I Variaghi, organizzazione mercantile mafiosa del Medioevo di Elena Casillo il 2 Ott 2016 Quando si parla di Variaghi di solito si pensa, quasi naturalmente, al Mar Baltico e alla Russia ed è sicuramente giusto immaginare queste persone vissute secoli fa come gente alla ricerca di un loro modo di vita proprio nella zona del Grande Nord (che a noi sta a cuore più di altre per i nostri studi) e cioè nella grande Pianura Russa. Tuttavia erroneamente li si associa con i Vichinghi e di qui si arriva a identificarli con i Rus’. Si continua infatti a leggere su Internet (ma anche su libri scritti da storici professionisti) etichette e didascalie dove i Variaghi sono descritti come Vichinghi dell’Est e simili. Non è solo questione di termini non pertinenti, ma ciò denuncia tutta una serie di atteggiamenti culturali creati e fissati da una filmografia dello spettacolare di tanti anni fa nei confronti di questi avventurieri al fine di omologarli agli schemi più popolari dell’eroe vittorioso nordico, imbattibile e senza regole, alla Kirk Douglas per intenderci. Tutto questo però non ha un gran fondamento storico. A quel che pare questi scandinavi se venivano dalle coste norvegesi, portavano con sé un certo tipo di spirito di avventura, mentre se venivano da quelle svedesi partivano forse con un molto minor impeto. A nostro avviso, i norvegesi partivano davvero verso l’ignoto quando si avventuravano nel Mar del Nord in cui un viaggio verso le coste più vicine in realtà comportava una navigazione, minimo!, di una giornata intera con correnti contrarie e tempeste frequenti. Al contrario, gli svedesi si muovevano in un mare interno, relativamente calmo e con brevi distanze da costa a costa. Nella discussione che qui segue cercheremo di chiarire proprio questi punti. Prima di tutto prendiamo una carta della Scandinavia fisica e mettiamocela sotto gli occhi. Se teniamo presente che nei tempi passati essa era considerata un’isola circondata dal Mare Oceano (cioè la si vedeva situata ai Limiti del Mondo, secondo le concezioni degli antichi geografi) possiamo subito accorgerci che per quanto riguarda i norvegesi, data una ragione per lasciare le proprie terre e cercarne delle altre lontane, recarsi nelle Terre Russe avrebbe significato dover fare tutto un giro vizioso intorno alle loro coste piene di fiordi fino a Capo Nord per poi virare verso sudest. Un’impresa certamente “spaventosa” perché condotta con le navi lungo le correnti dell’Oceano (Atlantico, come lo chiamiamo noi oggi sapendo che non finisce nell’orizzonte) popolato di mostri e che versava le sue acque attraverso vortici mortali (il Mælstrom, ad es., se ricordate Edgar Allan Poe) nell’abisso! Sappiamo dalle saghe islandesi che malgrado questi estremi pericoli ci fu chi riuscì, forse casualmente, ad aggirare il Capo Nord ed entrare nell’odierno Mar Bianco. Vagando sperduti nella taigà costoro capitarono presso un tempio dei Finni che lì abitavano e lo saccheggiarono delle pellicce e della altre cose preziose lì custodite, ma fu una di quelle imprese isolate che non furono più reiterate! A parte atti isolati comunque che rimanevano nelle favole, un’alternativa per “norvegesi” intraprendenti che volevano evitare l’Oceano avrebbe potuto essere quella di passare le montagne che dividono le coste svedesi da quelle norvegesi (le cosiddette Alpi Scandinave) e portarsi sulle coste baltiche. In questo caso però ci sarebbero state delle difficoltà ancora maggiori perché si entrava in terre non proprie e dove gli intrusi sarebbero stati trattati da nemici! A questo punto si può soltanto dire che, se non vogliamo far diventare i Vichinghi del passato degli eroi onnipresenti a tutti i costi, già dovremmo rinunciare ad immaginarli a spasso nel Baltico! Dalla carta aperta davanti a noi invece l’impresa di esplorare il Baltico (già lo si può immaginare) era più facile e più semplice per gli svedesi. Detto questo però, dobbiamo chiederci: Che cosa poteva spingere questi Variaghi (li chiamo così da subito) a migrare proprio ora, a lasciare le coste di casa propria per andare in terra straniera nel VIII-IX sec. d.C.? Così impostata la questione però in realtà è falsa, se non si corregge una questione di fondo: Non bisogna assolutamente pensare a migrazioni di interi popoli come già quelle nei secoli anteriori dei Germani diretti a sud del continente verso l’Impero Romano alla ricerca di nuove occasioni da sfruttare! Non c’è prova infatti, dopo la vera e massiccia migrazione dei Goti partiti dalle stesse lande nel II sec. d.C., di spostamenti esodali nelle epoche successive! Il clima freddo infatti che aveva complicato e ridotto i frutti della terra spingendo i Goti fuori casa ora si andava riscaldando. E diciamo qualcosa a proposito dei Goti. Il loro storico è Jordanes o Jornandes, vescovo di Crotone (551 d.C.) di probabile origine alana, che raccolse le tradizioni orali (che allora si conservavano molto bene nei ricordi degli anziani) nella sua famosa opera Gesta dei Goti. Qui si trovano non solo gli itinerari seguiti da questi svedesi, l’accenno alle necessità che li spingevano a lasciare la terra avita, ma anche i nomi delle genti del Grande Nord con le quali vennero a contatto durante il loro peregrinare, accompagnati talvolta da descrizioni anche puntuali sui costumi e sulle lingue. Sono notizie di questa regione che appaiono la prima volta nella storia europea e ci aiutano a capire molte cose del Nord Europeo. Siccome è utile riferirsi a quest’opera, ne riportiamo qui di seguito qualche rigo a conferma di quanto detto prima: “Nel Nord nei flutti salati del Mare Oceano c’è una grande isola: La Scandinavia (Scandza). Ha la forma di una