Speciale Coppa America: funzionamento e segreti degli AC75 di Andrea Mancini il 28 Giu 2024 Sommario Foil, certo!L’America’s Cup La carenaLuna RossaLe differenzeChi avrà fatto la scelta giusta?La copertaAncora le differenzeLe varie soluzioniI foilLe vele Foil, certo! Ma non solo. Carena dalle strane forme, coperta liscia come un tavolo da biliardo, albero rotante e vela alare soft wing. Tutto ciò sono le barche che tra pochi giorni inizieranno a regatare per aggiudicarsi il trofeo sportivo più antico del mondo. L’America’s Cup Il 22 agosto, data di inizio delle prime regate ufficiali di questa 37a edizione dell’America’s Cup, è ormai alle porte. Prevarranno, come sognano le migliaia di appassionati italiani, l’efficiente bellezza e la sofisticata ingegneria di Luna Rossa Prada Pirelli o le innovative soluzioni presentate da Alinghi Red Bull Racing? Le forme sorprendenti e l’idea dei cyclor sdraiati di NYYC American Magic o il “vado contro tutti” di INEOS Britannia? Oppure ancora il ruolo d’underdog, ma con progetto kiwi, dei francesi di Orient Express? Chi conquisterà il ruolo di sfidante ufficiale dovrà poi vedersela, a partire dal 12 ottobre, con il Taihoro del defender Emirates Team New Zealand. Taihoro che, in lingua Maori, vuol rendere l’idea dell’armonia e del movimento che dal mare arriva al cielo. Poesia a parte, è certo che l’AC75 dei kiwi, a lungo sviluppato in quel di Auckland, sarà la barca da battere. Proprio per arrivare un po’ più preparati a questo evento, così da poter seguire con maggiore coinvolgimento le regate tra gli AC75, queste strane e complicatissime macchine volanti che sfrecciano a 50 nodi spinte da un vento di soli 15, su questo numero cercheremo di capire il loro funzionamento. Ma cercheremo anche di notare e valutare le differenze tra le varie barche, così da saggiare la loro complessità, capire il senso di certe scelte progettuali portate avanti dai vari team, di alcune soluzioni tecniche adottate, di determinate forme. L’insieme carena-coperta di un AC75 assume la forma complessiva di un profilo alare sul quale si generano due forze di sollevamento: la prima dovuta al cosiddetto effetto suolo, ovvero il cuscino di aria in pressione che si crea tra la superficie dell’acqua e il fondo della barca; la seconda dovuta alla depressione sulla parte superiore (il dorso del profilo). Queste forze si aggiungono alla spinta del foil in acqua e favoriscono il volo. Partiamo quindi dallo scafo, parlando separatamente di quella che potremmo definire la carena, ovvero la parte inferiore che interagisce con l’aria ma anche con l’acqua, e della coperta, la parte superiore che interagisce solo con l’aria. Questo insieme carena-coperta è carenato come un’auto di F1 e assume la forma complessiva che ricorda quella di un profilo alare, con una superficie perfettamente avviata, senza interruzioni né aperture, nemmeno in coperta, se non quelle strettamente necessarie. Perché le velocità elevate e il fatto di viaggiare fuori dall’acqua rendono di fatto queste barche degli aerei. Ovviamente con significative differenze che ora vedremo. In queste due foto, che mostrano Luna Rossa in velocità di pre-decollo a 6-7 nodi, quando lo scafo è solo parzialmente sollevato, si possono ben notare la carena piatta per favorire l’effetto suolo ma anche la parte centrale a V profonda che garantisce una certa riserva di spinta idrostatica per smorzare le eventuali ricadute in acqua. Si nota pure la coperta perfettamente liscia e avviata con l’equipaggio nascosto nei pozzetti a murata. La carena Il termine carena nel suo significato navale indica quella parte di scafo a diretto contatto con l’acqua. Non a caso è sinonimo di “opera viva”. Su una barca volante, ovviamente, il suo significato va reinterpretato ed esteso a tutta la parte inferiore dello scafo, anche se il contatto con l’acqua è limitato a quando la barca è ferma o naviga in dislocamento a bassa velocità. Chiarito cosa intendiamo per carena, guardando le sei barche che si sfideranno sulle acque