. Insomma, un miscuglio di interessi incredibilmente esteso, tanto da coinvolgere non soltanto i Paesi che fanno parte dell’Unione per il Mediterraneo – organizzazione intergovernativa che raggruppa i 27 Stati membri dell’Unione europea e i 15 partner del Nordafrica, del Medio Oriente e dell’Europa sud-orientale – ma anche potenze mondiali come Usa, Russia e Cina. Nel caso specifico di quest’ultima, che com’è noto ha formidabili interessi in una moltitudine di attività anche in Italia, nautica da diporto compresa, colpisce il fatto che la China Road and Bridges Corporation, con sede a Pechino, abbia intrapreso la costruzione dell’autostrada che dovrebbe collegare il porto montenegrino di Bar con Belgrado, in Serbia.
Orbene, il Montenegro è uno stato giovane, con appena 630.000 abitanti, già membro delle Nazioni Unite, della Nato, dell’Unione per il Mediterraneo e di diverse organizzazioni, ma tuttora in lista d’attesa per entrare nell’Unione Europea. Certamente non è un Paese ricco e sua unica vera risorsa potenziale è il turismo, che trova i suoi punti nevralgici nel massiccio del Durmitor, nel fiume Tara e, soprattutto, nella sua stupenda costa frastagliata che comprende la baia di Cattaro, dove sorge la modernissima marina di Porto Montenegro. La sua posizione centrale lungo la costa orientale del mare Adriatico, tra Croazia, un pezzetto di Bosnia, Albania e poco più in là Grecia, la pone nel bel mezzo di un traffico diportistico che, parentesi Covid a parte, è in crescita costante. Ma è proprio quel ponte a destare qualche perplessità, poiché sembra proprio che, al momento, il Montenegro non abbia i dollari per pagarlo (circa un miliardo solo per la prima tranche) e la Cina, per mettersi al sicuro da tale probabile insolvenza, ha introdotto nel contratto alcune clausole che potrebbero di fatto offrirle per almeno un secolo uno sbocco strategico sul Mediterraneo: quello che Miodrag Lekic, ex ambasciatore jugoslavo in Italia, ha definito “un cavallo di Troia”. D’altra parte è già successo per il porto di Hambantota, in Sri Lanka, che per lo stesso motivo è andato in concessione per 99 anni alla Cina, che lo ha costruito senza ricavarne il dovuto nei tempi pattuiti. Ora, il piccolo Stato balcanico chiede aiuto alla UE, la quale però non sembra disposta a pagare il debito con i soldi dei suoi cittadini, che peraltro, come detto, ancora non comprendono i montenegrini. Insomma, un problema complesso che potrebbe aprire un nuovo scenario su un mare che è sempre meno “nostrum”.
Corradino Corbò
Le ricette di CAMBUSA