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L’editoriale
Che l’irrefrenabile voglia di ripartenza sia legata a fattori psicologici ed economici più che all’effettiva minore pressione della pandemia è cosa abbastanza evidente e comprensibile. Addirittura, si comincia a notare qua e là l’improprio uso del termine “dopo-Covid”, quasi che il virus fosse già un brutto ricordo da consegnare alla storia. Magari fosse. Fatto sta che, nei weekend, le baie sono tornate a popolarsi di barche festanti, in netta controtendenza rispetto all’umore che invece serpeggia tra le organizzazioni dei saloni internazionali.
Se non altro perché, quasi incredibilmente, molti dei grandi protagonisti della produzione se proprio non brancolano nel buio diciamo che si muovono in una strana penombra: tutt’oggi, a poco più di due mesi dall’inizio della stagione fieristica mediterranea per eccellenza, non sanno ancora quale direzione prendere, persino tra il partecipare e il non partecipare.
Una delle principali variabili che si pongono alla base del dilemma è costituita dall’imprevedibile quantità di pubblico, pur nell’ambito di uno scontato crollo rispetto agli anni scorsi: i vecchi ordini di grandezza perderanno quasi certamente uno zero, facendo salire vertiginosamente il cosiddetto costo/contatto, cioè la cifra che un espositore spenderà per la sua partecipazione, divisa per i visitatori che accederanno al suo stand.
Non a caso, a fronte dell’aperta minaccia di alcune defezioni, trasformatasi poi in una solida realtà, l’organizzazione del Monaco Yacht Show aveva tentato il tutto e per tutto offrendo agli operatori un considerevole sconto. Risultato: il più importante salone del mondo dedicato ai superyacht è saltato. Se ne riparlerà nel 2021.
Cannes e Genova, almeno per il momento, hanno scelto una linea più ferma, mantenendo sostanzialmente inalterate le quote di partecipazione. Si dice in giro che ciò finirà per premiare il salone italiano, avvantaggiato – ma è tutto da verificare, anche a seconda dell’andamento della pandemia – dalla decisione di Confindustria Nautica di farlo slittare di due settimane, spostandone l’apertura dall’originario 17 settembre al I ottobre.
Campanilisticamente, speriamo che sia così. Tuttavia non possiamo non registrare il fatto che, dal mese di febbraio a oggi, la cancellazione di sei importanti eventi fieristici internazionali ha messo tutti gli operatori – ma, più in particolare, quelli che da anni sostengono che queste manifestazioni sono decisamente troppe – nella condizione di poter finalmente osservare che il mercato, dovendone forzatamente fare a meno, non reagisce poi così male. Anzi. Così, grazie al notevole risparmio economico e all’opportunità di rafforzare il proprio impegno verso altre forme di promozione, come per esempio gli eventi privati e i saloni virtuali sul web, questi signori hanno scoperto che esiste un’eccellente forma di smart working anche per curare i loro rapporti con il pubblico.
Corradino Corbò