foglia di albero di limone con i lati frastagliati, distesa per il lungo e chiusa in se stessa. Pomponio Mela informa che essa si trova sul Kattegat dove infatti il Mar Oceano arriva con le sue onde. La parte anteriore (orientale) è proprio davanti alla foce della Vistola che nasce nei Monti della Sarmazia e arrivato in vista della Scandinavia si divide in tre rami e si versa nell’Oceano (qui c’è una qualche confusione con il fiume Elba) dividendo la Germania dalla Scizia. L’isola scandinava ad Oriente ha un grande lago (è il Malaren) .. e in Occidente è bagnata da un mare immenso che la tocca fin nel nord e non è navigabile.” Leggendo oltre in questa opera preziosissima ecco che apprendiamo come un fosco mattino nella Terra dei Goti si raccogliessero a concione le famiglie dei maggiorenti per discutere di una situazione che ormai stava diventando invivibile. La comunità si era talmente accresciuta che la precarietà della locale agricoltura e delle altre risorse di cibo disponibili non permetteva più di nutrire a sufficienza tutti. Si decise allora di dividere il popolo in tre gruppi e poi di tirare a sorte per decidere quale di questi avrebbe lasciato la patria per sempre. Nel 150 d.C. il gruppo scelto dalla sorte dunque lascia le coste svedesi più o meno dalle parti dove si trova oggi Stoccolma e si dirige verso sudest. La geografia che illustra la penetrazione dei Goti attraverso terre oggi polacche è abbastanza chiara. Il primo fiume che incontrano sul continente è la Vistola che viene percorsa contro corrente. Ad ogni buon conto, senza andare oltre, la spedizione ebbe successo e il nome dei Goti si sparse per tutta l’Europa insieme con la fama di quell’impresa. Questa fama fu tale che ritornò nel nord fissandosi nelle tradizioni locali come la realizzazione di un grande sogno. E’ quasi sicuro che da essa nacque quel desiderio di volgersi a sud dove c’è la vera ricchezza (nel Medioevo intesa come abbondanza di cibo soprattutto), dove il calore del sole ti avvolge per tutto l’anno e dove ci sono città bellissime etc. etc. Non solo! La validità dell’itinerario scelto era confermata per chi ne avesse voglia nei secoli seguenti di percorrerlo ancora. Secondo noi, se per i Goti di Ermanarico (fu costui il capo della spedizione) la meta ultima era Roma in Italia, in seguito, dopo la devastazione vandala, la meta preferita diventò Roma Nova o Secunda ossia Costantinopoli. Questa mitica città che le genti del nord chiamavano semplicemente la Città Grande (Mikla Gårdhr) riconoscendola (come tutti i contemporanei d’altronde) come la più grande città del mondo, rimase invitta e accessibile almeno fino al XIII sec. Per i nostri Variaghi, sebbene le condizioni incontrate nell’ambiente attraversato dai loro antenati fossero molto cambiate nel VIII-IX sec. d. C., le sollecitazioni che li spingono verso le coste baltiche meridionali e orientali sono più o meno le solite, ma diverse nella sostanza da quelle che muovono invece i loro congeneri norvegesi verso Scozia etc. Sappiamo bene che è difficile distinguere i Norvegesi dagli Svedesi in base a costumi e lingua ancora oggi, ma siccome il nome di Vichinghi o, rispettivamente, di Variaghi è stato loro attribuito da altri (non scandinavi), pensiamo che sia importante distinguere bene i due epiteti per poter ricostruire le rispettive differenti prospettive. Né dobbiamo dimenticare che in quest’epoca (e fino al XII sec.) la Scandinavia non era unita sotto un unico signore, ma era ancora una congerie di signorie gelosissime dei propri territori. Il danese J. Brønsted mette Norvegesi e Svedesi in un unico fascio e, secondo noi, sbaglia. Addirittura esagera nel voler dimostrare che la misteriosa città di Volin sull’Oder fosse anch’essa “vichinga”. Alla stessa stregua bisognerebbe allora dirlo di Björkö. in Svezia o no? Addirittura nella Thidrekssaga (XIII sec.) si accenna ad una Grande Svezia da un estremo all’altro del Baltico comprendendo la Russia in un immaginario grande regno. Insomma, a nostro avviso, questa è un’idealizzazione della realtà per cui, visto che i Vichinghi conquistarono la lontana Islanda e che, come sembra, si spingessero fino alle coste del Canada, perché non attribuire a questi eroici navigatori anche la scoperta e la colonizzazione delle coste balto-russe per completare il quadro trionfante? E’ anche vero che in Norvegia arrivavano più frequentemente informazioni sugli insediamenti cristiani dei monaci cristiani irlandesi, visto che furono questi a colonizzare per primi le coste della lontana Islanda facendo tappa lungo le coste e nei fiordi. Essi narravano delle loro abbazie, dei loro conventi organizzati con i villaggi annessi lungo le coste francesi e inglesi e sulle isole ancor più a occidente. Hibernia è una di quelle da dove essi stessi provengono ed è situata in mezzo “all’innavigabile” mare Oceano che solo un santo monaco come san Brandano poteva attraversare. Con questi racconti e con i loro libri i monaci tentavano naturalmente allo stesso tempo di evangelizzare questi popoli pagani! E invece il loro raccontare attirò di certo l’attenzione e l’avidità di qualcuno e provocò le malaugurate imprese vichinghe su quelle abbazie e su quei villaggi indifesi. con base di partenza proprio da questa parte norvegese della Scandinavia. In Svezia al contrario sono i mercanti a portare la notizia dell’esistenza di un’altra Roma nel sud situata più ad oriente e delle capitali musulmane altrettanto magnifiche e ciò, secondo noi, risulterà molto allettante quando gli Svedesi capiscono di essere più vicini di altri geograficamente a queste città ricchissime purché riescano ad individuare le strade più corte per