Giorno dopo giorno, quando si parla di barche in vetroresina e di osmosi, quando nasce un problema o quando si compra una barca, ne sento dire di tutti i colori, ma soprattutto sento bugie, mezze verità e falsità dichiarate a faccia tosta, aventi tutte lo scopo di minimizzarne o di esaltarne la gravità, a seconda del più bieco interesse personale di che vende una barca o di chi la compra o di chi la ripara.

Falsi miti sull’Osmosi

  • è una malattia gravissima fin dall’inizio;
  • l’osmosi non esiste;
  • non è osmosi, ma solo un piccolo assorbimento di umidità;
  • non c’è bisogno di curarla, tanto andrà via da sola;
  • le barche del tale cantiere non l’hanno mai avuta;
  • questa barca non può avere l’osmosi perché nella stratificazione c’è dell’Aramat;
  • questa barca non potrà avere l’osmosi, perché non ha strutture di legno rivestite di vetroresina, come le altre barche dello stesso modello;
  • questa barca (in vendita) ha avuto solo un leggero principio d’osmosi ma è stata curata con una vernice d’invenzione casereccia;
  • il nostro metodo curativo dell’osmosi è coperto da segreto e, come tale, non può essere divulgato;
  • nella nostra città non esiste l’osmosi;
  • il processo osmotico è un fenomeno naturale che non può essere totalmente evitato;
  • l’osmosi si presenta solo sulle barche più recenti;
  • l’osmosi si presenta solo sulle barche vecchie;
  • l’osmosi, in generale, durante i primi 4-5 anni non dovrebbe verificarsi;
  • il tale trattamento non va bene perché fa venire puntualmente l’osmosi dopo la cura ( di solito viene detto da chi fa trattamento con ottimi prodotti ma in modo assolutamente sbagliato o volutamente sbagliato).

E qui mi fermo, perché se andassi avanti a commentare, cosa che ancora no ho fatto, non la finirei più e, soprattutto, mi ci arrabbierei: mentre invece il mio scopo è di fare il punto sull’osmosi, in modo chiaro e pratico, per mettere un punto fermo sulle difficoltà e sui problemi che comporta questa malattia della vetroresina, di cui già tanti anni fa scrivevo su “Nautica” che non è cancro ma è morbillo. E, meglio ancora, è un morbillo costoso, ma che può essere curato in modo definitivo, applicando più che le tecniche, l’ONESTÀ, come adesso vedremo: mi si permetta soltanto una piccola presentazione storica della vetroresina.

Nel numero di febbraio del 1954 delle “Vie d’Italia”, edito dal Touring Club Italiana, a pag. 255 c’è un’interessante articoletto dal titolo “Voga delle materie plastiche”, in cui è riportato testualmente: “si va ormai diffondendo anche in Italia l’uso dei prodotto sintetici per la costruzione di battelli in sostituzione del legno. È ora in commercio il TEXCO, laminato ottenuto per accoppiamento di diversi diaframmi fibrosi interposto a lamine di eteri resinocellulosici, fusi e compensati tra loro. Il TEXCO viene descritto come eccezionalmente robusto, resistente ad ogni sollecitazione (trazione, perforazione, urti), impermeabile, imputrescibile, inalterabile. pesa meno del legno, dura di più; costa anche di più, almeno per ora, ma consente larga economia nelle spese di lavorazione, essendo stampato.

Come si vede questa descrizione della vetroresina entusiastica è rimasta bene in mente a tutti e della vetroresina più o meno tutti hanno quest’immagine di materiale durevole, poco costoso e di nessuna manutenzione.

Agli inizi degli anni ’60 in Italia si iniziò a costruire le prime barchette in vetroresina: lancette, gozzi e barchette aperte lunghe da 2 a meno di 5 metri, i primi tempi naturalmente furono abbastanza duri perché il legno la faceva ancora da padrone, ma nel giro di pochi anni la vetroresina, un materiale che sembrava avere solo pregi e nessun difetto, si impose sul legno, essenzialmente per la facilità di esecuzione e perché richiedeva una mano d’opera di non lungo addestramento.