davanti a Barcellona a partire dal 22 agosto, sono poche le differenze che notiamo perché tutte e sei hanno delle carene con sezioni affilate e verticali a prua, che a poppa diventano piatte. Le sezioni piatte poppiere hanno la funzione di creare il cosiddetto effetto suolo, ovvero un cuscino di aria che rimanendo intrappolato tra la superficie dell’acqua e il fondo della barca fornisce una spinta verso l’alto, la quale si aggiunge a quella fornita dai foil favorendo il volo; le sezioni verticali di prua hanno invece la funzione di minimizzare la resistenza all’avanzamento nella navigazione dislocante per favorire il decollo. Alinghi, Luna Rossa e New Zeland (da sinistra verso destra). Le differenze tra queste tre barche, ma anche con le altre tre delle sei che si sfideranno a Barcellona, sono molto limitate e difficili da individuare. Siamo del resto giunti alla terza generazione di AC 75 ed è fisiologico un certo livellamento dei progetti Ma anche limitare i rischi di brusche decelerazioni quando la carena in volo incontra le onde, decelerazioni che provocherebbero una rovinosa ricaduta in acqua della barca. Ovviamente, queste forme sono poi state declinate in modo differente da ogni team. Anche se le differenze sono davvero molto limitate. Siamo del resto giunti alla terza generazione di AC 75 ed è fisiologico un certo livellamento dei progetti. Saranno quindi i dettagli a fare la differenza e questi potrebbero anche non essere visibili da subito, ma evidenziati più avanti con il procedere delle regate. Potrebbero pure essere ben mascherati dalle scelte cromatiche mirate a confondere l’occhio, così da nascondere il più possibile le effettive forme dello scafo. Questa foto evidenzia in modo chiaro come la carena piatta scelta da tutti i team (nella foto, Alinghi) favorisce anche la navigazione dislocante. Infatti, con poco vento o nelle fasi di pre-decollo, la barca si inclina leggermente sottovento e la metà sopravvento esce dall’acqua, con il risultato che la superficie bagnata quasi si dimezza e la resistenza di attrito dell’imbarcazione si riduce drasticamente (credits Paul Todd – America’s Cup) Luna Rossa A proposito di questo argomento, Francesco Bruni, timoniere di Luna Rossa, in occasione dell’unveiling della barca ha affermato: “Abbiamo degli oggetti molto simili che mi fanno pensare che saranno dei match molto combattuti e vicini. Piccoli particolari dal punto di vista aerodinamico. Piccole scelte che però non danno secondi. Dai numeri che ci fornisce il computer nelle simulazioni parliamo di millesimi di secondo da una parte o dall’altra. Se regatassimo solo con lo scafo, ad oggi sarebbero dei match molto vicini, mentre dal punto di vista dei foil ancora non abbiamo visto nulla“. Questa foto evidenzia in modo chiaro come la carena piatta scelta da tutti i team (nella foto, Alinghi) favorisce anche la navigazione dislocante. Infatti, con poco vento o nelle fasi di pre-decollo, la barca si inclina leggermente sottovento e la metà sopravvento esce dall’acqua, con il risultato che la superficie bagnata quasi si dimezza e la resistenza di attrito dell’imbarcazione si riduce drasticamente (credits Paul Todd – America’s Cup) Le differenze Le differenze più marcate, almeno quelle visibili, sono legate al modo con il quale i team progettuali hanno interpretato le condizioni di navigazione tipiche del mare di Barcellona nel periodo delle regate, caratterizzate da un vento leggero e onda corta anche di ritorno. Condizioni che anticipano la velocità di decollo che già ora, nei test preliminari, avviene a soli 6-7 nodi, ma che determinano anche il continuo pericolo di ricadere in acqua per improvvise perdite di velocità causate da una manovra sbagliata o dall’impatto con un’onda troppo alta. A tal proposito prosegue Francesco Bruni: “La parte idrodinamica dello scafo è più importante rispetto ad Auckland, quindi il tocco della prua avverrà più volte rispetto alle regate della scorsa America’s Cup in Nuova Zelanda, magari per un errore con onda più alta