giungervi. Qui nel Nord giungerà persino l’informazione che ci siano le possibilità di essere ingaggiati a far da scorta armata a convogli commerciali oppure a diventare guardie a re ed imperatori o ancora a far da truppa speciale nelle spedizioni guerresche dell’Impero Romano. molto ben pagati! Questo è quello che è documentato! Dove trovare un mondo migliore per vivere invece di restare a penare in questo duro e precario nord? Come un qualsiasi avventuriero disperato o deciso a dare una svolta alla sua vita, il futuro Variago intraprendente cerca perciò una vita più agiata e, siccome l’unica cosa che sa far meglio è la lotta armata (anche per ragioni di dimensioni corporee e visto che il migrante è sempre un giovane in ottima salute e ben in forze). Attenzione però, non la guerra come la intendiamo oggi, ma l’arte di combattere nel corpo a corpo. Sarà uno di questi arditi a mettere insieme un giorno un gruppo di intenzionati come lui a partire! Seleziona i suoi compagni, si procura i finanziatori, acquista le armi (le migliori spade sono le lame importate dal Regno Franco, dove a quei tempi c’erano fior di maestri nella lavorazione dell’acciaio), costruisce la sua nave e, giunta la buona stagione, si va per il mare alla ricerca delle vie che portino a sud. Se osserviamo bene il Mar Baltico esso è un mare interno pochissimo esteso in confronto al Mediterraneo. E’ pienissimo di isole, quasi come l’Egeo e dunque facile da attraversare cabotando da un’isola all’altra. persino a nuoto! Muoversi da una costa all’altra è molto agevole e non c’è neppur bisogno di navi attrezzate per le tempeste “oceaniche” del Mare del Nord o per le lunghe traversate. Le famose enormi e impressionanti navi “vichinghe”, i knoerrar o i drakkar trionfali, qui sono superflue ed è inutile credere a quei documentari o a quelle storie di Vichinghi che viaggiano in queste acque su queste pittoresche navi! Un qualsiasi svedese alla ricerca di avventure non aveva difficoltà ad approdare sulle coste di fronte a lui, come fanno ancora oggi i suoi epigoni con le popolarissime barche a vela, senza dover necessariamente essere attrezzato con certi mezzi marittimi costosi. Ribadiamo che le grandi navi ritrovate dagli archeologi danesi e svedesi e ricostruite in vari musei, erano più necessarie sull’Oceano che non nel Baltico e, figuriamoci poi, lungo i fiumi russi! Lasciamo dunque i norvegesi nel loro Mare del Nord. a fare i Vichinghi e spostiamoci in Svezia sud-orientale. Ad esempio qui, partendo dall’Uppland dove oggi c’è Uppsala o da Sigtuna, a poche miglia c’è subito la grande isola di Gotland o verso nord, lungo le isolette chiamate oggi Åland, la costa finnica. Poco oltre, verso nordest, s’incontra già la costa della Curlandia e le isole che chiudono il Golfo di Riga e ancora dopo, qualche miglio più avanti, si entra nell’odierno Golfo di Finlandia per giungere così alle isolette che sbarrano oggi ancora il porto della moderna San Pietroburgo. Questa è il Baltico e questi sono i suoi navigatori medievali: i detti Variaghi! Non sono soltanto grossi gruppi organizzati in viaggio, ma anche qualche navigatore solitario. Anzi! Questi ultimi, se avevano fortuna, si stabilivano nei dintorni dell’approdo più favorevole e si rifacevano una vita sposando una figlia delle genti locali e la loro vita si concludeva felicemente. Di tanto in tanto sarebbero anche tornati in patria dai loro vecchi, proprio in vista del facile viaggio di andata e ritorno e, allo stesso tempo, avrebbero raccontato nel giro di amicizie delle esperienze fatte in quelle terre straniere che ora erano la nuova patria. Anche questo è documentato nelle saghe scandinave. Se riusciamo ad avere in mente questo scenario medievale e la sua epoca ecco che il quadro dei Variaghi nel Baltico diventa più realistico, rispetto alle fantasiose ricostruzioni di autori poco informati. Pensiamo a questo punto che sia chiaro che l’attività sanguinaria (secondo il nostro modo di vedere moderno) e la necessità di scorrerie lampo come quelle intraprese dai Vichinghi non possono essere ribaltate, sic et simpliciter, sui Variaghi! Un altro punto serve evidenziare e sottolineare ancora una volta per non deviare il nostro lettore lungo sentieri errati: Non è mai esistito un “popolo variago” alla ricerca di una terra dove fondare una nazione variaga nuova e perciò neppure la ricerca di un focolaio d’origine dei Variaghi in un esatto punto della costa svedese ha ragion d’essere. A noi consta che i Variaghi costituiscano delle bande armate organizzate per imprese di saccheggio. L’impresa deve fruttare tanta ricchezza da poter tornare in patria a riprendersi un posto sociale nella comunità migliore di quello che hanno lasciato. Forse sono gente emarginata o messa fuori legge o comunque che non ha altra possibilità che darsi all’avventura in mare. Questi viaggi, ricordiamolo, nel Medioevo erano pari alla morte! Si sapeva quando si partiva, ma si ignorava se si sarebbe mai tornati e, se è vera l’ipotesi che costoro fossero degli emarginati, con quel viaggio scomparivano per sempre socialmente. Se non lo sono ancora, diventano insomma in queste occasioni dei corsari, dei predoni armati che si presentano nella veste di mercanti, più o meno “pacifici”, e infine, oseremmo dire, li possiamo vedere come i precursori sia della “legale” dell’Hansa germanica sia degli “illegali” Vitalienbrüder di qualche secolo dopo che batteranno le loro stesse rotte! Ciò non contraddice il fatto che altri loro congeneri (di certo non esclusi i danesi e i frisoni, tanto per non far torto a Saxo Grammaticus) si possano trovare invece già integrati nelle realtà straniere della costa baltica