Alla scoperta di mondi lontani di Nautica Editrice il 14 Lug 2016 Nonostante la tecnologia abbia fatto passi da gigante, la frontiera ancora insormontabile è quella che impedisce all’uomo di raggiungere fisicamente altri pianeti.Grazie a sforzi e spese immense, a suo tempo giustificati solo da motivazioni di carattere politico- strategico, l’unico pianeta su cui si è potuto posare il piede umano è il nostro satellite, la Luna, la cui distanza dalla terra è meno di un centesimo della distanza tra la terra stessa e il più vicino pianeta vero e proprio ossia Venere. L’altro mezzo che consente di ottenere immagini, informazioni e analisi dell’atmosfera e della superficie di altri mondi sono le sonde automatiche, veri e propri robot telecomandati da terra che, non essendo condizionati dalla presenza umana a bordo, possono raggiungere corpi celesti più lontani. Ma anch’esse hanno delle limitazioni, sono costose e soprattutto impiegano anni per coprire distanze che nel cosmo sono insignificanti; senza contare che sono soggette a guasti, possibili collisioni con meteoriti e che se destinate a posarsi su di un corpo celeste non possono riprendere il loro viaggio. L’unica alternativa per acquisire informazioni sui corpi celesti più lontani è di “raccogliere” e analizzare le loro emissioni elettromagnetiche. Anche i corpi celesti, come qualsiasi altro oggetto, emettono infatti onde elettromagnetiche su diverse lunghezze d’onda, e proprio dall’analisi di queste onde che è possibile acquisire tutte le informazioni necessarie (temperatura, composizione chimica e distanza) per caratterizzare i diversi tipi di corpi celesti. La radiazione elettromagnetica più evidente e quella luminosa, ma in realtà l’emissione sulle lunghezze d’onda visibili è solo una minima parte dello “spettro” – ossia l’insieme delle lunghezze d’onda elettromagnetiche – esistenti in natura: Raggi X e gamma: emettono su questa lunghezza d’onda buchi neri, galassie attive e supernovae. Ultravioletti: emettono su questa lunghezza d’onda le stelle molto calde, gli aloni delle galassie e anche il Sole. Luce visibile: emettono su questa lunghezza d’onda tutti gli oggetti visibili. Infrarossi: emettono su questa lunghezza le stelle più fredde, i pianeti e le regioni dove sono in formazione nuove stelle. Microonde e onde radio: il fondo cosmico, le galassie attive e i resti di supernovae. Per scendere un pò nel dettaglio, vediamo ora come si comportano le onde elettromagnetiche e come possono essere captate e analizzate. Se intorno al nostro pianeta non ci fosse l’atmosfera, tutto lo spettro elettromagnetico emesso dagli astri raggiungerebbe la superficie terrestre, ma l’effetto “collaterale” sarebbe talmente dannoso da rendere impossibile lo sviluppo di qualsiasi forma di vita. L’effetto “filtro” dell’atmosfera, quindi, fa sì che dalla superficie terrestre sia possibile cogliere solo quelle radiazioni che riescono, totalmente o in parte, ad attraversarla. Questo tipo di radiazioni sono quelle che si trovano nello spettro del visibile (la luce), una parte delle onde radio, di ultravioletti e di infrarossi. Per poter captare i raggi X o gamma è indispensabile portarsi al di fuori dell’atmosfera. La constatazione del fatto che gli astri emettessero “qualcosa” in più della semplice luce risale a circa settanta anni fa, e il primo tipo di radiazione che gli astronomi furono in grado di captare furono le onde radio. Come per molte altre scoperte, anche questa avvenne quasi per caso, durante l’analisi dei disturbi nelle comunicazioni radio che si verificano durante i temporali. Gli scienziati impegnati nella ricerca si resero conto che all’insieme caotico di disturbi se ne sovrapponevano alcuni che si ripetevano ciclicamente ogni 24 ore, in concomitanza del momento in cui l’antenna ricevente era puntata verso il centro galattico. L’astronomia infrarossa nacque immediatamente dopo la guerra, grazie ai primi rilevatori sviluppati per esigenze belliche. L’ultimo sviluppo in questo campo è quello denominato come “astrofisica delle alte energie” che si occupa dell’analisi delle radiazioni che vanno dall’ultravioletto di più corta lunghezza d’onda ai raggi gamma, che è stato possibile captare solo da quando la tecnologia ha messo a disposizione della scienza dei vettori capaci di portare questi strumenti al di fuori dell’atmosfera. I tipi di radiazione che “raccontano” agli astronomi le caratteristiche dei corpi celesti conosciuti e che consentono di scoprirne di nuovi, sono veramente moltissimi, e per ciascun tipo esiste uno strumento rilevatore specifico. Le onde radio sono captate da speciali antenne collegate a ricevitori che, benché abbiano caratteristiche particolari (a partire dalla forma e dimensioni delle antenne), concettualmente non differiscono da quelli impiegati per le normali comunicazioni radio. Questi strumenti sono normalmente conosciuti con il nome di radiotelescopi. Le onde emesse nel campo dell’infrarosso sono captate da particolari ricevitori, ideati in campo militare verso la fine della seconda guerra mondiale per identificare fonti di calore. Anche l’astrofisica delle alte energie ha beneficiato dei progressi tecnologici legati a ricerche svolte in campo militare. I sensori impiegati per rilevare questo tipo di onde sono normalmente conosciuti come contatori geiger che, portati al di fuori dell’atmosfera, sono in grado di rilevare raggi ultravioletti e gamma emessi dagli astri. Per ultimo abbiamo lasciato il telescopio ottico, capace di rilevare e concentrare le radiazioni emesse nel campo del visibile e, per secoli, unico strumento a disposizione degli astronomi. I primi telescopi altro non erano che cannocchiali puntati verso il cielo e, ad esempio, il miglior cannocchiale realizzato da Galileo consentiva al massimo 23 ingrandimenti. I cannocchiali a rifrazione (quelli realizzati con una serie di lenti attraverso le quali il raggio luminoso arriva all’occhio direttamente dopo una serie di ingrandimenti) intorno al 1800 furono definitivamente soppiantati dai telescopi a riflessione, dove la luce viene raccolta da uno specchio e concentrata nel punto di osservazione. Questa tecnologia consente di ridurre – a parità di ingrandimenti – le dimensioni delle parti ottiche necessarie per realizzare lo strumento. I moderni telescopi hanno specchi con diametro di oltre 10 metri e hanno prestazioni 100 milioni di volte superiori a quelle del cannocchiale di Galileo. La frontiera in questo settore è rappresentata dal telescopio Hubble, posto al di fuori dell’atmosfera quindi indipendente dai suoi effetti schermanti, che sta consentendo un progresso delle conoscenze nel settore dell’astronomia impensabili fino a pochi anni fa. Questo articolo ti è piaciuto? Condividilo!