Vedere, ma non toccare. E segnalare.

Può essere così riassunto il comportamento consigliato nel caso ci si trovi di fronte a un animale marino balzato quest’anno all’attenzione pubblica per un misto di bellezza, pericolosità e invasività: il vermocane.

Si tratta della specie Hermodice carunculata, un anellide che può raggiungere e superare i 50 centimetri di lunghezza e non passa certo inosservato. Ha una colorazione sgargiante, tra il rosso, giallo, verde, grigio e bruno, contornato da piccole appendici bianche.

L’insidia viene proprio da queste ultime, candidi ciuffi di setole contenenti tossine urticanti in grado – se toccate – di provocare dolori, bruciori, edemi, pruriti e intorpidimento. È per questo che è anche chiamato “verme di fuoco”, come altri suoi consimili.

vermocane
Vermocane nelle reti

Origine del nome

Nomenclatura suggestiva che trova le sue radici nel passato. Secondo la mitologia greca, i vermocani erano animali leggendari e poco raccomandabili, aventi le sembianze di un cane senza arti che strisciava, ma anche di un insetto che abbaiava e viveva agli inferi. Di vermocani negli oceani ne esistono quasi 150 specie, ma quella diffusa nel mare nostrum è il vermocane barbato.

Questo polichete carnivoro (parente dei lombrichi di terra) ha pochi nemici naturali e si nutre principalmente di animali morti, anche se è stato visto nutrirsi di prede vive che si muovono lentamente, come coralli, anemoni, stelle marine, piccoli crostacei e ricci.

È presente soprattutto sui fondi rocciosi, ma si può trovare anche su sabbia e fondali misti con la posidonia, fino a 40 metri di profondità. Vive in zone tropicali e subtropicali atlantiche ed è presente nel Mediterrano, comprese le acque italiane, dove è stato segnalato fin dal 1800, nel golfo di Catania. Non è dunque una novità e non si può parlare di specie “aliena” recente, ma il problema oggi sussiste per la sua invasività.

Forse per il riscaldamento dei mari riscontrato negli ultimi decenni, che ne faciliterebbe la riproduzione e lo sviluppo (a circa 27 gradi di temperatura marina), questa specie si è diffusa dalle acque sicule, dove abbonda, verso Nord colonizzando quelle pugliesi e calabresi risalendo l’Adriatico e il Tirreno fino al mar Ligure.

Come altre specie, segue il fenomeno ecologico in corso della “meridionalizzazione del Mediterraneo”, in base al quale organismi tipici delle coste meridionali mediterranee ampliano o spostano il proprio areale verso regioni più temperate, dove erano assenti o molto rare.

Foto di Gianfranco Alemanno

Diffusione

L’aumento della sua diffusione è stato riscontrato da alcuni studi scientifici ed è monitorato anche grazie alle segnalazioni della citizen science, cioè della gente comune. “Ha assunto un comportamento invasivo, specialmente nelle acque del sud Italia, dove sempre più di frequente i pescatori trovano questi vermi nelle reti e negli strumenti da pesca”, hanno riferito gli esperti dell’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale (OGS).

E i video dei pescatori non mancano neanche nella rete virtuale del web, dove denunciano, soprattutto in Sicilia, le difficoltà di pescare in certe zone per i troppi vermi catturati che mangiano le prede immagliate e rischiano di pungere i pescatori.

Così, da Milazzo, dal 2022, ricercatori dell’OGS insieme alle Università di Modena e Reggio Emilia, ISPRA, Area Marina Protetta di Capo Milazzo e ScubaBiology hanno avviato il progetto “Worms Out”, che punta a raccogliere dati ecologici e biologici sul vermocane e cercare soluzioni efficaci per gestirne la presenza e contenerne la proliferazione anche attraverso prelievi specifici.

Ma va maneggiato con cura, per non pungersi ed evitare di spezzarlo, in quanto può rigenerarsi da parti del suo stesso corpo, per riproduzione asessuata. Per il monitoraggio diffuso, daranno una mano le segnalazioni di chiunque li avvisti utilizzando l’applicazione AvvisAPP (valida anche per altre specie invasive, come la noce di mare) e compilando il questionario on-line sulla percezione del problema lungo le coste italiane.

L’obiettivo finale, oltre a quello di aggiornarne la distribuzione, è valutarne gli effetti sulle popolazioni delle sue prede e i potenziali impatti sulla struttura e sul funzionamento degli ecosistemi in cui prospera.