o anche per il poco vento. Immagino che gli scafi saranno più immersi e toccheranno di più l’acqua. In particolare, sarà interessante il comportamento della prua“. Non a caso è proprio la prua la zona dove si notano le maggiori differenze tra le varie barche. Se da una parte Alinghi Red Bull Racing ha optato per una prua molto affilata con una superficie piatta molto esasperata fin da subito, la prua di Ineos Britannia è molto più voluminosa e presenta in basso un rigonfiamento, una sorta di bulbo. Emirates Team New Zealand e Luna Rossa Prada Pirelli hanno invece scelto soluzioni intermedie che prevedono una maggiore gradualità nel passare dalle sezioni affilate di estrema prua alla superficie piatta delle sezioni di poppa. Nella sua linearità, la coperta di Alinghi mostra una maggiore complessità rispetto alle altre imbarcazioni. In particolare, sono ben evidenti le protuberanze a prua, probabilmente per favorire il flusso d’aria sul fiocco (credits Alex Carabi – America’s Cup) Si tratta di differenti soluzioni tese a cercare il miglior compromesso per tenere insieme due elementi: la facilità al decollo (superfici piatte) e la capacità di limitare le conseguenze delle cadute (volumi in basso), che presuppongono caratteristiche opposte. Entrambe, però, hanno in comune una lunga chiglia, più o meno voluminosa, che corre da prua a poppa e ha la funzione di fornire spinta idrostatica, spinta di galleggiamento, in quelle fasi di transizione tra la navigazione dislocante e il volo. È evidente che la scelta di Alinghi di una chiglia molto affilata, poco voluminosa, fa sì che la barca decolli prima e mantenga il volo più a lungo (effetto suolo), ma nel caso di ricaduta in acqua ha poco volume di carena che “ammortizzi” la caduta, potendo ritrovarsi con tutta la barca in acqua e quindi rallentando in modo repentino. Di contro Ineos Britannia dovrebbe avere più difficoltà a decollare e tenere il volo a basse velocità ma le sue cadute saranno molto più graduali e meno “rovinose” perché il maggior volume di carena permetterà di mantenere più facilmente una certa sopraelevazione sull’acqua che le consentirà di ri-decollare con più facilità. Allo stesso tempo l’esito di un impatto con un’onda potrebbe essere più penalizzante per una prua con i volumi maggiori. A differenza delle altre barche, la coperta di American Magic ha una sezione poppiera quasi piatta al fine di ridurre il volume in quella zona dello scafo e, così, di assottigliare la parte terminale del profilo sempre per ricercare una maggiore efficienza aerodinamica. Una scelta che ha determinato anche una diversa disposizione dell’equipaggio, con il timoniere e il velista affiancati trasversalmente e non in linea uno dietro l’altro come per tutte le altre barche (credits Alex Carabi – America’s Cup). Chi avrà fatto la scelta giusta? Chiaramente lo sapremo dopo che avremo visto le prime regate. Per ora non ci sbilanciamo perché, oltre che essere basate su delle immagini che danno poche informazioni, le nostre valutazioni non tengono conto del fatto che la singola scelta progettuale, come ad esempio il “bulbo” di Ineos Britannia, andrebbe valutata nel suo contesto di funzionamento, ovvero tenendo conto delle mutue interferenze di ogni scelta progettuale con il resto della carena. Cosa che del resto conoscono solo i progettisti e solo parzialmente. Alinghi, Luna Rossa, New Zeland e Ineos Britannia, sempre partendo da sinistra. Nonostante le scelte cromatiche appositamente adottate dai team per confondere, qui le differenze sono evidenti: dalla chiglia lunga e lo scafo piatto di Alinghi alla prua “bulbata” di Ineos Britannia passando per le soluzioni intermedie di Luna Rossa e New Zeland Chiudiamo il capitolo dedicato alla carena accennando all’importanza della navigazione in dislocamento che tutti i team hanno declinato con una carena che, nelle condizioni di vento leggero che ci si aspetta nel mare di Barcellona, si inclina leggermente sottovento e naviga sullo spigolo. In questo modo la metà sopravvento