meridionale, come abbiamo detto, perché da un’analisi linguistica del termine Variaghi si evidenzia che esso si riferisse solitamente agli armati che andavano verso il Baltico orientale più remoto e non a quelli che s’insediavano sulle coste o vivevano ospiti in qualche città delle Terre Russe “pacificamente” o in altre Terre Slave del Baltico. Il termine Variago infatti appare intorno all’XI sec. presso i cronografi greci ed è attribuito genericamente a gruppi armati di gente del nord e perciò, secondo la nostra lettura, le Cronache Russe errano (sono state scritte alcuni secoli dopo questi avvenimenti!), nell’elencare i Variaghi fra i “popoli” del Baltico, ammenocché non si leggano – questi elenchi – come una delle classificazioni dei popoli secondo la Bibbia (la famosa dispersione per il mondo dopo la Torre di Babele) in cui un “apolide” come uno svedese fuggiasco o pellegrino è inconcepibile. Per di più ci pare di poter distinguere nella nomenclatura fissatasi due tipi di svedesi: i Variaghi e i Kolbjaghi. Kolbjag è anch’esso un termine che compare tardi (XI sec. in Michele Attaliate, bizantino, e XVI sec. accettato nelle Cronache Russe) per un portapacchi, un trasportatore, un traghettatore o in realtà una specie di postino o guida che sa dove andare, se gli affidate qualcosa da consegnare ad un determinato destinatario, ma… straniero e svedese della zona di Polozk e di Pskov! Il termine ha un’etimologia norrena (la lingua degli scandinavi in cui sono scritte le saghe islandesi e antenata del moderno svedese e delle due lingue norvegesi ancora in uso) nella parola kylfingr che indica uno che usa la pertica o il bastone (per appoggiarsi, per indicare o come pegola), dunque più pittorescamente uno sperticatore (più avanti capiremo il perché di questa interpretazione)! Un Kolbjag è molto importante per chi voglia viaggiare lungo i numerosi corsi d’acqua della Pianura Russa. Infatti chi naviga contro corrente, se non conosce la strada per giungere al luogo prefissato, corre il rischio ad una confluenza di perdersi nella corrente sbagliata! Da Costantino Porfirogenito sappiamo che addirittura lungo i grandi fiumi russi (e moltissimi lo sono, avendo percorsi lunghi centinaia di km) sono da evitare le rapide altrettanto come le secche! Una guida che conosca bene l’itinerario, man mano che ci si addentra nel folto, è quindi importantissima. Non solo deve conoscere il luogo, ma saper anche parlare le lingue dei nativi che si incontrano per accordarsi con loro, per avere informazioni aggiornate giacché le correnti possono aver cambiato alveo etc. Insomma in altre parole deve essere uno che vive nella zona e che si presenta come persona affidabile in terra straniera. Dagli storici contemporanei sappiamo (ma si fa così ancor oggi in tutto il mondo) che il costume dei locali, una volta sorpresi e fattisi abbordare da chi viaggia nelle loro terre, é di dare informazioni sbagliate agli stranieri troppo curiosi (si aspettavano sempre guai dagli intrusi) proprio per sviarli e tenerli lontani dai propri villaggi nascosti nel fitto della foresta. Ecco dunque che dobbiamo immaginare il Kolbjag mettersi a capo (ben pagato!) della carovana di barche per guidarle lungo un percorso scelto, con la sicurezza delle proprie conoscenze. Vediamo allora come si organizzano i Variaghi all’inizio dell’avventura. La parola Varjag ci dà il primo indizio! Anch’essa ha un etimo norreno ossia nella parola varing/væring e significa colui che ha fatto un patto oppure colui che ha un ingaggio e, ripetiamo, anche questa parola è più tarda rispetto alle origini della storia russa. I Variaghi sono dei giovani scapoli presi a contratto a tempo determinato! A capo del gruppo c’è uno che comanda e organizza, che sa dove andare e che cosa fare, che ha raccolto notizie e informazioni su un certo luogo dove si trova un certo bottino. Ci si impadronirà di quella ricchezza e, il capo assicura, farà tornare tutti ricchi a casa. Altri particolari sull’intrapresa? Nessuno! I dettagli non vengono mai svelati, naturalmente! Quali sono i requisiti per la scelta dei partecipanti? Li abbiamo già delineati prima: Innanzitutto bisogna essere ben prestanti, saper maneggiare le armi e cioè spada e ascia di guerra e saper ingegnarsi a lavorare legno e ferro quando occorra, cucinare e cucire vele etc. perché qui si fa tutto da sé, senza alcun aiuto esterno. Se ci sarà da battersi tuttavia, ci si batterà fino alla morte. Per essere ingaggiati occorre però prestare giuramento e accettare la vara ossia i termini del contratto nelle mani del capo-spedizione. A questo scopo prima di partire ci sarà una grande cerimonia conviviale in cui si preparerà il cibo e lo si mangerà tutti insieme. Soltanto in questo modo il patto sarà sancito e chiuso con una solenne bevuta come è costume qui nel nord! A proposito! Nel gruppo non sono ammesse donne, salvo talvolta quella del capo. Aggiungiamo che non sappiamo se i Variaghi ricorressero anche loro al berserkr nel modo di combattere, come facevano i loro congeneri Vichinghi ubriacandosi o usando l’Amanita muscaria, ma certamente buoni bevitori e pronti a tirar fuori le armi per farsi giustizia da sé alla prima offesa ritenuta lesiva. Le navi che armano, è stato già detto, non sono grandi ed ogni equipaggio non supera la quarantina di persone (anche questo lo sappiamo dalle Cronache) ed ha vela e remi. Probabilmente hanno prora doppia come il knoerr vichingo in modo da non doverle manovrare troppo laboriosamente quando si inverte il senso di navigazione dopo un approdo. Addirittura sono convinto che, dopo la traversata via mare e prima di addentrarsi nelle correnti fluviali, le si lasciasse a secco