Scarica e leggi la rivista digitale Acquista abbonamento cartaceoTutti i numeri Nautica Online Acquista l'arretrato
L’editoriale
Trent’anni fa, la notte del 10 aprile 1991, il traghetto Moby Prince, in uscita dal porto di Livorno e diretto a Olbia, andava completamente a fuoco dopo aver speronato la petroliera Agip Abruzzo, alla fonda nella rada del porto di Livorno. 140 morti, un solo sopravvissuto. Come molti sapranno, ci sono tuttora alcuni punti oscuri che le diverse inchieste e interrogazioni non sono riuscite a illuminare e, come quasi sempre accade, la diatriba di fondo consiste nello stabilire se si sia trattato di errore umano o di cause tecniche. È esattamente su questo che, cogliendo l’occasione della tristissima ricorrenza, intendo condividere una riflessione che ho maturato nel tempo, studiando molti sinistri marittimi e aeronautici. Ebbene, sono convinto che una buona investigazione sia una sorta di ricerca genealogica che, risalendo anello per anello la cosiddetta concatenazione degli eventi, arrivi a scoprire la causa prima di un incidente nell’azione di qualcuno e non nell’imprevedibile guasto di qualcosa. Faccio un esempio semplicissimo: se una ruota si fora e l’auto va fuori strada, la colpa è di un signore che avrebbe dovuto controllare l’integrità di un vecchio pallet che, caricato su un camion sobbalzante passato in precedenza per la stessa strada, si è parzialmente smembrato lasciando sull’asfalto il chiodo che ha provocato la foratura. Dunque, persino in un caso come questo, la causa dell’incidente (l’uscita di strada dell’automobile) non è tecnica (la foratura causata dal chiodo), bensì un errore umano (l’omesso controllo del pallet). Fin qui tutto chiaro, spero. Il problema grave nasce quando, per motivi diversi e non sempre ineccepibili, questa ricerca non arriva davvero fino in fondo ma si ferma nel momento stesso in cui trova la prima possibilità di risolvere la questione con il classico “è stata colpa sua”. Finisce così che, per tutti, l’automobile del nostro esempio è andata fuori strada per colpa del guidatore. Chissà perché, ora penso a Ugo Chessa, il comandante del Moby Prince. Non ha avuto il tempo di soffrire la pena di essere sospettato di gravi imprudenze e, addirittura, di poter essere stato distratto da una partita di calcio trasmessa da un inesistente televisore: la plancia dove si trovava è stata tra le prime parti della nave a bruciare, senza lasciargli scampo. Il 15 aprile scorso, la Commissione Trasporti della Camera ha approvato l’istituzione di una commissione parlamentare d’inchiesta su questo orribile disastro, il più grave che abbia colpito la marina mercantile italiana dal secondo dopoguerra. L’imperativo, formulato anche dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, è che essa si impegni a risalire, ad uno ad uno, tutti gli anelli di quella concatenazione di eventi. Fino al primo. Quello vero.
Corradino Corbò
Le ricette di CAMBUSA