Primo passo verso la protezione dell’Alto mare di Simone Repetto il 28 Apr 2023 Sarà la volta buona per assicurare un minimo di tutela e controllo alle acque internazionali “in alto mare”, a protezione degli oceani? Forse la rotta giusta, in tal senso, è stata imboccata a marzo 2023 a New York, durante l’assemblea Onu nella quale è stato raggiunto un accordo dagli Stati membri. Dopo anni di negoziati, il documento elaborato (High Seas Treaty) punta a proteggere l’Alto mare, ovvero l’ampio spazio liquido che si trova oltre le acque territoriali e le Zone Economiche Esclusive (ZEE) nazionali, il quale occupa circa due terzi dell’oceano. In esso ricadono le acque internazionali (riconosciute oltre 200 miglia dalla costa ed al di fuori delle giurisdizioni nazionali), in cui tutti gli Stati hanno il diritto di pescare, navigare e fare ricerca. Allo stesso tempo, l’Alto Mare svolge un ruolo vitale nel sostenere le attività di pesca, nel fornire habitat a specie cruciali per la salute del pianeta e nel mitigare l’impatto della crisi climatica. Finora nessun governo si è assunto la responsabilità della protezione e della gestione sostenibile delle risorse di queste ampie aree marine, il che le rende vulnerabili. Di conseguenza, alcuni degli ecosistemi più importanti del pianeta sono a rischio, con perdita di biodiversità e habitat, considerando che tra il 10{2e3577d2bd6aebaa150c85c33fcd353783f1aa6c690283591e00ef60b3336fc8} e il 15{2e3577d2bd6aebaa150c85c33fcd353783f1aa6c690283591e00ef60b3336fc8} delle specie marine sarebbe già a rischio estinzione, secondo alcune stime. Tuttavia, il testo varato dall’assemblea Onu dovrà ancora essere ufficializzato in varie lingue e ratificato da almeno 60 Stati membri affinché si giunga all’entrata in vigore e alla piena attuazione del primo trattato globale a difesa delle acque internazionali, che darebbe altresì un forte impulso al raggiungimento dell’obiettivo Onu di tutelare almeno il 30{2e3577d2bd6aebaa150c85c33fcd353783f1aa6c690283591e00ef60b3336fc8} dei mari entro il 2030. Fornendo anche al Mediterraneo, uno dei mari “chiusi” più sfruttati e minacciati del globo, indubbi benefici. Ma non sarà facile, perché le prospettive sul tema sono varie e spesso non concordanti, soprattutto quando si tratta di conciliare interessi diversi, rinunciare allo sfruttamento commerciale di zone di particolare interesse per la pesca e per gli allevamenti ittici, nonché limitare o vietare navigazione, estrazione di materie prime dai fondali e produzione di energia offshore. Il dibattito in corso riguarda la creazione delle aree marine protette, il modello da utilizzare per valutare gli impatti ambientali delle attività umane, l’accesso e la spartizione di alcune risorse sempre più appetibili in ambito scientifico e commerciale, come ad esempio spugne, krill, coralli, alghe e batteri. I Paesi in via di sviluppo hanno espresso incapacità nel sostenere spedizioni e ricerche negli ambiti elencati, come nell’accesso alle risorse marine, le nazioni più ricche hanno promesso di condividere le risorse, mentre l’Unione Europea ha annunciato un investimento di 40 milioni di euro per giungere all’effettiva ratifica del trattato e alla sua attuazione. Se ne parlerà ancora e i tempi, probabilmente, non saranno brevi. Salvo una decisa presa di coscienza collettiva, sostenuta da fatti e dati sempre più inquietanti su cambiamenti climatici, degrado degli habitat e sfruttamento incontrollato dei mari. L’ultimo accordo risale a circa 40 anni fa, quando fu elaborata la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS, firmata nel 1982, efficace dal 1994 e poi ratificata da 168 paesi), una lunga attesa indotta soprattutto dai mancati accordi su finanziamenti e diritti di pesca. Quando entrerà in vigore, “High Seas Treaty” sarà il terzo trattato in ambito UNCLOS, dopo quelli specifici sull’estrazione mineraria dei fondali marini (1994) e sulla gestione degli stock ittici trans-zonali e altamente migratori (1995), ispirati al rispetto del dovere di cooperazione, di proteggere e preservare l’ambiente marino e di effettuare una valutazione preliminare dell’impatto delle attività, favorendo ulteriormente l’attuazione dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, con particolare riferimento all’Obiettivo 14 (Vita sott’acqua). Questo articolo ti è piaciuto? Condividilo!