in un posto sicuro proprio perché le imbarcazioni più adeguate erano quelle che usavano gli Slavi o i Finni (gli strugy o i paromy?) e dunque bisognava rivolgersi a loro per averne o farsene fabbricare una simile. Quando il tempo è arrivato, non appena il mare è libero dai ghiacci, si può salpare! Nel IX sec. la situazione “politica” delle coste baltiche ad est dell’arcipelago danese dipendeva ancora dalle “voglie” dei Vendi (in questo etnonimo sono conglobati tutti gli slavi presenti nel bacino dell’Elba e della Vistola) che si erano attestati a nord lungo la costa da Lubecca fino alla Curlandia dopo lo spazio lasciato dalle grandi migrazioni germaniche verso sud (Völkerwanderungen). I Vendi avevano un santuario nazionale ad Arkona nell’isola di Rügen e difendevano le loro terre dagli intrusi con le armi e le imboscate fino al XII-XIII sec.! Arenarsi sulle loro spiagge era perciò molto pericoloso perché si correva il rischio, mentre si facevano i tentativi di rimettere la propria barca in mare, di essere improvvisamente circondati (i Vendi erano solitamente in agguato fra gli alberi fitti presenti già a venti-trenta metri dal bagnasciuga!), spogliati letteralmente di tutto, fatti prigionieri e venduti schiavi nel sud! Anzi! A parte l’affidabilità storica di Saxo Grammaticus, questo ecclesiastico danese del XII sec. d. C. ci riferisce che una spedizione approdata sulle coste baltiche meridionali fu impedita a proseguire perché i Vendi avevano sparso il terreno con dei chiodi a quattro punte (tetraedrici) che non facevano camminare, se non si avevano delle spesse scarpe di legno! Dunque le coste dove ci sono i Vendi non sono ospitali e senza sostare si proseguirà oltre verso est. Se una banda si può affidare ad una guida esperta che è già a bordo, magari si passa fra le isole (oggi) estoni (Saaremaa e Hiumaa, soprattutto) che chiudono a nord nel cosiddetto Stretto di Irbes l’enorme “lago di mare” che è il Golfo di Riga, e costeggiando verso sud si giunge facilmente alla foce della Dvinà (chiamata dai lettoni Daugava). Anche qui però ci sono i Vendi (Ventspils sullo stretto, significa in lettone proprio Città dei Vendi!) ed è meglio evitarli, tenendo quelle isole a tribordo. Così facendo si giunge alla foce della Narva (fiume non lontano da Tallinn) che non è molto bene in vista dal mare, ma che è l’unico accesso verso il grande lago Peipus (o, come lo chiamano i russi “dei Ciudi” e “di Pskov”) giù fino a Pskov (anticamente Pleskov) da dove si può proseguire verso sud. Neanche questa però risulta una rotta molto battuta. Dunque si continua e si entra nel moderno Golfo di Finlandia fino alla foce della Nevà! Questo golfo è parte dell’estuario molto largo di quel fiume e la corrente non è forte poiché il dislivello fra il lago Nevo (oggi Ladoga) dal quale la Nevà scaturisce e il Mar Baltico è di ca. 5 m distribuito lungo (corto!) una settantina di km! Si naviga perciò agevolmente persino contro corrente. Mantenendosi più o meno al centro (la Nevà è quasi rettilinea e i suoi pochi affluenti sono facilmente distinguibili dalla presenza di fitti canneti) si evitano facilmente pericoli o agguati, sebbene non si sia vista un’anima viva finora! La densità abitativa nella cosiddetta Ingria (Ingermannsland in norreno e Izhora in russo, è il nome della zona dove oggi si trova la provincia di San Pietroburgo) ancor oggi è bassissima. A vista della costa si entra nel lago Ladoga, si arriva ad una specie di penisola abbastanza elevata e si è davanti alla foce del fiume Volhov. Perché ci si ferma qui? Evidentemente perché soltanto dopo aver doppiato questa penisola si sono scorti i fili di fumo che salgono dalle case del villaggio su palafitte sulla riva destra del fiume (noi, sognando di viaggiare con i Variaghi, siamo arrivati sulla riva sinistra) dei Finni locali. Non fidandosi di approdare, i Variaghi avranno fatto sosta dove oggi si trova Ladoga, una base logistica ancora abitata sulle rovine della vecchia stazione variaga. Qui si trova una fortezza costruita in mattoni nel XVI sec. e porta il nome di Ladoga la Vecchia (Stàraja Làdoga). Le tracce della postazione antica sono più tarde di quelle del villaggio finnico che si trova di fronte sull’altra riva e ciò ci conferma che i Finni erano presenti lì molto prima dell’arrivo degli Svedesi. Anzi! L’archeologia ci dice che i due gruppi etnici vivevano separatamente e che Ladoga, sebbene abitata solo stagionalmente e visto che non si sono trovate tracce indicanti un intenso consumo di alimentari né di una conflittualità permanente, era una postazione molto antica degli scandinavi persino anteriore all’arrivo, qui, degli Slavi. A questo punto occorre decidere il da farsi perché il tempo stringe e, se si deve proseguire per il sud, sarà meglio affrettarsi per organizzarsi adeguatamente, prima che il duro inverno ostacoli il cammino. Dobbiamo tener presente che le visite di queste bande rispettavano sempre delle date precise per non incappare nel ghiaccio invernale o nella fanghiglia primaverile nelle piste forestali e quindi se si partiva un certo giorno dalla costa svedese occorreva prevedere di tornare ad un cert’altro giorno per non rimanere bloccati dalla stagione sfavorevole. Possiamo pensare che più o meno il periodo rispettato era lo stesso del calendario marittimo dell’Hansa nel quale, ammesso che non ci sono stati notevolissimi mutamenti di clima fra il IX e il XV sec. d.C., si prevedeva la chiusura dei traffici fra Novgorod la Grande sul lago Ilmen’ e Lubecca a San Martino (11 novembre) lungo proprio quest’antica rotta variaga. Novgorod la Grande oggi non è molto lontana da San Pietroburgo e si trova (ad est) sulla sponda