Il dilettante, che ben difficilmente osa cimentarsi nella costruzione classica, può quindi essere relativamente ignorante in fatto di legno, ma deve conoscere bene le colle e saperle usare nel modo appropriato. Non c’è dubbio che questo priva l’opera dell’autocostruttore di una parte del fascino che circonda il lavoro del maestro d’ascia. Il legno è un materiale stupendo, vivo, infinitamente vario; conoscerlo è, ancor prima che una scienza, un’arte. Lavorarlo è un piacere, una gioia per i sensi, gratifica vista, odorato, tatto.

Il lavoro con le colle non solo è privo di questi aspetti sensuali, ma può essere anche piuttosto sgradevole: se il legno profuma le colle puzzano, se il legno si carezza con godimento per le colle c’è da porre la massima attenzione nell’evitare ogni contatto fisico, quanto alla vista nulla è più bello del legno lasciato “a vista”, mentre ogni sforzo deve essere fatto perché nella barca finita la colla risulti invisibile.

Detto questo le colle moderne hanno dei grandissimi pregi, ed è grazie ad esse che anche l’inesperto può pensare di realizzare barche che abbiano le stesse caratteristiche di solidità e sicurezza di quelle costruite da un maestro d’ascia.

Per capire l’importanza delle colle nella costruzione moderna occorre afferrare in che cosa le tipologie costruttive che si definiscono “classiche” si differenziano da quelle dette “moderne”.

Sinteticamente si può dire che nelle prime si utilizza il legno massiccio, che generalmente viene inchiodato, avvitato e talvolta incollato. Nelle barche classiche il legno, usato come materiale naturale, si muove espandendosi o ritirandosi a seconda del grado di umidità (come si suol dire “respira”). È proprio questo che consente alla barca di stagnarsi. Una barca classica appena messa in acqua dopo essere stata a lungo a secco lascerà entrare copiosamente l’acqua, ma basterà poco perché il legno espandendosi blocchi le infiltrazioni.

La costruzione moderna utilizza in prevalenza legni lavorati o trattati, come il compensato o il lamellare, e si basa sulle tecniche di incollaggio. Chiodi e viti sono usati soprattutto come complemento all’incollaggio per mantenere i pezzi aderenti fino a quando la colla non ha fatto presa. In questo tipo di costruzione il legno non respira. Se la barca dopo il varo fa acqua significa che c’è qualcosa che non va ed è vano sperare che si stagni da sola.

Un’altra sostanziale differenza, meno assoluta e netta della precedente, riguarda la concezione strutturale dell’imbarcazione. Nella costruzione classica lo scafo ha uno scheletro che dà ad esso rigidità e forma, ed un rivestimento (il fasciame) che lo ricopre per assicurarne la tenuta all’acqua; nella costruzione moderna generalmente è il fasciame stesso che, costituendo un insieme unico, assicura la rigidità e solidità dello scafo, o quantomeno contribuisce ad esse in maniera determinante.

Da quanto detto discende che sia la robustezza che l’impermeabilità dello scafo realizzato sono basati fondamentalmente sulla resistenza e la tenuta degli incollaggi.

La qualità dell’incollaggio dipende da vari fattori, e in particolare:

  • dal tipo di colla;
  • dal modo in cui viene impiegata;
  • dalla preparazione e dalle caratteristiche dei pezzi da incollare.

Prima di considerare questi fattori occorre definire che cosa si intende per buon incollaggio. La definizione è meno semplice di quanto potrebbe apparire a prima vista: si potrebbe ritenere che un incollaggio è buono quando sottoponendo a un carico di rottura il pezzo incollato il cedimento non avviene in corrispondenza della zona incollata ma nel legno. Questo potrebbe essere sufficiente in un tavolo, ma non lo è in una barca, in cui l’incollaggio deve rispondere anche ad altri requisiti particolari, come per esempio:

