Essere bravi piloti non significa essere altrettanto bravi tester. La prova di una barca, al fine di valutarne pregi e difetti tipicamente nautici, impone una serie di attenzioni alle quali è necessario prepararsi con molta cura.

Una mano sul volante, l'altra sul monoleva
Una mano sul volante, l’altra sul monoleva

Esiste un fattore che, relativamente a una qualsiasi imbarcazione, indipendentemente dal genere e dalle dimensioni, accomuna dépliant, schede tecniche, siti Internet, venditori e saloni: la cosmesi. Insomma, il trucco, il belletto, il make-up.

Quel velo di cipria che molto spesso riesce a esaltare le belle forme e a nascondere le imperfezioni.

barche esposizione
Le barche esposte a un salone sono tutte belle e navigano alla perfezione

Che si tratti di assoluta buona fede o di discutibile furbizia, il risultato non cambia: ciò che scaturisce da un’informazione “strategica” si discosta sempre dalla verità e, comunque, non offre al compratore la possibilità di mettere a confronto realisticamente ciò che vede – o che crede di vedere – con le sue aspettative, con le sue esigenze.

Questo è il motivo per il quale invitiamo sempre ad andare oltre le apparenze, nonché a evitare di innamorarsi di un oggetto senza prima averlo valutato con occhi disincantati.

display barca
Un buon display multifunzione offre tutto quel che serve per le misurazioni di una prova in mare

Per raggiungere questo importante obiettivo, è caldamente consigliabile compiere due passi fondamentali: andare di persona a conoscere il cantiere per capire chi, dove, come costruisce quel determinato modello; uscire in mare per provarlo. Già il semplice porre queste richieste costituisce un primo strumento di valutazione, poiché le relative risposte possono essere di per sé rivelatrici di qualcosa.

Per quanto riguarda la prima, a parte la possibile difficoltà – soprattutto di natura logistica – rappresentata dai cantieri stranieri, chi sa di costruire secondo i criteri della professionalità ama aprire al visitatore le porte della propria azienda. Al contrario, chi ha da nascondere qualcosa trova mille scuse per non farlo.

Analogamente, per quanto riguarda la seconda richiesta, chi dichiara a voce o per iscritto prestazioni e comportamenti assolutamente veritieri accetta di buon grado la prova dei fatti. Al contrario, chi sa di bluffare trova mille scuse per evitare di essere scoperto.

Va anche detto che, non di rado, è lo stesso bravo venditore a sollecitare la prova pratica: non tanto – o non soltanto – perché convinto della bontà di ciò che vende, quanto piuttosto perché conscio del fatto che una passeggiata in mare – soprattutto se svolta in chiave di gita-in-famiglia, in una località gradevole e durante una bella giornata di sole, magari arricchita da un buon pranzo in un locale caratteristico – costituisce una formidabile spinta all’acquisto.

Ecco, perciò, che la preziosa opportunità di un’uscita prettamente tecnica corre il rischio di trasformarsi in una dolce trappola.

qualità barca
In un salone per valutare le qualità “statiche”

La fase preliminare

Per procedere nella giusta maniera, la prima cosa da fare è dotarsi di tutta la documentazione tecnica disponibile relativamente al battello e alla propulsione prescelti (marca, tipo, potenza, elica), a cominciare da quella ufficiale del cantiere fino a quella risultante dalle verifiche svolte dai tecnici delle aziende fornitrici dei motori (cosa più facile da ottenere quando si tratta di formule package) e/o dai tester delle riviste specializzate. 

passerella
Valutare il collegamento barca-banchina

Talvolta, il confronto “a tavolino” di questi dati mette in luce alcune discordanze che, soprattutto se macroscopiche, devono essere giustificate dalla sussistenza di fattori ben precisi, come per esempio la diversa quantità di persone a bordo, la diversa entità del carico liquido, il diverso stato del mare, il diverso stato di pulizia della carena e delle appendici: condizioni che devono essere chiaramente indicate in cima a ogni test che si rispetti.

Tutto ciò deve essere annotato sul taccuino da portare con sé il fatidico giorno della prova, concordato con la riserva del maltempo e perciò da confermare con il minimo anticipo.

navigazione
Osservare il responsabile del cantiere durante la partenza

A proposito di condizioni meteomarine è assolutamente necessario aprire una parentesi per smentire categoricamente un luogo comune: quello secondo il quale una barca deve essere provata con il mare mosso.