esce dall’acqua e la superficie bagnata quasi si dimezza, con il risultato da ridurre drasticamente la resistenza di attrito dell’imbarcazione. Essendo parte di un profilo alare, la coperta di un AC75 deve essere il più possibile liscia e avviata. Così, anche l’equipaggio è nascosto in profondi pozzetti dai quali sporgono solo le teste … ma soltanto quando è strettamente necessario (nella foto New Zealand). La coperta Se la coperta su una normale imbarcazione è semplicemente la superficie che chiude lo scafo, su un AC75 essa diventa il dorso del profilo alare costituito dall’insieme scafo-coperta. In questo modo, proprio sul dorso del profilo-coperta, per effetto delle elevate velocità, si sviluppa una depressione che genera una forza verso l’alto – la portanza – che si aggiunge a quella sviluppata dal foil e a quella dovuta all’effetto suolo della carena che sfiora l’acqua. Il tutto per favorire il volo. Evidentemente, come su una qualsiasi imbarcazione, sulla coperta insistono attrezzature e persone che, nel caso specifico degli AC75, dovranno dare meno fastidio possibile al flusso d’aria che scorre. Ecco, dunque, il motivo della coperta perfettamente liscia degli AC75, senza nemmeno un winch: carrelli e winch, pompe e serbatoi, chilometri di cavi e tubicini, tutto è nascosto sottocoperta. Parliamo di quei componenti e sistemi elettrici e idraulici che sono il cuore pulsante della barca, sistemi che muovono albero, timone, foil arm, foil e flap. Anche l’equipaggio è nascosto sottocoperta, alloggiato in profondi pozzetti dai quali sporgono solo le teste … ma solo quando è strettamente necessario, per non creare una resistenza aerodinamica aggiuntiva. Sempre per non creare resistenze aerodinamiche aggiuntive, tutto ciò che serve alla navigazione è nascosto sottocoperta, compresi winch, carrelli e tutto quel che serve alla movimentazione di albero, timone, foil arm, foil e flap: chilometri di cavi, tubicini, pompe, serbatoi (credit Ineos team UK) Per la disposizione dell’equipaggio, tutti i team sono partiti copiando la soluzione adottata da Luna Rossa ad Auckland nell’edizione dell’America’s Cup del 2021, in cui ciclisti e velisti erano nascosti in due lunghi rigonfiamenti sulle murate e non si muovevano da lì. Come fossero in una trincea. Compreso il timoniere, anzi i timonieri, uno per lato, che governavano alternativamente solo quando si trovavano sopravvento, per evitare di dover correre da un lato all’altro della barca. Il tutto per ridurre al minimo il disturbo aerodinamico e perdere secondi, anzi centesimi di secondo preziosi. Così, a Barcellona vedremo solo i caschi degli equipaggi sporgere il minimo indispensabile dai profondi buchi in cui si nascondono. Su ogni lato ci saranno un timoniere e un velista che si occupa di albero e vele, più i due ciclisti che generano l’energia che serve a muovere vele e foil. In tutto 8 persone nascoste in trincea. Ancora le differenze Le differenze fra le sei barche, quindi, sono fondamentalmente due: la prima, legata alla curvatura più o meno accentuata del ponte in senso longitudinale a similitudine del dorso di un profilo alare; la seconda, legata alla forma data al canale centrale creato sulla coperta per effetto dei due rigonfiamenti laterali in cui è nascosto l’equipaggio, canale al cui interno si muovono le vele e, proprio per questo, ha una grande importanza anche per la loro efficienza. Sulle varie barche, questo canale è più o meno arcuato e più o meno profondo in senso longitudinale, andando da prua a poppa, ma può anche avere una linea più complessa come nel caso di Alinghi, che ha delle protuberanze sulla prua, probabilmente per favorire il flusso d’aria sul fiocco. Le varie soluzioni Anche la sezione trasversale del canale è molto variabile, da quella pressoché rettangolare di Alinghi fino a quella quasi piatta di American Magic dove il volume dei rigonfiamenti laterali è ridotto al minimo, passando per una sezione con lati verticali e fondo curvo di Luna Rossa. In particolare, la soluzione