la resistenza dell’incollaggio agli agenti atmosferici e all’acqua, il che porta ad escludere tutte le colle che non sono classsificate come colle “marine” e restringe la scelta ad alcuni tipi fondamentali di colla che vedremo in seguito;
la resistenza al carico permanente, cioè ad uno sforzo che non è istantaneo ma continuativo. Si pensi al collegamento tra il fasciame di una barca e la ruota di prua: il relativo incollaggio è permanentemente sotto stress. Se la resistenza iniziale si riduce con il tempo il giunto finirà per cedere;
la resistenza alla fatica, che rappresenta la capacità di un materiale di sopportare molti milioni di cicli di carichi senza perdere le sue caratteristiche originali di resistenza. Ogni materiale ha le sue caratteristiche. Per esempio il legno (che è gia allenato quando è albero a resistere a continue sollecitazioni da parte degli agenti atmosferici) ha un’ottima resistenza alla fatica, molto superiore a quella dei metalli e della fibra di vetro.

Una barca che naviga fra le onde è un tipico esempio di struttura sottoposta a cicli continui di forti carichi e quindi anche le colle che contribuiscono alla solidità strutturale devono essere in grado di sopportare la relativa fatica senza diminuire la resistenza iniziale.

Non è facile trovare, ammesso che esistano, documentazioni tecniche comparative su come i vari tipi di colle marine soddisfano questi requisiti. L’argomento sarebbe comunque di interesse più per l’architetto nautico che per l’autocostruttore. Per quest’ultimo ho invece eseguito alcune sperimentazioni con le colle ponendomi obiettivi assai più modesti. È una sperimentazione “casalinga” che chiunque può far da sé senza nessuna attrezzatura particolare e in poco tempo. Non ha pretese di scientificità né consente di trarre conclusioni troppo precise ma è utile per farsi un’idea sulla tenuta dei diversi incollaggi e quindi mi sembra interessante riportarne i risultati.

Vorrei che i lettori considerassero questo esercizio soprattutto come uno stimolo ad approfondire l’argomento; proseguendo la sperimentazione per conto proprio.

Da questa, come da altre possibili sperimentazioni, risulta comunque che se un incollaggio viene eseguito come si deve seguendo accuratamente le istruzioni del fabbricante, preparando le superfici di contatto e garantendo un’adeguata area di incollaggio, tutti i tipi di colla svolgeranno egregiamente la loro funzione e non daranno luogo a cedimenti. Premesso questo principio generale in base a quali criteri l’autocostruttore orienterà la sua scelta? Mi sembra che i fattori da prendere in considerazione siano:

la facilità di impiego, che a sua volta è la risultante di molti fattori: per esempio una colla meno sensibile alle variazioni di temperatura e di umidità (quale la colla rossa) risulta più facile da usare rispetto all’epossidica, che necessita di una temperatura di almeno 15°. O ancora una colla con un più lungo tempo di utilizzo (come la colla bianca che concede ben 3 ore prima di diventare inutilizzabile) permette di lavorare con più calma di una che indurisce rapidamente come la poliuretanica. Per contro la poliuretanica è l’unica monocomponente, con il grande vantaggio che non richiedendo miscelazione di diversi componenti si può sempre usare nella quantità specifica richiesta anche in piccolissimi incollaggi.
La capacità di riempimento dei vuoti. Mentre il maestro d’ascia riesce a fare giunti perfettamente combacianti l’autocostruttore ha spesso l’esigenza di riempire i vuoti fra pezzi che non aderiscono a dovere. Non è quindi un caso che il primo usi di preferenza la colla rossa e la colla bianca che si ritirano indurendo e quindi richiedono pezzi ben aderenti e folti pressioni all’incollaggio mentre il secondo si orienterà in gran parte dei casi verso l’epossidica che non ha praticamente ritiro (non richiede quindi forti pressioni) o la poliuretanica, che si espande indurendo (la pressione fra i pezzi è necessaria per impedire che l’espandersi della colla li allontani).
Il costo, che deve essere paragonato tenendo conto tanto del prezzo al kg quanto del consumo necessario per fare gli incollaggi. Accade così che la poliuretanica, il cui prezzo al kg non è molto diverso da quello dell’epossidica risulta molto più economica perché il consumo è, a parità di lavoro da fare, di circa un terzo. Ancor più economiche sono la colla rossa e la colla bianca.
La nocività per la salute. Questo fattore va considerato ma senza drammatizzare. Se si prendono le precauzioni adeguate anche l’epossidica che è la più tossica delle 4, non provocherà all’autocostruttore alcun problema, così come la più innocua, che è la colla bianca, può causare fastidi a chi la usa sconsideratamente e trascurando le più elementari norme di sicurezza.