Il bello è che l’osmosi non apparve per una ventina di anni, per lo meno fino agli inizi degli anni ’80: io stesso, pur visitando barche di tutti i generi avevo visto solo qualche raro caso in cui gli scafi presentavano delle vesciche piene di liquido e a cui ancora non sapevo dare un nome. Ricordo che le mie prime bolle le trovai su qualche barca americana: non sapendo come comportarmi feci delle indagini e, finalmente, in Inghilterra trovai uno studio fatto da colleghi periti su questo argomento, al quale veniva dato il nome scientificamente esatto di osmosi. Dai primi anni ’80 in qua la strada è stata tutta in salita: anche le barche italiane hanno cominciato a presentare queste strane vesciche piene di liquido, si sono fatti i primi studi sulle cause e sul modo di evitare la malattia, poi di curarla definitivamente.

Ormai da anni dell’osmosi non si dovrebbe più parlare perché sono ben chiare le cause e le cure: e invece eccomi qua ancora a discuterne e ad arrabbiarmi, costretto a confrontarmi ogni giorno con una realtà quotidiana che a volte rasenta il ridicolo: possibile che nel 1996 ci sia gente che non ha ancora capito cos’è l’osmosi e come vada curata? Purtroppo è così e, sperando che l’origine sia più nella disinformazione che nella disonestà, cercherò di affrontare questo argomento in modo chiaro e comprensibile per tutti, anche per quelli utenti e per quei cantieri che – in un modo o nell’altro – di fronte a questa malattia si inalberano e fanno finta che non esiste o, peggio, che invece sia mortale.

Cos’è l’osmosi e come si presenta

È un fenomeno chimico fisico consistente nel passaggio di un solvente, nel nostro caso l’acqua attraverso una membrana che separa due liquidi di diversa concentrazione salina. Ciò detto, non si è ancora detto niente, perché bisogna capire cosa avviene, in pratica, in uno scafo in vetroresina immerso nell’acqua.

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Condizione necessaria perché si formi l’osmosi è che all’interno dello stratificato in vetroresina siano rimaste intrappolate delle bolle d’aria più o meno vicine alla faccia di contatto del gel-coat; avremo dapprima il passaggio d’acqua attraverso il gel-coat, a riempire la bolla dimenticata. Successivamente l’acqua dentro la bolla inizia a sciogliere tutto quello che riesce a trovare di solubile dentro alla bolla: appretto del vetro, parti di resina non catalizzata ecc..

Successivamente questa soluzione concentrata richiama acqua dall’esterno attraverso il gel-coat, dopo di che la pressione nella bolla aumenta fino a che non si forma la vescica sulla carena.

Questo fenomeno prosegue finché la barca sarà immersa nell’acqua, per cui se una bolla allo stadio iniziale è di circa 3-4 millimetri di diametro, col passare del tempo e con la permanenza in acqua, aumenterà di diametro perché aumenta la pressione osmotica all’interno della bolla. In pratica, una volta avviato, il processo dell’osmosi prosegue e non è possibile sapere o capire quanto velocemente si espanderà o si aggraverà.

In altre parole, l’osmosi è una malattia degenerativa che non si arresta spontaneamente, se la barca non viene tolta dall’acqua: ma anche in questo caso, dopo mesi che la carena è all’asciutto, il liquido delle bolle rimane all’interno dello stratificato, pur distribuendosi per capillarità un pò ovunque, grazie alle fibre di vetro. Di modo che le bolle, dopo una certa permanenza in secco dello scafo, tendono a riassorbirsi leggermente e ad essere meno prominenti e visibili.

Questo fatto può essere abilmente sfruttato da che vende una barca che al momento dell’alaggio presentava dell’osmosi: infatti è sufficiente mettere la barca a terra senza toccare la carena e lasciarla per qualche tempo in secco, fino a che le bolle, in pratica, si vedranno sempre meno, un pò perché il liquido delle bolle si è distribuito su una maggiore superficie e un pò perché il degradarsi dell’antivegetativa all’aria aperta rende la superficie della carena rugosa e in cui i difetti sono ben poco visibili.

L’unica possibilità per verificare, dunque, se una carena da tempo a terra è affetta da osmosi è di controllarne il grado di umidità in carena con l’apposito igrometro, togliendo l’antivegetativa in alcune parti dell’imbarcazione, utilizzate come campione.