adottata da American Magic prevede anche una diversa disposizione dell’equipaggio, che non pone i vari componenti in linea, uno dietro l’altro, come per tutte le altre barche, ma ha il timoniere e il velista affiancati trasversalmente. Questa soluzione, insieme a quella di far lavorare i ciclisti sdraiati e non nella classica posizione con lo sguardo rivolto in basso adottata da tutti gli altri team, ha dato la possibilità di ridurre il volume poppiero dello scafo e, così, di assottigliare la parte terminale del profilo barca. Sempre per ricercare una maggiore efficienza aerodinamica. Questa dei ciclisti sdraiati adottata da American Magic potrebbe portare anche ulteriori vantaggi legati a una maggiore efficienza del loro lavoro, che viene svolto in una posizione più ergonomica e con la testa rivolta verso l’alto, verso il buco sulla trincea. Questo dovrebbe assicurare una migliore respirazione rispetto ai ciclisti degli altri team che, invece, pedalano con la testa rivolta in basso all’interno del pozzetto per evitare di causare disturbo aerodinamico. Inoltre, a differenza degli altri team dove tutti i componenti dell’equipaggio guardano avanti, si avrebbero due persone per ogni lato con lo sguardo rivolto costantemente a poppa che, in gare in cui è molto importante anche capire cosa stia facendo l’avversario che segue, potrebbero dare al timoniere un’ulteriore informazione per scegliere la tattica di regata vincente. Staremo a vedere. Lo schema sopra mostra la disposizione in fila dell’equipaggio adottata da tutte le barche tranne che da American Magic (sotto) dove il timoniere e il velista lavorano affiancati trasversalmente Invece, l’originale soluzione adottata su Luna Rossa del ponte curvo, incavato, anche in senso trasversale, dovrebbe favorire le operazioni di regolazione della randa demandate alla sola regolazione della posizione del trasto che, scorrendo su un binario curvo, regola anche la tensione della scotta (che a sua volta regola lo svergolamento della randa) in modo automatico. Una finezza per addetti ai lavori che dovrebbe consentire di risparmiare una regolazione e, quindi, risparmiare energia. Può sembrare poca cosa, ma se pensiamo che queste barche verranno impiegate in match race nei quali ci saranno continui cambi di direzione, è evidente che ogni più piccolo risparmio di energia può rivelarsi un fattore determinante ai fini del risultato finale. L’originale coperta curva in senso trasversale, cioè incavata, di Luna Rossa, finalizzata a una maggiore efficienza nelle operazioni di regolazione della randa. Nella foto si vede bene anche la doppia randa senza boma che si “salda” alla coperta in modo da guadagnare qualche ulteriore metro quadro di vela e non avere perdite di efficienza dovute ai vortici di estremità (credits Ivo Rovira – America’s Cup) I foil I foil, ovvero i pneumatici di un AC75. Infatti, se da una parte i foil fanno volare la barca, dall’altra la tengono collegata all’acqua. Con una forzatura lessicale potremmo dire che i foil danno “aderenza”, tengono la barca “incollata” alla superficie dell’acqua sia in “rettilineo” sia in “curva”, esattamente come i pneumatici. A questo proposito, tutti ricordiamo i disastrosi effetti della perdita di “aderenza” dei foil della barca americana durante la regata con Luna Rossa nei round robin (gironi eliminatori) della scorsa America’s Cup. Allo stesso tempo, ricordiamo anche che proprio i foil furono uno dei principali motivi del gap di performance tra la barca di Luna Rossa e quella neozelandese durante la scorsa finale. Non a caso oggi tutti i team hanno adottato foil simili a quelli introdotti da New Zeland nel 2021, foil a T con una superfice completamente piatta, caratteristiche che minimizzano la resistenza idrodinamica rendendo la barca più veloce a fronte di un minore equilibrio in volo, soprattutto nelle manovre. Una scelta più rischiosa rispetto a quella che, all’epoca, fece Luna Rossa con i foil a Y aventi una maggiore superficie e un angolo di 150 gradi tra le due