Va menzionato infine un consistente vantaggio dell’epossidica, di cui forse finora abbiamo messo in rilievo più gli aspetti negativi che quelli positivi. Mentre le altre di cui parliamo sono solo colle, l’epossidica è anche un’ottima colla, ma è più di questo. Non per nulla si parla di sistemi epossidici, intendendosi una serie di prodotti alla cui base è la resina epossidica bicomponente, che consentono varie lavorazioni e soddisfano numerose esigenze.

In particolare:

  • con la resina epossidica si può stratificare la fibra di vetro; nella costruzione amatoriale in compensato questo è utile per rivestire con nastro gli spigoli fra un corso di fasciame e l’altro;
  • miscelando alla resina degli additivi la si rende più densa (più tixotropica, in termini tecnici), facendole assumere una consistenza che, a seconda della quantità di additivo, può variare da quella della maionese fino a quella del burro Questo consente di usare la resina per incollaggi particolari. Per esempio si possono fare le cosiddette cordonature che si usano per collegare le paratie allo scafo e in molti altri casi;
  • la resina aderisce bene anche ai metalli, proprietà che la rende adattissima a fissare la ferramenta.

Sono queste caratteristiche, che solo l’epossidica possiede, ad aver fatto di essa il prodotto prediletto dai costruttori dilettanti e personalmente condivido appieno le ragioni di questa preferenza. Il mio consiglio agli autocostruttori è tuttavia quello di non fermarsi all’epossidica e di non dimenticare che in molti casi le altre colle potranno utilmente essere usate in alternativa, con uguale efficacia e con un consistente risparmio.
Una sperimentazione “fai da te” sulle colle
Le prove sono state effettuate incollando dei listelli di abete 2 x 2 cm e sottoponendoli a prove di carico in questo modo: i listelli vengono fissati ad una estremità e dall’altra parte del giunto si applica un peso di 5 kg (costituito – il Direttore non me ne voglia per questo uso improprio della rivista – da alcune copie di Nautica) a distanze via via crescenti dal punto di incollaggio. Nel momento in cui il pezzo cede si rilevava la distanza a cui il peso è applicato.

Si sono adottati tre tipi di incollaggio:

  • incollaggio di testa; è molto inefficiente e nella pratica pochissimo usato, essendo assai ridotta l’area dell’incollaggio stesso;
  • incollaggio a palella; è un incollaggio molto usato per giuntare listelli o pannelli di compensato. L’efficienza dipende dal rapporto fra lunghezza e altezza del giunto, che dovrebbe di norma essere almeno 8: 1. Piu è elevato questo rapporto maggiore risulta l’area dell’incollaggio e migliore la sua tenuta. Nel caso nostro era di 3:1. Volontariamente abbiamo fatto una palella scadente in quanto, volendo rilevare il carico di rottura dell’incollaggio, era necessario che il giunto cedesse prima del legno. In un buon incollaggio questo non dovrebbe mai accadere.
  • Incollaggio di costa, ottenuto sovrapponendo per un certo tratto un listello all’altro. È un incollaggio usato abbastanza spesso. C’è da notare che se sottoposto a trazione, come nel nostro caso, l’incollaggio provoca nel legno ad esso continuo uno sforzo dello stesso tipo in senso perpendicolare alla fibra, quindi proprio nella direzione in cui il legno è meno resistente.