Però attenzione: non sempre la presenza di umidità in carena è sinonimo univoco di osmosi, mentre, al contrario, perché delle bolle presenti in carena siano derivanti da osmosi è che contengano del liquido, come dirò più avanti.

Spero di non avervi confuso troppo le idee: voglio dire che, quando una barca ha l’osmosi le bolle sul gel-coat sono necessariamente piene di liquidi, mentre può accadere che un’umidità assorbita dallo scafo non sia affatto sintomo di osmosi.

Quali caratteristiche deve avere una bolla perché sia incontestabilmente causata da osmosi?

  • La bolla deve essere di forma rotonda; questo perché la pressione osmotica al suo interno è praticamente uguale in tutte le direzioni.
  • La bolla deve fare gonfiare il gel-coat deformandone la superficie; talora capita invece che si trovino bolle tra più strati di antivegetativa, mentre il gel-coat sottostante convenientemente carteggiato risulta essere liscio. In questo caso piuttosto frequente, siamo soltanto di fronte ad un difetto dell’antivegetativa, che ha intrappolato del solvente o dell’acqua tra una mano e l’altra, cosa che accade quando si dà una mano di antivegetativa sopra ad un’altra non perfettamente asciutta o inumidita dalla guazza notturna o diluita dall’operaio per stenderla meglio. Consiglio infatti di rompere qualche bolla con l’unghia: se si rompe facilmente, questo avverrà solo se il difetto riguarda l’antivegetativa (ed è un difetto trascurabile), mentre sarà praticamente impossibile rompere il gel-coat con l’unghia, ma sarà necessario un punteruolo o il coltello. Mi sono dilungato su queste due possibilità perché capita spesso che ci si imbatta in bolle in carena, che però non sono quelle temute derivanti dall’osmosi. In conclusione quando ci si trova di fronte a vesciche si prenda il coltello delicatamente: se carteggiando l’antivegetativa appare una macchia rotonda di gel-coat, è possibile che ci si trovi di fronte all’osmosi.
  • Altra condizione per cui si possa dire che la vescica è sintomo di osmosi è che essa sia piena di liquido. Questo liquidi sarà un quantitativo minimo, ossia una minuscola goccia se la bolla è di piccolo diametro, mentre sarà abbondante – al punto di schizzare fuori visibilmente bucando la bolla con un punteruolo – nel caso in cui la bolla abbia un diametro maggiore di 1 centimetro o 2. Ricordiamo che il liquido contenuto all’interno di una bolla avrà sempre odore acetico e consistenza untuosa al tatto. Questo avviene perché in una bolla contenente liquido osmotico, il cloruro di polivinile, che riveste il vetro dei filamenti, viene trasformato nel processo osmotico in acetato di polivinile, che ha appunto un odore acetico piuttosto forte. L’altra caratteristica tipica del liquido della bolla, sempre untuoso al tatto, è di cambiare colore col passare del tempo: infatti in una bolla di piccolo diametro il liquido è sempre trasparente e di colore giallo molto chiaro, mentre in una bolla di grosso diametro è più scuro, arrivando nei casi più gravi ad essere marrone scuro, quasi nero.

Ci si chiederà a questo punto se vi sia un rapporto tra diametro delle bolle ed età dell’osmosi: questo rapporto esiste, nel senso che una bolla di 3-4 millimetri, che contiene liquido molto chiaro è sintomo di un’osmosi molto recente, mentre una bolla con il diametro di 3 o 4 centimetri ha già una certa età e contiene molto liquido scuro sotto forte pressione e dall’odore molto acuto.

L’età dell’osmosi purtroppo è importante perché spesso, nel giudicare una barca, per contestazioni o altro, il perito deve poter dire se il difetto è recente e non scoperto dal proprietario o risale invece ad anni prima e dunque poteva essere individuato dal proprietario della barca.

Questo argomento è parecchio delicato perché di solito sboccia quando ci si trova in Tribunale perché è stata comprata una barca senza tirarla fuori dall’acqua e, ad un successivo alaggio, si trova una carena cosparsa di bolle osmotiche; è logico che il precedente proprietario sosterrà che pochi mesi prima la barca non aveva osmosi e che dunque era stata venduta in buona fede e in buone condizioni, cioè priva di vizi palesi, mentre l’acquirente cercherà di dimostrare invece che l’osmosi ha già alcuni anni d’età e dunque il precedente proprietario doveva per forza conoscerne l’esistenza. È evidente la delicatezza dell’argomento.

