Attività ombra sui mari: la mappa reale di Simone Repetto il 28 Feb 2024 Quante navi e strutture “fantasma” ci sono nel Mediterraneo e negli oceani, cioè cose di ogni genere non rilevate o comunque non chiaramente individuate? Una risposta attendibile e aggiornata sta provando a offrirla la Global Fishing Watch (GFW), organizzazione internazionale senza scopo di lucro con sede negli USA. Petroliera in navigazione Nata nel 2015 dalla collaborazione di Google con le non profit Oceana e SkyTruth, la GFW è impegnata a supportare la gestione sostenibile degli oceani e la sicurezza marittima puntando sulla trasparenza dei dati e la tracciatura in tempo reale delle attività commerciali, a partire dalla pesca, utilizzando un mix di tecnologie digitali, radar e satellitari. Insieme a tre università – Wisconsin, Duke e California – ha recentemente presentato uno studio che, pubblicato sulla rivista Nature, scopre l’effettiva attività industriale nei mari, costituita da traffico navale, impianti di estrazione di idrocarburi e di produzione energetica. Peschereccio in navigazione E i risultati sono sconcertanti. Basti pensare che il 72-76% della pesca industriale globale è costituita da unità non monitorate, molte delle quali in aree marine protette, vietate alla pesca e alla navigazione. Ancora, il 21-30% dell’attività delle navi da trasporto e delle unità di estrazione e produzione energetica è fuori dai sistemi di tracciamento. Per la prima volta, i ricercatori hanno creato una mappa globale interattiva, scoprendo molteplici attività in alto mare ex novo (soprattutto condotte da pescherecci fantasma) e un picco nella produzione di energia offshore, al punto che gli impianti eolici marini avrebbero superato, in numero, le piattaforme petrolifere. “Sulla terra, abbiamo i dettagli di quasi tutte le strade e degli edifici del pianeta. Al contrario, la crescita negli oceani è stata in gran parte nascosta alla vista del pubblico. Questo studio aiuta a eliminare i punti ciechi e a far luce sull’ampiezza e sull’intensità dell’attività umana in mare”, ha affermato David Kroodsma, direttore della ricerca e dell’innovazione di GFW. Per giungere a questa conclusione, il team ha raccolto dati dai sistemi di identificazione automatica (AIS), dispositivi utilizzati per comunicare la posizione e la velocità di una nave, monitorando il suo viaggio nei sistemi pubblici di tracciamento. Quindi ha analizzato due milioni di gigabyte di dati satellitari dell’Agenzia Spaziale Europea, riguardanti il traffico oceanico tra il 2017 e il 2021, e ha “addestrato” un modello di intelligenza artificiale per identificare navi e altre strutture in mare. Confrontando tali risultanze con le posizioni mostrate nei rapporti AIS, i ricercatori hanno scoperto molti più pescherecci del previsto. È emerso un numero dilagante di “flotte oscure” (così chiamate perché non collegate alle reti di monitoraggio pubbliche), concentrate soprattutto nelle acque intorno all’Asia meridionale e all’Africa. In sostanza, si trattava di navi che operavano inosservate, interrompendo deliberatamente la loro connessione AIS. “Avevamo l’idea che stavamo perdendo una grossa fetta dell’attività che si svolge nell’oceano, ma non sapevamo quanto. E abbiamo scoperto che è molto più di quanto immaginassimo”, ha detto Fernando Paolo, autore principale del lavoro su Nature. Nel Mediterraneo, i dati precedenti avevano mostrato che la pesca sul versante europeo era dieci volte maggiore di quella sul versante africano. Ma il nuovo studio suggerisce che la pesca su entrambi i versanti è più o meno la stessa, con una concentrazione notevole di unità non tracciate di fronte alle coste tunisine, algerine, marocchine, albanesi, egiziane, libanesi, turche e greche, interessando anche quelle italiane, francesi e spagnole. “Queste navi, precedentemente invisibili, hanno cambiato radicalmente la