Allora diciamo subito che, in situazioni difficoltose, sono assai più le capacità del pilota che non le caratteristiche comportamentali dello scafo a mettersi in evidenza. Facendo un paragone, è come se si pretendesse di valutare una normalissima automobile conducendola su un sentiero di campagna pieno di buche.

Dunque, quando ci si appresta a sottoporre a test una barca sconosciuta, è bene fare in modo che lo specchio d’acqua che ne costituisce il campo di prova sia nelle condizioni migliori: un’onda non tale da condizionare l’erogazione della potenza; un vento che non incida troppo sulla velocità massima e sulla stabilità di rotta; l’assenza di precipitazioni.

Se poi si è nelle condizioni di provare successivamente lo stesso scafo con molta onda (purché si abbia la capacità di eseguire un vero e proprio test in tali condizioni) allora ben venga.

Sistemata la questione meteomarina, resta da raccomandarsi con il cantiere che il giorno della prova la barca e il motore siano perfettamente a punto e che a bordo ci siano gli strumenti necessari: in particolare, un gps e un contagiri, magari compresi in un chartplotter multifunzione.

regolazione piede
Quando la regolazione del piede non basta a contrastare l’appoppamento

L’uscita in mare

Se da una parte sottolineiamo il fatto che la prova di una barca deve essere affrontata in modo tecnico, dall’altra raccomandiamo caldamente di non improvvisarsi spericolati collaudatori o grandi esperti.  Questo vale anche e soprattutto per coloro i quali, avendo una formazione culturale di tipo scientifico (per esempio, fisici, matematici e soprattutto ingegneri), potrebbero cadere nell’imperdonabile errore di salire a bordo e prendere i comandi con l’atteggiamento spavaldo del tipo “a me non la si fa”.

Sfidare in questo modo maldestro chi è veramente del mestiere – ed è assai probabile che a bordo ci sia qualcuno di questo tipo – significa essere perdenti in partenza su tutti i fronti. Dunque, quali che siano la propria professione e il proprio titolo di studio, le parole d’ordine per incominciare un buon test sono: umiltà, prudenza, buone maniere e cordialità.

Dato per scontato che la barca sia stata scelta tra tante sulla base di un attento esame a terra, si deve entrare nell’ordine di idee che la prova pratica ha inizio fin dal momento in cui si sale a bordo. In questa fase, infatti, si può scoprire se i vari elementi dell’allestimento (passerella, pedane, tientibene, gradini eccetera) rendano effettivamente comodo e sicuro il passaggio dalla banchina o se, al contrario, chi ha progettato quel modello non si sia neppure posto il problema.

distribuzione pesi
La distribuzione dei pesi su un piccolo gommone

Nella successiva fase di disormeggio, è necessario valutare con attenzione il grado di razionalità dell’attrezzatura coinvolta direttamente e indirettamente nell’operazione (bitte, passacavi, stipi, gavoni, alloggiamenti per i parabordi eccetera) e prenderne nota. Se non in casi eccezionali, è bene che la manovra in porto – per le possibili insidie che può rappresentare (cavi semisommersi, traffico eccetera), soprattutto tenendo conto della propria mancanza di dimestichezza con quell’unità – venga eseguita dal responsabile del cantiere.

Ma anche una volta fuori, in mare aperto, è utile lasciare a questa persona il compito di mettere a punto i vari elementi, osservandone con la massima attenzione ogni gesto e chiedendogli ogni tipo di chiarimento.

Per dare un’idea dell’importanza di questa fase, nella quale si è ancora spettatori, seppure critici, raccontiamo brevemente un fatto accadutoci poco tempo fa, in occasione del test di un gommone di media taglia.

Subito fuori dal porto, abbiamo notato che il responsabile del cantiere – che era ai comandi – ha invitato con un gesto discreto il suo assistente a sedersi all’estrema prua. Abbiamo rilevato la velocità massima, riscontrando che coincideva ragionevolmente con quella dichiarata sulla scheda tecnica. Ma quando è toccato a noi prendere i comandi, abbiamo chiesto a questa persona di sedersi in posizione più convenzionale, cioè al nostro fianco.