Sono state effettuate varie prove con risultati abbastanza uniformi. Malgrado il carattere casalingo dell’esperimento qualche conclusione di tipo generale si può trarre, anche se sarebbe errato, e del tutto contrario agli scopi che mi sono posto, voler determinare in base a queste prove la superiorità di una colla rispetto ad un’altra. Ecco i risultati sintetici dei test effettuati:

Negli incollaggi di testa ha sempre ceduto l’incollaggio e mai il legno, a conferma del fatto che si tratta di un cattivo incollaggio. Si sono tuttavia ottenuti valori di resistenza abbastanza elevati: si pensi che l’incollaggio con epossidica ha ceduto caricando il peso a oltre 40 cm dal giunto. Un listello senza incollaggi cede caricando lo stesso peso a 65 cm. La differenza non è quindi enorme. Per dare un’idea più concreta della tenuta di un incollaggio di questo tipo segnalo che è molto difficile riuscire a spezzare a mano un listello di 15 cm incollato di testa al centro: provare per credere: io, che non sono né un Ercole né una mammoletta, non ci sono riuscito.

Valori di resistenza leggermente inferiori si sono ottenuti, nell’ordine, con la colla bianca, la colla rossa e la poliuretanica. Ho provato ad usare in questo tipo di incollaggio anche la resina epossidica pura (cioè non caricata con additivi), constatando che un giunto cosiffatto non tiene assolutamente. Infatti la resina pura, che ha un’elevata capacità di penetrazione, viene quasi interamente assorbita nelle fibre del legno lasciando il giunto praticamente a secco”. Lo stesso fenomeno accade anche con il giunto a palella; in questo tipo di incollaggi si deve quindi imperativamente spalmare prima la resina pura e poi, dopo che essa è stata assorbita nelle porosità del legno, dare un ulteriore strato di resina caricata prima di giuntare i pezzi.

A titolo puramente sperimentale ho anche confrontato la tenuta delle diverse colle in un giunto di testa in cui le due porzioni del listello non sono state sottoposte a pressione ma semplicemente appoggiate una sull’altra. La colla bianca e la rossa hanno ceduto quasi immediatamente, mentre l’epossidica ha evidenziato una tenuta non sostanziamente diversa da quella rilevata nell’incollaggio con pressione. Altra regola da memorizzare: colla bianca e colla rossa richiedono un’elevata pressione di incollaggio, l’epossidica no.

Negli incollaggi a palella sperimentati solo l’epossidica ha dato un risultato pienamente soddisfacente, nel senso che ha ceduto il legno mentre il giunto ha perfettamente tenuto. Con tutte le altre colle il cedimento è avvenuto in corrispondenza dell’incollaggio, anche se, nel caso della poliuretanica e della colla bianca, parzialmellte ha ceduto anche il legno. Tolta l’eccellente prestazione dell’epossidica le altre non hanno mostrato differenze signiticative: nell’ordine decrescente di resistenza si sono piazzate la colla bianca, la rossa e la poliuretallica: il carico di rottura è per tutte non di molto inferiore a quello del listello non incollato. Questo significa che con una palella migliore (per esempio 6:1) il giunto con tutti i tipi di colla terrebbe perfettamente e cederebbe il legno prima dell’incollaggio. La colla bianca e la rossa hanno dato sempre risultati abbastanza simili, con una lieve superiorità della colla bianca. Segnalo che per contro la colla rossa viene generalmente indicata come più resistente di quella bianca, tanto che alcuni ritengono quest’ultirna non adatta ad incollaggi strutturali, anche perché essa risulterebbe meno resistente agli agenti atmosferici. La minor tenuta della rossa negli incollaggi fatti dipende probabilmente dalla sua maggior penetrazione nelle porosità del legno che in questo tipo di incollaggi lascia il giunto povero di adesivo. Occorre quindi darne una quantità un pò superiore lasciandole il tempo di penetrare nelle fibre del legno prima di procedere al collegamento dei pezzi.

