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L’editoriale
Bravi, bravi, bravi, amici di Luna Rossa. Vi siete battuti ad armi (quasi) pari contro avversari fortissimi, ottenendo moralmente un risultato assai più equilibrato di quel 7 a 3 che la fredda aritmetica ha inesorabilmente e giustamente decretato. Ma si sa, lo sport è fatto anche di paradossi: può persino capitare – e non è questo il caso, sia chiaro – che un giocatore venga sconfitto pur avendo giocato meglio. Ma è proprio per questo che la 36a America’s Cup appena conclusa mi ha un po’ deluso. Dunque non tanto perché la squadra italiana non è riuscita a portarla via ai Neozelandesi, poiché mi sarebbe piaciuta poco anche se l’avesse vinta. Il motivo è che la gara in sé è stata snaturata di molti di quei valori che rendono unico lo sport della vela agonistica che, come ben sa chi lo pratica a buon livello, è un perfetto mix di strategia, tecnica, tecnologia, esperienza e fortuna, giocato su un “terreno” proporzionato alle caratteristiche delle barche. Stavolta non è stato così per una precisa scelta – più che lecita, intendiamoci – che mi ha presto fatto pensare al Gran Premio di Monaco, dove la vettura di Formula 1 che affronta per prima la curva Saint Devote – a circa 200 metri dalla linea di partenza – ha ottime probabilità di restare in testa per i successivi 260 chilometri… e vincere. Se non ci riesce, può dipendere da un banalissimo errore dei box durante un pit stop o da una macchia d’olio sulla pista o da un qualsiasi altro fattore esterno. Difficilmente per incapacità del pilota. D’altra parte “è come andare in bicicletta dentro casa” ebbe a dire Nelson Piquet, tre volte campione del mondo, dunque non proprio un pivellino.
Ecco, senza nulla togliere all’eccezionale bravura degli equipaggi e allo spettacolo offerto dalle velocità di cui si sono dimostrati capaci gli AC75, mi è dispiaciuto non poco osservare quanto la dea fortuna abbia giocato un ruolo determinante, per esempio nel collocare all’interno dei campi di regata – a mio modesto parere troppo piccoli – quei salti di vento che, per loro stessa natura, non erano prevedibili né osservabili abbastanza in tempo da evitarli. Neppure da parte dei padroni di casa che, pur espertissimi del luogo (cosa da non dimenticare), vi sono incappati in più di un’occasione. Dunque, uno schiaffo alla strategia delle grandi regate, in molti casi ridotta necessariamente alla semplice marcatura, applicata da chi – stavolta sì, per pura bravura – è partito in testa e, per restarci, ha compiuto le stesse manovre del suo inseguitore. A questo punto, messe da parte l’amarezza della sconfitta e la soddisfazione per aver dimostrato di avere tutte le carte in regola per vincere, già si guarda alla prossima edizione, con date e regole ancora da stabilire. Il patron Bertelli ha comunque già dichiarato la sua intenzione a partecipare. E questa è sicuramente una bella notizia.
Corradino Corbò
Le ricette di CAMBUSA