Ebbene, con questa nuova distribuzione dei pesi, decisamente più usuale e corretta rispetto a quella precedente, le prestazioni del gommone sono mutate drasticamente in peggio nonostante tutti gli interventi sui trim: segno che, all’origine, c’era un difetto alquanto grave di progettazione che – forse – sarebbe stato possibile risolvere apportando modifiche sostanziali alla dislocazione di alcuni elementi, in particolare quelle della console e del serbatoio di carburante.

La distribuzione dei pesi

Prendendo spunto dall’aneddoto appena raccontato, apriamo una parentesi su questo tema che, essendo di importanza inversamente proporzionale alle dimensioni dello scafo, può condizionare sensibilmente il giudizio di una barca di dimensioni contenute. Ebbene, il fatto che questa raggiunga senza problemi la velocità massima dichiarata dal costruttore non significa che essa sia perfetta in termini di stabilità.

Per poter stimare quest’altra caratteristica – che è di gran lunga la più importante per la sicurezza della navigazione – è necessario che il carico di persone e di cose venga il più possibile concentrato all’interno. Questo perché il bilanciamento longitudinale e trasversale dei pesi soddisfa certamen­te l’esigenza del giusto assetto, ma non automaticamente quella del­la corretta risposta dello scafo alle sollecitazioni esterne provocate dal moto ondoso e dalla spinta laterale del timone e/o dell’elica durante le accostate.

Ve­diamo perché prendendo come esempio il battello pneumatico, che, per la sua stessa struttura, può trovarsi in questa situazione più facilmente di altre tipologie.

distribuzione pesi a bordo

La figura 1 mostra due gommoni assolutamente identici, sia come scafo sia come motorizzazione sia come peso totale. L’unico fattore che li distingue è costituito dalla disposizione dei quattro pesi mobili che ne costituiscono il carico: in A essi sono posti verso le estremità; in B, invece, sono concentrati intorno al baricentro dello scafo.

Nella figura 2, osserviamo i due gommoni in navigazione, con i motori al massimo regime, su un mare assolutamente calmo: entrambi sono in perfetto assetto di pla­nata, hanno la stessa velocità e consumano la stessa quantità di carburante. Sembrano effettivamente identici in tutto e per tutto.

Nella figura 3, i due gommoni incontrano un’onda. Il gommone A mani­festa una decisa tendenza a infilarcisi dentro. Il gommone B, invece, risponde subito alla sollecitazione dell’onda e solleva la prora adattandosi perfettamente alla nuova configurazione.

Nella figura 4, i due gommoni vengono raggiunti dalla stessa onda, ma questa volta di traverso. Analogamente a quanto già considerato nel caso precedente, il gommone A non risponde prontamente alla spinta dell’onda e rischia di esserne traversato. Il gommone B, più agile o — come direbbe un fisico — in pos­sesso di un minore “momento d’inerzia”, riesce invece a reagire senza particolare difficoltà e, pertanto, resta perfettamente asciutto.

La formula che esprime questo comportamento è I = md2, laddove il “momento” è uguale alla “massa” moltiplicato il quadrato della distanza. Tradotta in termini pratici, essa significa che, al raddoppiare della distanza tra i pesi mobili (che ovviamente possono essere costituiti dai passeggeri), la difficoltà della barca nel superare l’onda si qua­druplica.

La morale di questo discorso è che, per rendere probante il test delle caratteristiche propriamente nautiche, è assolutamente necessario fare in modo che la distribuzione dei pesi consenta allo scafo di esprimere al meglio la sua “agilità”.

Il tasto del trim su un doppio monoleva
Il tasto del trim su un doppio monoleva

Trim in & out

A partire da una certa potenza, il sistema propulsore di un open (che si tratti di fuoribordo o di entrofuoribordo) culmina quasi sempre in un asse-elica a inclinazione regolabile continua. Questa viene operata dal servocomando elettroidraulico chiamato power trim, il movimento del quale viene attivato da un tasto deviatore che, quasi sempre, si trova inserito nella stessa impugnatura del comando monoleva, in corrispondenza del dito pollice.