nord del lago Ilmen proprio all’uscita dalle acque di questo lago del fiume Volhov (che ne è l’unico emissario) e che, come abbiamo visto, scorre verso il Ladoga e vi sfocia dopo ca. 200 km. Qual è il legame fra la più antica repubblica europea e i nostri Variaghi? Secondo le Cronache Russe i Variaghi apparvero nei dintorni dell’area dove sorge Novgorod intorno agli inizi del VIII-IX sec. d.C. e s’insediarono sulla cosiddetta Cittadella di Rjurik (Rjurìkovo Gorodi’sc’ce) sulla sponda nord-est del Lago Ilmen da dove vengono fuori le acque del Volhov e alle loro prime apparizioni s’imposero come predoni e sfruttatori delle genti locali assoggettandole a tributo. Tenendo presente anche questo per il momento, proseguiamo il viaggio verso l’interno. La risalita del fiume si presenta abbastanza difficile perché la corrente ha alcune rapide e l’ultima è proprio poco prima della caduta nel lago Nevo. Il nome Ladoga (Aldeigja in norreno) deriva infatti proprio da questa situazione perché in finno-carelico con le parole Alode Jogi (di qui Aldeigja) si indica il Fiume Basso. Abbiamo lasciato la barca con la quale siamo approdati e ci siamo procurati una barca di quelle che usano qui senza chiglia perché dovremo affrontare alcuni problemi di trasbordo ed è l’unico tipo d’imbarcazione agevole ad essere trascinata sul terreno. Con l’aiuto dei cavallini locali aliamo la barca sui rulli lungo la riva per superare le rapide oppure, dopo le rapide, con lunghe pertiche la teniamo al centro della corrente. Tutto questo si può fare soltanto accordandosi coi Finni locali (che le Cronache Russe chiamano genericamente Ciudi o talvolta Vesi). Non è perciò plausibile che i Variaghi ricorrano all’assalto o alla distruzione dei villaggi perché così agendo ricaverebbero bottino (miserrimo) soltanto una volta, ma questo è già l’inizio di una filosofia della violenza che in queste circostanze i Variaghi saranno costretti un po’ alla volta ad abbandonare. Una cosa è da notare qui, ma ci spiega anche tante altre di cui parleremo più avanti: L’itinerario che stiamo percorrendo è, per così dire in termini moderni, sperimentale! Questa rotta infatti fu inaugurata proprio dai Variaghi! Abbiamo infatti accennato prima alle prove archeologiche relative ad un’antica presenza scandinava. Andare verso sud. ma per far che cosa? Le informazioni che i capi-spedizione hanno raccolto dicono che Costantinopoli o Baghdad sono lontane e per recarsi in quelle città occorre aver merce da scambiare e tutte le relazioni necessarie (accordi, mercanti riconosciuti etc.) per poter percorrere senza grandi intoppi l’itinerario abbastanza lungo e irto di punti daziari in mano a genti ostili. Questa prima tratta tuttavia passa in una landa veramente desolata. Gli informatori però hanno una sorpresa: Risalendo il fiume si arriva al lago Ilmen’ (o Ilmer’) che è a due passi dalle sorgenti del Volga, del Dnepr e della Dvinà (occidentale)! Questa è già una buona notizia perché è un indizio sicuro che lungo questi fiumi si viaggia verso i mercati delle città ambite! I Finni hanno informato che qui vicino, sulle rive nord del lago, è un ottimo posto dove trovare roba perché qui si formano i convogli e dove arrivano anche gli Slavi e gli Ebrei per commerciare. Il luogo a cui si fa riferimento diventerà più tardi Novgorod che non esisteva ancora alle prime venute dei Variaghi visto che è ricordata nelle Cronache Russe come “città nuova” solo nell’XI sec. Vicino alla Cittadella di Rjurik lo spazio per il mercato e posto di scambio c’era di certo poiché troviamo sulla stessa riva una postazione slava posta su un’elevazione del terreno e più a nord non molto lontano una postazione finnica, abbastanza antiche. Il lato in questione è più o meno quello che oggi costituisce la cosiddetta Riva del Mercato di Novgorod odierna. Un po’ più a sudovest, oltre il Lago Ilmen’, più o meno con le stesse caratteristiche c’era Gnjòzdovo che poi fu abbandonata e spostata qualche chilometro più in là, nella moderna Smolensk prima del X sec. Che intendiamo però per postazione, mercato, posto di scambio? Sappiamo dalle Cronache Russe e da altri autori che i Finni raccoglievano le pellicce pregiate con trappole apposite affinché la pelliccia non si rovinasse e dopo averle preparate ne facevano scambio con derrate alimentari di origine agricola dalle coltivazioni più meridionali degli Slavi con il famoso metodo del “commercio muto”. Il miele e la cera si raccoglieva invece nelle foreste più fitte dell’odierna costa Baltica e delle Paludi del Pripjat’. Per quanto riguarda poi gli schiavi, per i quali questa area diventò notissima in tutte le regioni musulmane, sappiamo poco in particolare sebbene possiamo immaginare che le famiglie che vivevano di limitate risorse naturali non esitavano a cedere i propri figli (bocche in più!) ai mediatori di schiavi in previsione di una vita migliore. Ebbene tutte queste “merci” (insieme con altre che qui tralasciamo di menzionare) venivano ben impacchettate e stipate sulle imbarcazioni. I posti di passaggio da una corrente all’altra (vòloki e ne riparleremo più avanti) costituivano infatti un momento di riposo, di riorganizzazione prima di ripartire. Detto questo, quando la frequentazione variaga in queste zone si fece preoccupante per le società slave più organizzate come Kiev deve esser successo che, non appena saputo della “nuova via” aperta dai Variaghi lungo le direttive nord-sud, l’élite meridionale al potere mandasse immediatamente gruppi di slavi (gli Slaveni/Sloveni) per colonizzare massicciamente la zona e metterla sotto controllo (sec. X sec.)