In sintesi perché si possa dire che una bolla è di osmosi, si dovrà rilevare che è rotonda, che è sotto lo spessore del gel-coat o simili, che deve contenere del liquido e che questo dovrà essere di odore acetico e untuoso al tatto.

Quali sono le cause dell’osmosi?

Spesso mi viene chiesto di chi sia la colpa dell’osmosi, ossia da cosa dipenda questo vizio, rispondo sinteticamente: tra le cause prime della formazione dell’osmosi posso elencare:

  • qualità non eccelsa del gel-coat, nel caso che sia composto da una resina poco impermeabile: oggi infatti si tendono ad utilizzare resine per il gel-coat possibilmente prive di solvente e che diano le migliori garanzie di poca permeabilità.
  • Lavorazione non accurata, per presenza di bolle d’aria nello stratificato.
  • Eccesso di catalizzatore impiegato nel corso della stratificazione.
  • Stratificazione eseguita in ambiente troppo freddo o troppo umido.
  • Presenza di impurità o di sostanze solubili nel vetro o nella resina.

Oltre a questi fattori, dipendenti dai fornitori di materiali (vetro, catalizzatore, resine ecc.) e dal cantiere, ve ne sono altre, che dipendono dalla vita successiva della barca:

  • se la barca rimane tutto l’anno in acqua e viene messa a terra solo per qualche giorno per fare carena, aumentano di molto le possibilità che si formi l’osmosi perché aumenta l’assorbimento di liquido da parte dello stratificato o almeno del gel-coat che lo protegge, con possibilità di formazione di osmosi.
  • Se l’antivegetativa viene eliminata spesso fino ad arrivare al gel-coat, vi ricordo che se si usano levigatrici o altri mezzi meccanici, il gel-coat verrà graffiato o abrasivato e si ridurrà localmente di spessore. Siccome il gel-coat è la corazza che deve difendere lo stratificato dall’acqua, ridurre lo spessore può causare un assorbimento da parte dello stratificato: questo potrebbe anche, ma non necessariamente, dare luogo ad osmosi.

A questo proposito devo ritornare su quello che dicevo prima e cioè che non sempre l’assorbimento d’acqua da parte di uno stratificato comporta la formazione di osmosi: infatti l’osmosi si forma soltanto quando l’assorbimento d’acqua causa la soluzione di ciò che è possibile solubilizzare.

Vi è un caso in cui questo non accade: quando si notano sulla superficie del gel-coat delle bolle non rotonde ma di forma allungata, cioè strette e lunghe e disposte secondo varie direzioni, molto probabilmente non ci troveremo di fronte ad un fenomeno osmotico ma soltanto di fronte ad un leggero assorbimento d’acqua da parte della fibra di vetro. assorbimento per capillarità che non solubilizza nessuna sostanza e di solito è superficiale, perché interessa solo il primo strato di mat. È vero che questo è un caso piuttosto raro, che per di più si trova su barche molto vecchie, in cui cioè la stratificazione veniva eseguita con molta cura e a perfetta regola d’arte, ma in cui, con il passare del tempo il gel-coat diventa fragile e lascia passare un pò d’acqua, senza peraltro che questa causi osmosi.

Ecco perché prima di sancire che dei rigonfiamenti nel gel- coat sono osmotici, bisogna aver fatto un’indagine ben precisa, senza agitare lo spauracchio dell’osmosi prima che questa sia dimostrata.

Come ho detto sopra il semplice assorbimento di acqua dà luogo a leggeri rigonfiamenti oblunghi abbastanza percettibili non appena la barca esce dall’acqua; se invece lo scafo è a terra da diverso tempo non è improbabile che l’acqua precedentemente assorbita fuoriesca dallo stratificato, che potrebbe risultare quasi asciutto all’igrometro. In tal caso aprendo qualche bolla si potrebbe anche trovare che è perfettamente asciutta.

Una ragione di più per esercitare la massima attenzione prima di dire che si tratta di osmosi.