Già di per sé, questa posizione suggerisce il fatto che quella del trim è una regolazione frequente – un po’ come quella dell’acceleratore – e che, perciò, richiede una certa sensibilità.

Tre sono le sue finalità fondamentali: la prima, che riguarda la fase di accelerazione, è quella di impostare per il cono di spinta dell’elica un misurato angolo verso il basso (trim-in), tale da generare una componente di spinta che sia in grado di contrastare il naturale appoppamento dello scafo in quel arco di velocità critico che segna il progressivo passaggio dall’assetto di dislocamento alla planata.

Gli effetti del trim sulla spinta di un motore fuoribordo

Possiamo quindi dire che, in questa particolare circostanza, il trim assume le funzioni che, soprattutto negli scafi dotati di trasmissione in linea d’asse, vengono svolte dai flap o dagli interceptor.

La seconda è quella di porre l’elica nella posizione più prossima all’asse di beccheggio (dunque, ancora trim-in), in modo tale da consentirle di mantenere il più possibile un buon avvitamento nell’acqua, anche quando un forte moto ondoso tenderebbe ciclicamente a farglielo perdere.

Il più delle volte, infatti, si ricorre a questa particolare configurazione durante la navigazione in dislocamento in condizioni di mare molto mosso. La terza e ultima finalità del trim è quella che più ci interessa in questa occasione, in quanto ci permette di confrontare in modo attendibile le prestazioni dichiarate dal costruttore con quelle effettivamente rilevate nel corso della prova.

Trim-out per la massima velocità
Trim-out per la massima velocità

In sostanza, si tratta di individuare quella regolazione che, in quelle specifiche condizioni di carico, costituisce il miglior rapporto tra l’efficacia della spinta e la resistenza d’attrito prodotta dagli stessi organi della trasmissione che agiscono immersi dentro l’acqua.

Detta così, sembra un’operazione estremamente complicata da affidare a chissà quali formule matematiche. Per fortuna, invece, si tratta di un procedimento empirico che richiede soltanto molta attenzione da parte del pilota.

La posizione da prendere come riferimento di partenza per una buona regolazione è quella che consente all’elica di ricevere il più possibile perpendicolarmente il flusso dell’avanzamento. Per individuarla, bisogna innanzi tutto lanciare il battello in una direzione costante, a una velocità che gli consenta di assumere un solido assetto di planata a un determinato regime: poniamo, 23 nodi a 4.000 giri al minuto.

Una volta stabilizzati i vari parametri, interveniamo con piccoli tocchi sul pulsante del trim, prima in un senso (trim-in), poi nell’altro (trim-out). Senza assolutamente intervenire sulla leva dell’acceleratore, troveremo sicuramente la posizione del piede che permetterà di raggiungere la massima velocità possibile. Il regime, molto probabilmente, sarà superiore rispetto a quello iniziale.

La planata di uno scafo "piatto"
La planata di uno scafo “piatto”

Tenuta a mente la posizione del piede (magari facendo riferimento all’apposito strumento analogico-digitale, se disponibile in plancia) ripetiamo questa stessa prova alla massima potenza.

A questo punto, dovremmo essere già abbastanza pronti nel trovare la posizione che permette di raggiungere il massimo regime previsto per quel determinato motore (talvolta, addirittura a superarlo) e, molto probabilmente, la massima velocità ottenibile con quello scafo.

A questo proposito, però, raccomandiamo di evitare ciò che gli anglosassoni chiamano overtrimming, cioè, in questo caso, l’eccessivo distanziamento del gambo dallo specchio di poppa.

La planata perfetta
La planata perfetta

Si capisce di essere in questa situazione quando il regime di giri cresce improvvisamente e il rumore del motore diventa irregolare, quasi metallico, indicando che l’elica sta ventilando oltre il lecito. In tal caso, prima ancora di intervenire sul trim per riavvicinare il gambo, è necessario togliere immediatamente potenza al motore, per evitargli un eccessivo stress meccanico.

Se alla fine di questa prova i valori rilevati corrispondono ragionevolmente a quelli dichiarati dalle relative schede tecniche, possiamo ritenerci soddisfatti della messa a punto e dei risultati.