! Costoro si arrestano dapprima sulla riva meridionale del lago Ilmen dove oggi forse lo prova la presenza della cittadina che porta il nome di Rusa (oggi Stàraja Rusa), ma poi si affacciano sulle sponde settentrionali senza però proseguire fino al lago Ladoga. L’arresto sulla sponda meridionale del lago è spiegabile col motivo già individuato due secoli fa dallo storico S. Solovjòv e cioè che gli Slavi da contadini quali erano non si spinsero oltre perché il clima non favoriva le loro coltivazioni tradizionali. Forse per ragioni di sicurezza o a causa del regime molto variabile del lago che a volte invadeva i terreni sulle sponde per chilometri di qui si passò sulle sponde settentrionali e così, insieme con gli alleati baltici in via di slavizzazione ossia Krivici e Dregovici, addirittura elevarono sulla riva opposta alla Riva del Mercato un santuario al dio balto-slavo Peryn (Perun, dio conosciuto anche a Kiev). Finalmente in periodi successivi (ca. X sec.) l’archeologia ci disegna Novgorod cioè la nuova città (questo è il significato del toponimo) come l’insieme di tre centri abitati vicini fra loro: Uno su un’altura, un altro oltre un piccolo affluente del Volhov e un altro ancora sulla riva opposta alla Riva del Mercato corrispondente alla tradizionale Riva di Santa Sofia. E’ proprio dai toponimi conservatisi che possiamo arguire che sull’altura abitavano gli Slavi, al di là del piccolo affluente i Finni e nel terzo, separato in seguito nettamente dal resto della città, vi abitavano i Variaghi. A partire da questa situazione tutta nordica si offrono due possibilità alle diverse bande variaghe: Offrirsi come scorta con ingaggio stagionale per i convogli che partono per il sud oppure rifornirsi di merci e dirigersi autonomamente sulla stessa rotta. Per quest’ultima ipotesi ancora una volta ciò significa o scambiare quello che si ha oppure depredare con la forza quello che non si ha! La seconda soluzione potrebbe essere applicata più facilmente visto che i Variaghi sono superiori militarmente, ma è anche senza sbocco perché poi bisognerà contattare gli intermediari che gestiscono i traffici e questi non si possono sottoporre ad azioni di forza, se si vogliono realizzare dei vantaggi. Si può anche rompere tutte le possibili barriere lungo le rotte, ma qui incontrerebbe l’opposizione delle altre bande variaghe o comunque dei popoli rivieraschi. Questa azione predatoria inoltre può riuscire una volta, ma non sarà più possibile una seconda perché tutto l’ambiente si ritorcerebbe ostilmente e addirittura verrebbe loro preclusa la via del ritorno! E’ escluso poi che si possa proseguire con intenzioni bellicose lungo i fiumi fino al prossimo punto daziario perché qui ci si troverebbero altri armati locali della Bulgaria del Volga e dei Cazari, molto più forti. Dunque si rinuncia a fare i pirati “alla vichinga”. Qui bisogna adeguarsi all’ambiente e presentarsi come vere e proprie “forze dell’ordine”, ma. a servizio dei capi locali! E chi sono i capi locali? Dalle notizie che abbiamo, l’élite al potere a Kiev è formata da Slavi. Altri insediamenti slavi nel nord sono: Polozk, Turov, Pskov, Rusa etc. e diventeranno stabili soltanto intorno al X-XI sec. sotto Kiev. Non ci fermeremo qui sui prodotti apprezzatissimi nei mercati del sud, ma dobbiamo ammettere che ci si accorse subito del valore delle merci ottenibili qui e della possibilità che si offriva tramite gli Slavi con i loro agganci di organizzare dei traffici molto proficui! Certamente il traffico Nord-Sud da queste parti non era cosa nuova giacché già Tacito ne parla a proposito dell’ambra e dell’avorio, quest’ultimo sia fossile dai mammut sotto il ghiaccio sia dai trichechi dell’Artico ottenuto sempre tramite i Finni (gli Aestii?). Rivediamo allora gli itinerari e la logicità della loro esistenza. Il primo in funzione per moltissimo tempo è quello lungo la Dvinà di Polozk. Gli Slavi di Polozk, Krivici e Polociani, erano attestati molto all’interno rispetto alla foce del fiume che sbocca dove oggi si trova Riga e ciò si spiega con motivi sia ecologici che di spazi disponibili per la coltivazione. Infatti le tribù slave in migrazione avevano dovuto fermarsi dove la zona era occupata da popoli a loro affini: i Baltoslavi (da cui poi scaturiranno Lituania e Lettonia). Nell’archeologia locale non troviamo tracce clamorose di conflittualità e quindi possiamo pensare che queste genti riuscissero a convivere e a mescolarsi senza litigare. La presenza di bande variaghe lungo la Dvinà fino a Polozk è più antica di Novgorod, ma non sembra imposta con la forza benché Polozk (Polotesk) dai reperti archeologici risulti spostata nel X sec. rispetto ad un centro originario anteriore andato a fuoco. Da Polozk si risale il fiume Dvinà fino all’altezza del lago di Lepel’. Dopo aver percorso un breve volok (spartiacque dove appunto le imbarcazioni venivano tirate a secco e trascinate da una corrente all’altra sui rulli, come abbiamo accennato prima), si entra a Borisov dove c’era una famosa pietra morenica – valun – che indicava la strada e che oggi, spostata dal suo luogo naturale, porta incisa una croce e una benedizione. Orma si è già sulla Berezinà, l’affluente del Dnepr, nelle immense Paludi del Pripjat e non molto lontani da Kiev. L’altro itinerario lungo la Narva (o Néreva) segue il breve tratto di questo emissario del lago Peipus. Si entra nel lago attraversando il primo bacino, poi il secondo più piccolo e inframmezzato da isole ed infine si prosegue per il terzo chiamato più propriamente lago di Pskov. Di qui si entra sulla corrente del fiume Grande (Velikaja) e si risale fino ad un volok che separa quel fiume dalla Dvinà. Dalla zona di Novgorod invece si attraversava il lago Ilmen’ dirigendosi