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L’editoriale
Luna Rossa è in prima pagina in ogni parte del mondo. Meritatamente. Anzi, strameritatamente. La lunga partita giocata a Auckland, Nuova Zelanda, per portare in Italia la Prada Cup e imporsi come sfidanti per la 36a Coppa America è stata vinta mettendo di volta in volta al posto giusto tutti i pezzi di quella complicata scacchiera sulla quale oggi si gioca la massima espressione tecnologica di questo sport.
Tanto è vero che l’unico paragone capace di far intuire in che cosa consista questo modo inedito di regatare è quello della più familiare Formula 1, dove si vince solo se ogni singolo fattore, umano o meccanico, funziona alla perfezione. Insomma, un insieme parossistico che ha portato indietro non di quarant’anni ma di quattro secoli l’immagine iconica di Mauro Pelaschier che, nel 1983, capelli al vento, al timone di Azzurra, urlava a voce – in un colorito triestino – gli ordini e i rimbrotti agli uomini del suo equipaggio, il primo a tentare la scalata verso l’America’s Cup.
Oggi non uno ma ben due timonieri – una novità tutta italiana, impersonata da James Spithill e Francesco Bruni – trasmettono i loro ordini attraverso i raffinati radio-microfoni che sbucano dai loro caschi astronautici. Non a caso, direi, poiché l’unica cosa che chiunque è in grado di capire di questi scafi è che effettivamente volano. Tutto il resto è un affascinante mistero, non soltanto per chi si è appassionato di vela in questi ultimi tempi, guardando la tv, ma persino per il 99 per cento dei regatanti tradizionali. Lo abbiamo scoperto con un po’ di sorpresa, noi della redazione, proprio ricevendo tante richieste di chiarimenti da parte di amici che di questo sport, nella sua forma più comune, sanno comunque tanto.
E, a ben vedere, anche questo differenzia in modo abissale l’approccio degli spettatori del 1983 rispetto a quelli di oggi. In quegli ormai lontani anni, le barche di Coppa America erano oggetti riconoscibili, per non dire familiari; dai movimenti dell’equipaggio potevi intuire l’imminenza di una certa manovra; dal modo con il quale vedevi lanciare lo spinnaker capivi subito se la manovra era corretta o sbagliata. Esistevano la bolina, il lasco, la poppa. Grazie a questa apparente semplicità, persino chi non aveva mai messo piede a bordo di una barca a vela apprendeva quei due-tre rudimenti che lo illudevano di poter commentare una prova. Di tutto questo non c’è più traccia. Gli AC75 che abbiamo ammirato alla Prada Cup sembrano volatili giurassici, con quelle zampe che artigliano l’acqua per decollare e volare via finanche a 50 nodi.
E perciò bolina, quasi esclusivamente bolina: risultato vettoriale di un vento di avanzamento “n” volte più intenso di quello reale. Non è neppure necessario essere esperti per godersi lo spettacolo: è quella velocità mai vista prima d’ora a tenere la scena. Ora, la Sfida. A partire dal 6 marzo, Luna Rossa e Te Rehutai, la barca dell’Emirates Team New Zealand detentore del trofeo, si contenderanno in match race quello che qualcuno definì il Santo Graal della vela. L’augurio più grande, affettuoso, appassionato è per il nostro equipaggio. L’altro è per la nautica italiana, che ha un gran bisogno di essere guardata con simpatia e rispetto anche al di fuori delle grandi competizioni internazionali.
Corradino Corbò
Le ricette di CAMBUSA