La regolazione fissa dell’angolo del piede in un piccolo motore fuoribordo

Se invece non corrispondono affatto, nonostante che le condizioni della prova (motore, carichi liquidi, quantità di persone imbarcate, condizioni meteomarine) siano sostanzialmente identiche, i motivi possono essere soltanto due: o il battello in prova differisce in qualche suo elemento nascosto dal battello utilizzato per i test di cantiere (per esempio, nel tipo di elica o nello stato di pulizia della carena e delle appendici) o i dati dichiarati sulla scheda sono decisamente pompati.

Quale che sia la risposta, è il caso di chiedere le dovute spiegazioni.

A completamento di questo paragrafo, dobbiamo ricordare che, a differenza di quando detto finora, nei motori di potenza contenuta la regolazione del piede è completamente manuale e sostanzialmente fissa, in quanto si esegue spostando l’asticciola di fissaggio del piede da un foro all’altro (solitamente ce ne sono cinque) della forcella di sostegno.

Per quanto semplice, è un’operazione che potrebbe risultare poco agevole in mare e che, comunque, eventualmente, conviene senz’altro affidare al responsabile di cantiere che è a bordo.

i tasti di regolazione del flap
i tasti di regolazione del flap

Flap e interceptor

Ricordando che si tratta di superfici mobili azionate dalla plancia manualmente, mediante tasti deviatori, o da un sistema automatico, i flap e gli interceptor hanno soprattutto il compito di deflettere il flusso d’acqua longitudinale al fine di assegnare alla carena l’assetto ottimale e, entro quel range di velocità che caratterizza il progressivo passaggio dal dislocamento alla planata, di aumentare il sostegno dinamico della poppa.

Proprio per questo motivo, fatte alcune eccezioni che però esulano dall’argomento di questo articolo, quando ci si trova al di sotto o al di sopra di questa fascia critica – in altre parole, quando si procede in dislocamento e quando si naviga in piena planata – i flap dovrebbero poter essere tenuti a zero, in quanto la carena (se ben progettata in rapporto alla struttura generale del battello) deve poter esprimere tutte le sue qualità senza alcun aiuto.

Trim e flap per trovare il migliore assetto
Trim e flap per trovare il migliore assetto

Per contro, se a velocità già sostenuta, con il carico ben distribuito, ci si rende conto che l’intervento dei flap è utile a migliorare il comportamento dello scafo, deve sorgere il sospetto che qualcosa, nel sistema battello-motore, sia sbagliato. Ovviamente, anche su questo aspetto è necessario ottenere spiegazioni.

Un’importante eccezione a quanto detto finora è costituita da quei flap che, applicati sullo specchio di poppa dei battelli di piccole dimensioni (non a caso, quasi sempre si tratta di tender), non possono essere regolati continuamente per mezzo di un servocomando (sarebbe tecnicamente possibile ma economicamente sconveniente), tuttavia, grazie a dei semplici arridatoi, possono comunque essere fissati in determinate posizioni, capaci di contrastare l’inevitabile appoppamento dovuto soprattutto alla modesta lunghezza e di facilitare l’entrata in planata.

interceptor
Interceptor Humphree con il relativo strumento

Progressione in velocità

A questo punto, dovrebbe essere abbastanza chiaro che in accelerazione, partendo da fermo e fino alla sua massima velocità, un battello assume tutta una gamma di diversi assetti.

Si tratta di una progressione che dipende sostanzialmente dalla forma della carena e, più in particolare, da quella porzione che è pari a circa un terzo della sua lunghezza, a partire da poppa. Tanto è vero che il principale dato relativo alla sezione a “V” – ormai adottata dalla quasi totalità dei progettisti di scafi veloci monocarena – è costituito dall’angolo misurato proprio allo specchio: la cosiddetta “levata dei madieri” o, per dirla all’inglese, il deadrise.

Entro tutto l’arco dell’accelerazione possiamo distinguere sostanzialmente tre fasi: il dislocamento; la “zona di secondo regime” (termine che prendiamo in prestito dalla terminologia aeronautica); la planata.