ali, caratteristiche che favorivano la stabilità di volo e la manovrabilità. In termini automobilistici davano più “aderenza”. Il tutto a fronte di un piccolo aggravio di resistenza idrodinamica che, però, ad Auckland fu determinante. Riassumendo, possiamo dire che con i foil a T si rischia qualcosa in più ma si va più veloci. Ed oggi, a fronte dei tre anni trascorsi dalla passata edizione dell’America’s Cup in cui è stato possibile sviluppare e sperimentare ulteriormente questa tecnologia, tutti i team ritengono di essere in grado di poter utilizzare questi foil con un accettabile grado di rischio. Detto ciò, prima di andare a vedere le differenze tra i foil delle varie barche, per la verità poco evidenti ma non per questo poco influenti, diamo qualche informazione su questo dispositivo così particolare. Innanzitutto, i foil sono due, uno per lato, e sono collegati a due bracci basculanti (foil arm) che hanno un’apertura massima di quattro metri; quando l’imbarcazione è all’ormeggio vengono abbassati per ridurre il baglio al minimo e occupare meno spazio. Nelle manovre, come il giro di boa in virata, entrambi i foil laterali sono in acqua per dare la stabilità necessaria. Ma nella normale navigazione, solo il foil sottovento è in acqua per fornire la spinta di sollevamento allo scafo, mentre quello sopravento assicura il momento raddrizzante che impedisce il ribaltamento. La portanza generata dal foil wing in acqua, oltre a sollevare la barca e farla volare, contrasta il momento sbandante causato dal vento che spinge sulle vele. Per massimizzare la coppia raddrizzante (il cosiddetto “momento”), i due foil wing sono applicati in fondo a dei lunghi bracci mobili, i foil arm, che vengono posizionati come due ali di uccello per distanziare al massimo (braccio di raddrizzamento) le due forze verticali di verso opposto, rappresentate dalla portanza del foil wing sottovento (forza verso l’alto) e dal peso dell’intero foil zavorrato sopravvento (forza verso il basso). A proposito, ricordiamo che tra le due ali del foil c’è un siluro zavorrato che permette all’intera deriva di superare i 1000 kg. A questa coppia raddrizzante si aggiunge un’analoga coppia raddrizzante costituita dal peso della barca ma avente un braccio minore. Al tempo stesso, gestendo la posizione del foil (con il foil arm) e l’angolazione dei flap di cui i foil sono dotati, si controlla l’assetto complessivo sia per evitare che il foil stesso esca dall’acqua e perda spinta di sollevamento sia per evitare che, al contrario, lo scafo si avvicini troppo all’acqua e vi impatti contro causando una frenata repentina. Va poi precisato che il sistema di movimentazione e i bracci dei foil (foil arm) per regolamento sono forniti da un unico produttore, mentre solo il foil vero e proprio – l’ala immersa in acqua – è frutto delle scelte del team di progettazione, sempre all’interno di una box rule che definisce il range di variazioni possibili. Inoltre, a differenza della passata edizione in cui era stato concesso di produrre tre set di foil, in questa prossima edizione i foil che è possibile costruire sono tre e basta, ovvero i due montati sulla barca più uno di riserva. Quindi “buona la prima”! Andiamo ora a vedere quanto fatto dai vari team. Le piccole differenze che è possibile notare riguardano fondamentalmente una diversa freccia del foil (inclinazione del bordo di attacco e di uscita dell’ala) oppure la curvatura e le dimensioni delle winglet, quel rialzamento all’insù dell’estremità dell’ala (come sulle ali degli aerei) che serve a ridurre la resistenza indotta causata dai vortici d’estremità. Ma anche la posizione di innesto sul siluro zavorrato che può essere un po’ più alta o più bassa, oppure il diverso materiale di costruzione scelto. A riguardo, tutti i team hanno optato per foil in carbonio, tranne American Magic che ha invece realizzato il suo foil in acciaio che permette di raggiungere spessori più ridotti ma ha una minore rigidezza. Come già accennato, per tutti salta poi all’occhio la