Gli effetti delle microplastiche sugli ecosistemi marini di Simone Repetto il 27 Gen 2025 L’eccesso di plastica prodotta e il suo smaltimento incontrollato, in grado di deturpare e modificare l’ambiente, la natura e il vivere umano, costituiscono un problema noto da tempo. Così come l’ulteriore insidia, poco visibile e subdola, rappresentata dalla scomposizione dei materiali plastici in piccoli e piccolissimi frammenti, ormai trovati in molte specie animali e in quasi tutti gli ambienti terrestri e marini, anche a grandi profondità, con conseguenze imprevedibili e inquietanti per le specie (uomo compreso) e gli ecosistemi coinvolti. Nonostante gli impegni presi per ridurre la produzione di plastica e incrementare riciclo e riutilizzo, la problematica pare non trovare ancora efficaci soluzioni, a livello planetario. Credit Lighthouse Foundation Sommario La conferenza di BusanCosa dicono le ricercheRicerche nel golfo di NapoliIn Italia La conferenza di Busan Ne è un esempio il fallimento della conferenza coreana di Busan a fine 2024, in cui si sarebbe dovuto firmare un trattato storico per la riduzione dell’inquinamento da plastica. In Corea del Sud erano presenti i negoziatori di oltre 170 Paesi, ma un gruppo di quelli che producono idrocarburi si è opposto all’idea di limitare il business della sua principale fonte di ricchezza. I dati esposti la dicono lunga sulla necessità di un cambio di rotta. Dai 2 milioni di tonnellate di plastica prodotta a livello mondiale nel 1950, si è passati agli oltre 450 milioni di tonnellate attuali, dei quali circa 350 milioni diventano rifiuti. Microplastiche nell’oceano Di questi, secondo l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OECD), circa la metà finisce in discarica, un quinto viene incenerito, meno di un decimo viene riciclato. La restante parte finisce in maggioranza direttamente nei fiumi, nei mari e negli oceani di tutto il mondo, andando a formare grandi isole galleggianti alla deriva. E lo scenario futuro non promette bene, in quanto si prevede che le concentrazioni di microplastiche nell’ambiente marino aumenteranno ulteriormente nei prossimi decenni, rendendole un motore di cambiamento globale fortemente impattante. Elaborazione da studio Ecology and Evolution Cosa dicono le ricerche Uno degli ultimi studi sull’argomento è stato condotto da un team guidato da Christophe Brunet, primo ricercatore del Dipartimento di biotecnologie marine della Stazione Zoologica “Anton Dohrn” di Napoli, che ha analizzato gli effetti delle microplastiche su interi ecosistemi marini e in particolare quello costiero mediterraneo. Lo studio, pubblicato a novembre 2024 sulla rivista Ecology and Evolution, mostra come microplastiche di dimensioni tra 20 e 1000 micron (milionesimi di metro) alterino la struttura e il funzionamento degli ecosistemi microbici pelagici. In particolare, l’indagine evidenzia come l’aggiunta di microplastiche sia in grado di aumentare la biomassa di fitoplancton e di modificare la popolazione di batteri in acqua, andando ad alterare il funzionamento dell’ecosistema marino. Studio microplastiche Golfo di Napoli Ricerche nel golfo di Napoli Le ricerche esposte nello studio e condotte nel Golfo di Napoli (tra le prime realizzate sul campo), dimostrano come l’accumulo di micro o nanoplastiche in superficie impatti, in realtà, su tutta la colonna d’acqua sottostante e sul funzionamento ecosistemico, con conseguenze ecologiche e biologiche molto più insidiose di quelle descritte in precedenza sui singoli organismi. “I nostri risultati imitano gli effetti delle microplastiche su sistemi altamente produttivi, come le tipiche fioriture microalgali primaverili o autunnali nei sistemi costieri temperati”, hanno spiegato i ricercatori. La relazione, ancora poco conosciuta, tra plastica e ambiente, oltre ai suoi effetti per la salute umana, suggerisce di guardare con molta attenzione alla necessità di ridurre l’impatto antropico sulle comunità biologiche, anche considerando Ia commistione con i cambiamenti climatici dovuti al riscaldamento globale. Da questo punto di vista, il Mare Nostrum appare molto fragile, considerando il riscaldamento delle acque, il grado di antropizzazione e l’alta concentrazione di plastiche. In Italia E la situazione italiana non è diversa, perché, sempre secondo i ricercatori, nonostante esista una presa di coscienza del problema, non sono state prese decisioni concrete e sviluppate soluzioni efficaci. Cosi che, a tutt’oggi, i mari e le aree costiere italiane sono considerate a rischio per gli effetti delle microplastiche disperse in acqua. Le azioni e i comportamenti dell’agire umano da più parti auspicati, oltre a limitare la produzione di plastica, mirano a incentivare i materiali biodegradabili e a educare i consumatori alla riduzione dei consumi, al riutilizzo e al corretto smaltimento dei rifiuti. Questo articolo ti è piaciuto? Condividilo!