Quando la barca è ferma, il suo galleggiamento è dovuto semplicemente alla spinta idrostatica, cioè quella forza che il fluido esercita sul corpo immerso, dal basso verso l’alto, in misura pari al peso del volume spostato. Ma non appena si muove, lo scafo viene sottoposto ad altre forze, stavolta di natura dinamica.

rib
Un rib in zona di “secondo regime”

Perciò, accelerando, esso assume un crescente appoppamento causato dalle onde che esso stesso genera. Il trascinamento d’acqua che ne consegue non rappresenta un difetto, bensì un comportamento del tutto fisiologico che si accompagna con la tipica formazione di una cospicua onda di poppa a immediato ridosso dello scafo. Sulla soglia del passaggio dal dislocamento alla zona di secondo regime, l’angolo di appoppamento incomincia invece a diminuire, portando lo scafo ad assumere un assetto sempre più orizzontale.

In questa fase, dando un’occhiata all’onda di poppa, si può notare che questa prende ad allontanarsi dallo scafo, tendendo a esaurirsi, mentre l’immersione della carena diminuisce (in pratica è tutto lo scafo a sollevarsi) portandosi a livello del ginocchio, cioè degli spigoli laterali che segnano il confine tra i fondi e le fiancate. È a questo punto che si può dichiarare raggiunto l’assetto di planata.

Da una carena a V particolarmente moderata o addirittura “aperta” ci si deve aspettare un comportamento diverso. La maggiore portanza dovuta a questa forma, infatti, sostiene la poppa assai di più di quanto abbiamo riscontrato nel caso precedente.

Dunque, il passaggio alla planata risulta decisamente più rapido, quasi brusco, con un’accelerazione improvvisa e un’immediata leggerezza del timone unita a una maggiore sensibilità dello scafo alle sue sollecitazioni. Questa brillantezza, anche sotto la spinta di potenze inferiori rispetto a quelle necessarie per uno scafo a V profonda di pari lunghezza e peso, viene pagata con una navigazione decisamente più dura e nervosa, soprattutto con il mare mosso.

La formazione di onde in dislocamento
La formazione di onde in dislocamento

Perciò, in termini di utilizzo e per pura esemplificazione, possiamo dire che se una carena piatta può consentire velocità di punta superiori rispetto a quelle di una carena molto stellata, quest’ultima garantisce senz’altro la possibilità di mantenere medie più elevate sui lunghi percorsi.

Terminata la prova di progressione in crescendo, si può passare all’esperienza opposta, cioè quella del rapido rallentamento. È una prova estremamente importante (da eseguire con la massima attenzione, solo dopo essersi assicurati che le altre persone a bordo si sono opportunamente preparate) che consiste nel portare di colpo le leve in posizione di folle mentre si sta procedendo alla massima velocità.

Il fine è quello di verificare che l’onda di poppa (formatasi nuovamente con il variare dell’assetto dovuto al rallentamento) non sia in grado di allagare lo scafo, una volta che questo ha quasi esaurito il suo abbrivo. Anche in questo caso, il comportamento dello scafo può essere diverso a seconda del tipo di carena.

Generalmente, a motivo della sua maggiore richiesta di potenza, uno scafo a V profonda tende a rallentare più rapidamente di uno scafo piatto, esponendo più facilmente lo specchio – anche perché più appoppato, a bassa velocità – all’impatto con la massa d’acqua sopraggiungente. Ma, indipendentemente da questo, la prova può essere dichiarata favorevole soltanto quando, persino in condizioni di carico volutamente errate, con i pesi nettamente spostati indietro, l’abitacolo non subisce il benché minimo allagamento.

prova di velocità
Prova di velocità su mare calmo

Accostate e derapate

Passiamo ora alle manovre finalizzate a valutare la qualità di risposta dello scafo alle azioni del pilota sul timone. Ispirandosi a un protocollo che normalmente viene applicato nelle scuole di volo, è necessario eseguire una serie di accostate controllate per un’ampiezza prestabilita.

Si tratta cioè di impostare cambi di direzione di 90, 180, 270 e 360 gradi (o anche di valori diversi, purché intenzionali) per verificare che tutta l’evoluzione, dall’inizio fino alla fine, abbia una progressione armonica e che lo scafo, nel momento in cui si agisce per stabilizzarlo sulla prua desiderata, assuma prontamente un perfetto assetto trasversale, senza dover subire ulteriori correzioni.