nostra conoscenza sulla portata e l’ubicazione dell’attività di pesca”, ha precisato Jennifer Raynor, autrice dello studio ed economista delle risorse naturali presso l’Università del Wisconsin di Madison. Così, ad esempio, si è scoperto dove si concentra l’attività e con quali modalità. Come quella svolta dalle navi al largo delle coste della Tunisia e della Sicilia, che si radunano per pescare a strascico vicino ai canyon sottomarini. “Il tracciamento delle navi potrebbe anche migliorare gli sforzi di conservazione ambientale, considerando lo sconfinamento di parecchie unità osservato nelle aree protette”, hanno fatto notare i ricercatori di machine learning Konstantin Klemmer ed Esther Rolf. area basso Adriatico Oltre alla pesca, le mappe indicano che le wind farm hanno registrato un boom negli ultimi anni: al 2021, le turbine eoliche galleggianti costituivano il 48% delle infrastrutture oceaniche, rispetto al 38% delle piattaforme petrolifere. Il fatto che in mare operino più navi e strutture di produzione energetica di quanto si pensasse in precedenza attira l’attenzione sul processo in corso di industrializzazione degli oceani, che alcuni hanno definito “accelerazione blu”. “L’impronta dell’antropocene non è più limitata alla terraferma e questo lavoro mostra che l’oceano è uno spazio di lavoro industriale occupato, affollato e complesso, a sostegno della crescente economia blu”, ha dichiarato il coautore Patrick Halpin, ecologo geospaziale marino della Duke University. Una delle questioni indotte dalla ricerca è la normativa riguardante l’obbligo di accensione dei sistemi di identificazione automatica AIS delle navi, diversa da regione a regione. Aree Gibilterra – Sicilia Secondo la Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare (SOLAS), prodotta dall’Organizzazione Marittima Internazionale (IMO), il cosiddetto transponder deve essere installato a bordo di navi aventi almeno 300 tonnellate di stazza lorda e su tutte le navi passeggeri. Le unità registrate in un Paese dell’Unione Europea sono obbligate alle trasmissioni AIS quando superano le 300 tonnellate di stazza o i 15 metri di lunghezza, quando addette al trasporto oltre 11 passeggeri con normativa Solas e quando si tratta di pescherecci di lunghezza superiore a 15 metri. Altrove, per le autorità americane il limite è di 19 metri, mentre in Cina, Giappone e Corea del Sud non esistono normative specifiche AIS. A complicare il quadro ci sono zone del mondo, come nel quadrante Pacifico meridionale, dove la ricezione dei segnali AIS è scarsa. Aree mondiali commercio energia Oltre allo spegnimento volontario del sistema a bordo, c’è anche lo spoofing, ovvero la falsificazione intenzionale della posizione AIS attraverso sofisticati programmi di simulazione che fanno apparire una o più navi dove effettivamente non sono, ingannando gli osservatori. Tali pratiche sono evidentemente pericolose per la sicurezza della navigazione, come appare chiaro dai molti incidenti tra unità navali imputabili proprio al difetto di identificazione. Aree mondiali pesca Ma sottintendono spesso attività illegali. Si va dalla pesca fuori controllo (in termini di zona, tecnica impiegata, tipologia e quantità di specie ittiche pescate) alle navi con carico che “scotta”, in quanto non regolamentare, proveniente da attività illecite (tipici i trasporti di sostanze stupefacenti, armi e merci contraffatte) o da Paesi soggetti a sanzioni o a embargo. Uno dei casi recenti più eclatanti è quello della Russia, da più parti accusata di commerciare il suo petrolio nonostante le pesanti sanzioni e i blocchi nei porti europei dovuti al conflitto in Ucraina, anche utilizzando navi di altra nazionalità, non registrate/assicurate o, appunto, con i sistemi di identificazione spenti. E anche il mare nostrum pare non sfuggire a queste rotte oscure. Questo articolo ti è piaciuto? Condividilo!