riduzione di superfice rispetto ai foil del 2021, sia delle ali sia di quella parte di braccio verticale che si collega al foil arm monotipo, visibilmente più grande perché dimensionato sui foil della passata edizione. Proprio su questo passaggio tra il profilo più corto del braccio del nuovo foil e quello più lungo del foil arm si vedono le maggiori differenze, partendo da una rastremazione lineare vista su American Magic per arrivare al “bulbetto” di collegamento disegnato per Luna Rossa che in navigazione dovrebbe posizionarsi appena sopra la superficie dell’acqua per fornire ulteriore stabilità in caso di eccessivo sbandamento sottovento. A parte queste piccole differenze, per tutti è evidente il tentativo di ridurre la superficie, anche di pochi centimetri, che in acqua può tramutarsi in un grande incremento di prestazioni. Per inciso siamo arrivati a un’ala orizzontale con una superficie complessiva dell’ordine di grandezza del metro quadrato a fronte di una apertura alare di 4,5 metri. Il tutto per sostenere uno scafo di oltre 20 metri che pesa 6,5 tonnellate e viaggia a 50 nodi! Le vele Siamo dunque arrivati al motore della nostra F1, le vele. Il motore di una barca a vela. Si tratta del fattore rispetto al quale le differenze tra le scelte dei vari team sono più difficili da individuare. Se ci sono, probabilmente sarà possibile individuarle durante le regate. Per ora possiamo solo ricordare quali sono le caratteristiche peculiari delle vele di un AC75, a partire dalla doppia vela introdotta nella scorsa edizione. Parliamo della soft wing, costituita da due rande issate parallelamente, all’interno delle quali sono inseriti i controlli della forma. In più, rispetto a un sistema albero-vele tradizionale, grazie all’albero a sezione a D libero di ruotare in coperta a cui le vele sono infierite, si elimina lo “scalino” tra l’albero e la vela che rovina il flusso del vento proprio dove se ne potrebbe estrarre più energia. Il tutto consente di avere un’efficienza pari a quella di un’ala rigida ma con una facilità di utilizzo simili a quella di una vela tradizionale. Il paragone automobilistico si può tradurre in: più potenza ed erogazione più lineare della stessa. Vecchio e nuovo a confronto: in primo piano il nuovo foil a T di Luna Rossa; sullo sfondo il foil a Y utilizzato nella passata edizione dell’America’s Cup (credits Ivo Rovira – America’s Cup) All’interno della “soft wing” è poi inserita una serie di tools per la regolazione e il controllo della forma della vela, come il camber, la profondità del profilo alare, o il twist, lo svergolamento della vela, ma anche altri. Il tutto gestito dal randista che ha in mano una mini consolle tipo quella di un video gioco con la quale regola la scotta o il carrello della randa, ma anche lo spanner che permette la rotazione dell’albero, piuttosto che il tesabase con cui si regola il grado di curvatura della base randa (il cosiddetto grasso) e altro ancora. Le due vele inferite ai due vertici della D della sezione dell’albero creano un flusso molto più pulito rispetto a quello che si genera su un albero tradizionale, dove il flusso incontra uno scalino tra albero e vela Tutti questi controlli consentono di rendere il profilo asimmetrico tra sopravvento e sottovento, e avere un ala addirittura più efficiente dell’ala rigida, un po’ come l’ala di un aereo. Sempre in nome della massima resa aerodinamica, è diventato invisibile il boma, ossia l’elemento su cui viene inserito il lato basso della randa che si trova nascosto tra le due vele: il motivo è quello di sfruttare al massimo il profilo alare della vela, “saldandolo” alla coperta. Il discorso della coperta ribassata al centro a creare il canale, pur nelle sue diverse interpretazioni fornite dai vari team di cui abbiamo parlato in precedenza, oltre a ridurre la resistenza aerodinamica permette anche di guadagnare qualche ulteriore metro quadrato di vela, l’equivalente di qualche cavallo in più di potenza motore. Questo articolo ti è piaciuto? Condividilo!