Negli incollaggi di costa, cioè fatti sovrapponendo due listelli, tutti i campioni di tutte le colle hanno dato lo stesso risultato, cioè ha ceduto il legno circostante l’incollaggio, ma non l’incollagio stesso. Come già detto questo è abbastanza logico vista la scarsa resistenza del legno se sollecitato in trazione in senso perpendicolare alle fibre. Questo incollaggio funziona bene quando il giunto non subisce uno sforzo di trazione (perpendicolare alle fibre del legno), ma di taglio (parallelo ad esso). È il caso del cosiddetto giunto “a lapazza”, che costituisce una pratica alternativa alla palella per collegare listelli o pannelli. È piu facile da fare e, soprattutto su listelli o compensati di spessore ridotto, garantisce resistenza uguale se non superiore.
Le colle marine

Colla a base di urea formaldeide

Viene comunemente chiamata “colla bianca” ed è commercializzata con vari nomi (Cascamite, Aerolite). È una colla in polvere, che si miscela con acqua (in peso due parti di colla e 1 d’acqua). Una volta miscelata rimane utilizzabile per circa 3 ore a 15°.

Pro:

  • la colla è trasparente e pressoché invisibile sul legno
  • gli attrezzi e le mani si puliscono con acqua e sapone ha una lunga durata di utilizzo
  • è economica

Contro:

  • richiede una torte pressione di incollaggio
  • non riempe i vuoti

Colla resorcinica

È una colla a due componenti a base di resina resorcinica (resorcina/fenolo/formaldeide). È la tradizionale “colla rossa”, anch’essa commercializzata con nomi diversi (Aerodux, Cascophen). Si mischia la resina, che è un liquido dal colore rosso scuro, con un induritore in polvere (a peso 5 parti di resina e 1 di induritore). Può essere usato entro 45 minuti a 20°. Non si può usare a temerature molto basse.

Pro:

  • ottima tenuta con costo modesto

Contro:

  • su legni chiari si vede la linea rossa dell’incollaggio
  • richiede forti pressioni di incollaggio e non riempe i vuoti.

Colla poliuretanica

È una colla monocomponente a base di poliuretano, esente da solventi, indurisce in presenza di umidità. Il tempo di utilizzo è di circa 10 minuti e il tempo di presa varia dai 15 ai 40 minuti. Si può usare a partire da una temperatura di + 5°.

Pro:

  • grande facilità e praticità d’uso
  • non richiedendo miscelazione si usa anche per incollaggi piccoli senza sprechi
  • la colla in eccesso si elimina rapidamente con un raschietto anche dopo l’indurimento riempie i vuoti

Contro:

  • ha un tempo di scadenza più breve delle altre colle
  • se il contenitore non viene accuratamente chiuso la colla indurisce e diventa inutilizzabile.

Colla epossidica

È una resina a due componenti che si miscelano in rapporti variabili a seconda del fabbricante (in genere 5 parti di resina a 1 o a 2 di induritore). In Italia sono particolarmente diffuse la West System, la C-System e la S.P. System. Può essere caricata con vari tipi di additivi (microsfere di vetro, silice colloidale microfibre di legno o anche con la polvere di legno che rimane nei sacchetti aspirapolvere della levigatrice) che ne diminuiscono la viscosità consentendone l’uso per stuccature o incollaggi particolari.

Il tempo di utilizzo varia, a seconda della temperatura e del tipo di induritore, dai 15 ai 25 minuti.

Pro:

  • varietà di applicazioni possibili
  • buona adesione anche sui metalli
  • riempe i vuoti e non richiede elevate pressioni di incollaggio.

Contro:

  • possibilità di impiego solo con determinate condizioni di temperatura (piu di 15°) e umidità
  • costo elevato
  • se usata a lungo può essere più nociva di altre colle e in alcuni casi dà luogo a irritazione della pelle ad altri disturbi.