La gravità dell’osmosi

Diciamolo fuor dai denti: o una barca ha l’osmosi o non ce l’ha. Se poi ce l’ha il fatto che sia ad uno stadio iniziale o ad uno più avanzato non cambia minimamente l’approccio al problema né cambiano i metodi di cura. Per questo non ha molto senso minimizzare la presenza dell’osmosi, quando è agli inizi, perché varierà soltanto l’urgenza nel eseguire un trattamento curativo: se l’osmosi è poco diffusa e agli inizi si potrebbero anche attendere 2 o 3 mesi prima di eseguire il trattamento curativo, mentre se l’osmosi è diffusa su tutta la carena e le bolle sono di grosso diametro sarà opportuno intervenire quanto prima.

Questo concetto è ormai chiaro a tutti, come anche dimostrato dal fatto che i funzionari del R.I.Na. (www.rina.it), quando si trovano di fronte ad un caso di osmosi, non sempre obbligano ad un immediato intervento ma possono chiedere che venga comunque eseguito entro un periodo di tempo più o meno breve.

Ma cosa significa un’osmosi leggera o allo stadio iniziale o invece diffusa e grave?

Se le bolle sono di piccolo diametro e concentrate in alcune zone della carena, che non ne è ancora completamente affetta, si può parlare di osmosi allo stadio iniziale; se invece lo bolle coprono a centinaia gran parte della superficie della carena e se sono di diametro rilevante, con liquido scuro e sotto pressione, allora potremo parlare di osmosi allo stadio avanzato.

Ricordiamo dunque che un’osmosi trascurata dallo stadio iniziale passa abbastanza rapidamente ad uno stadio avanzato e dunque ben più grave. Ma perché più grave? Cosa succede all’interno delle bolle d’osmosi se non vengono curate?

Si dice che l’osmosi è una malattia degenerativa perché, se trascurata, continua ad aggravarsi: infatti, se la nostra bolla campione rimane immersa nell’acqua, l’effetto pompa aspirante prosegue sempre, cosicché la bolla aumenta sempre di diametro e la pressione osmotica spinge il liquido non soltanto alla periferia della bolla ma lo spinge anche con forza crescente verso l’interno dello stratificato. Se il liquido trova un efficace barriera in uno strato ricco di resina, la bolla aumenterà soltanto di diametro, ma se il liquido trova altre bolle d’aria nello spessore dello stratificato questo tenderà ad assorbire ovunque liquido, diventando praticamente un groviera.

Nella maggioranza dei casi l’osmosi rimane un fatto abbastanza superficiale, interessando – se allo stadio iniziale – spesso soltanto il primo strato sotto al gel-coat – ma interessando strati più profondi se l’osmosi viene trascurata; così si noterà sempre che una bolla di grosso diametro non soltanto crea delaminazioni circolari nella vetroresina ma tende anche a propagarsi all’interno; un fatto questo da evitare perché la cura della malattia in questo caso diventa più lunga, più costosa e più difficile.

Osmosi in barca
1. Dopo qualche anno si è costretti ad eliminare tutta l’antivegetativa, se ha raggiunto uno spessore eccessivo. Un’operazione delicata perché bisogna evitare di graffiare il gel-coat.

Osmosi in barca
2. Bolle di grosso diametro su un timone, una parte che spesso può presentare osmosi, mentre la carena ne è indenne.

Osmosi in barca
3. Le bollicine di piccolo diametro di individuano solo con la lente.

Osmosi in barca
4. Un caso frequente: le bolle sono piccole ma risultano abbastanza visibili perché – pur essendo state aperte, stuccate e riverniciate in una qualche stagione precedente, si sono riformate ed ora hanno la forma di piccoli crateri con la parte centrale rigonfia. Si noti il liquido fuoriuscito da una bolla che ho bucato.

Osmosi in barca
5. La stessa carena della foto n. 7. Una volta ben lavata la carena, si vedono bolle a centinaia.

Osmosi in barca
6. La misurazione dell’umidità con l’igrometro può essere un utile aiuto quando si ha a che fare con l’osmosi.

Osmosi in barca
7. Un attento controllo della barca quando questa è in secco è indispensabile. Infatti più starti di vetroresina possono celare il “morbillo della vetroresina”.