Per ottenere il migliore risultato, è necessario impostare raggi di accostata alquanto stretti, poiché uno degli elementi che meglio indicano la qualità della manovra è costituito dal variare dell’angolo di sbandamento (cioè dell’inclinazione rispetto all’asse verticale) che è in funzione, appunto, dell’angolo di barra impostato dal pilota.

Nei casi-limite, con il timone prossimo a raggiungere il suo fondo corsa, può capitare che l’elica ventili perdendo la sua presa in acqua, fenomeno alquanto fisiologico che si accentua particolarmente nelle configurazioni con due o più motori.

Un’accostata continua perfetta

In questo caso, dopo aver tolto prontamente potenza per evitare un prolungato fuorigiri, è necessario ripetere la manovra con una generosa regolazione di trim-in. Se il fenomeno persiste – e, soprattutto, se si manifesta macroscopicamente anche durante le accostate più ampie – significa che c’è un problema. Come nelle altre occasioni, è bene chiedere spiegazioni.

Su una barca con carena a V profonda, l’accostata è corretta quando, oltre a evolvere in modo progressivo e regolare, non incide troppo negativamente sul comfort dei passeggeri, i quali, in linea di principio, potrebbero anche restare in piedi senza accorgersi che la barca sta cambiando direzione, proprio come avviene su un aeroplano in virata.

Per contro, quindi, su uno scafo piatto – meno soggetto com’è al rollio indotto dal piede del motore – l’accostata può risultare più fastidiosa, così come la regolarità del percorso evolutivo a piena velocità può essere moderatamente turbata da piccole scodate che però mai e poi mai devono mettere a repentaglio il pieno controllo del mezzo, anche perché, oltre un certo limite, può verificarsi una vera e propria derapata involontaria.

Parlando invece di derapata controllata, va subito detto che, nell’utilizzo normale, non capita mai di dovervi ricorrere, così come non è affatto detto che l’imbarcazione abbia le caratteristiche per potervisi adattare.

Anzi, diciamo meglio: poiché si tratta di un’acrobazia che, se indotta da un’azione errata, può risultare anche molto pericolosa, è di gran lunga preferibile che – appunto – l’imbarcazione non sia affatto in grado di compierla. Per scoprirlo non c’è altro da fare che provarci, a condizione però che le proprie capacità di guida siano sopraffine.

derapata
Una derapata da brivido che mette in evidenza uno scafo potenzialmente pericoloso

La sequenza di comandi finalizzata a produrre la derapata è semplice ma richiede rapidità e tempismo. Possiamo scomporla in quattro azioni: 1) lanciare lo scafo in piena planata; 2) togliere rapidamente un po’ di gas (diciamo pure il 50 per cento); 3) contemporaneamente o immediatamente dopo (questo varia da carena a carena), dare timone alla banda, cioè tutto da una parte, possibilmente quella favorita dalla rotazione dell’elica; 4) dare di nuovo potenza.

A questo punto, se il battello è sensibile a questo tipo di sollecitazione, può effettivamente prodursi una derapata se non, addirittura, un vero e proprio testa-coda.

Il meccanismo dell’evoluzione si spiega con il fatto che l’alleggerimento della potenza un attimo prima dell’accostata – ma ancora in pieno abbrivo – fa sì che il battello subisca solo in parte l’effetto del rollio indotto dalla spinta laterale dell’elica e che, pertanto, inclinandosi assai meno del dovuto, lasci scadere la poppa in assetto “piatto”, un po’ come fanno quei sassi che, opportunamente lanciati sull’acqua, rimbalzano più volte sfidando la forza di gravità.

A questo punto, la sessione di prove può essere dichiarata conclusa. Molto probabilmente, in questo breve lasso di tempo, tra rilevazioni e manovre, saremo riusciti a condensare una gamma di situazioni che normalmente incontreremmo, diluite, in giorni e giorni di utilizzo o, addirittura, non incontreremmo affatto. L’importante è essere riusciti a scoprire – in condizioni di piena sicurezza – le luci e, soprattutto, le ombre di un mezzo che un domani, grazie a tutto questo, non potrà più riservarci sorprese sgradevoli nel momento meno opportuno.