verso sudovest e si entrava in uno degli immissari, la Lovat’ e si risaliva fino a Holm. Qui c’è il volok che separa questa stazione da Toropez sulla Dvinà e si prosegue fino a Vitebsk. Di lì sul volok si passa ad Orscia e si è già sul Dnepr. Questa rotta è quella che le Cronache Russe chiaman la Via dai Variaghi ai Greci che però stranamente è nominata pochissime volte rispetto a quella che seguiva il Volga, la cosiddetta Via verso i Figli di Sem. Degli itinerari appena sopra descritti quello lungo il Dnepr (Via dai Variaghi ai Greci) fu in auge finché Costantinopoli costituì il maggior mercato compratore delle merci del nord, ma poi decadde dapprima a partire dalla conquista della capitale dell’Impero Romano d’Oriente da parte dei Crociati nel 1204 e poi con le conquiste dei Tatari (Mongoli) della steppa ucraina intorno alla metà del sec. XIII. Ed infine c’è l’altra rotta per il sud la “Via dei Figli di Sem” (perché diretta verso l’Impero Cazaro ebraico), la più importante storicamente dato che qui si svolsero le vicende più sofferte della storia russa. Questa partiva dal Lago Ilmen’ e, sempre percorrendo la Lovat’ e deviando prima di Vitebsk lungo il fiume Kasplija, ci si portava a Smolensk, si risaliva il Dnepr, che qui è ancora un fiume giovane vicinissimo alle sorgenti, e si giungeva a Dorogobuzh dove dopo aver superato il volok con l’Ugrà si è già quasi sull’Oka che confluisce nel Volga alcuni chilometri più avanti. Tutta questa rete (e abbiamo tralasciato altri itinerari percorsi di solito in caso di guerre locali o di altri problemi di percorribilità) deve essere tenuta sempre libera da impedimenti ed è proprio questo il motivo per cui il mitico knjaz (russo per principe, capo et sim.) variago Oleg scendendo verso Kiev fonda lungo questi fiumi altri nodi “di servizio”. Come abbiamo detto, in questi nodi i convogli si fermano per riposare, per mangiare, per riparare arnesi e barche o per agganciarsi ad altri gruppi prima di proseguire. Questi nodi vanno difesi. Da chi e contro chi? Ed eccoci arrivati al punto cruciale del nostro discorso. A nostro modo di vedere i Variaghi costituiscono una vera e propria mafia che si può chiamare tranquillamente Mafia dell’Acqua in varie bande che si muovono attraverso accordi taciti o espliciti. Non sono venute qui per servire o guadagnare quel che si può, ma per fare grandi imprese in cui si costruiscono grandi ricchezze e si ritorna in patria in trionfo. Sono questi gli ideali per i quali sono in giro e rischiano la loro vita. E’ tacito che dove c’è la frequenza stabile di una banda, a meno di scontri, un’altra evita di penetrare. A questo punto però si scontrano con gl’interessi degli Slavi, ultimi arrivati qui nel nord, almeno sul lago Ilmen’ e, siccome d’altra parte gli Slavi non sono genti d’arme altrettanto esperte quanto i Variaghi, bisognò trovare un comune modus vivendi. Dalle Cronache, come abbiamo già detto, sappiamo che i Variaghi in un primo tempo avevano imposto (naturalmente con la forza) un tributo alle genti locali della zona del Volhov e che questo regime era diventato talmente esoso (parallelamente con la crescita della domanda dei mercati del sud) che tutti si erano ribellati e avevano ricacciato i Variaghi nel Baltico! Tutto questo è confermato indirettamente dall’archeologia. Nella zona fra il lago Ladoga e il lago Ilmen’ gli Slavi ormai sono la classe dominante insieme coi capetti finnici e quando si accorgono che, scacciare una banda variaga non è una cosa così facile giacché ne segue subito un’altra, capiscono che senza una forza bene armata non si sarebbe mai riusciti a governare i traffici vitali. Se dobbiamo credere a Tatiscev e alle Cronache rifatte nel XVI sec. a Mosca, l’élite slava decise allora di andare a Gotland, punto di concentramento delle bande svedesi, per negoziare un qualche accordo con una banda locale più forte delle altre. La Cronache in modo non credibile dicono che fu espresso un invito a quella di Rjurik dandogli il benvenuto nella zona di Ladoga: Che prendesse le redini del comando come “terzo membro militare” nell’impresa commerciale slavo-finnica! Questa Banda di Rjurik si presenterà non più come sfruttatrice, ma come la difesa ultima dagli attacchi di altre bande che eventualmente capitino da queste parti! Questa è la legittimazione del ruolo di Rjurik e dei suoi due fratelli giunti qui insieme con una ben nutrita banda di armati (non più di una cinquantina di ragazzi ciascuno, comunque). Naturalmente la ricompensa è adeguata: l’egemonia militare e politica sul territorio e lo sfruttamento ora legittimato con l’aiuto dei capetti slavi, finnici e baltici. La Banda di Rjurik dunque è una vera e propria organizzazione poliziesca privata: Né più né meno come si presenta la mafia siciliana a chiedere il pizzo ai commercianti! Né Rjurik è il solo ad essere presente come armati e impositori di tributo nella zona. A Polozk, secondo lo storico del XIX sec. Belaev, c’era già la banda di un certo variago Kvillan che poi passerà il potere ad un altro variago a nome Ragnvald (in russo Rogvolod). C’è anche Turov dove domina il variago Tur (ossia Thor) e, come ci dice la Vita di Santa Olga, persino a Pleskov (oggi Pskov) c’erano i Variaghi, stavolta integrati ai balto-slavi locali. Forse è per questa ragione che uno dei fratelli di Rjurik (Sineus), non potendo entrare in quest’ultima città già “occupata”, si era sistemato lì vicino, a Izborsk su un’altura un po’ interna rispetto alle sponde del lago. Il biologo australiano Jared Diamond ha chiamato questo sistema di dominio basato sull’alienazione forzata dei beni altrui da parte di un’élite armata cleptocrazia quella che, secondo noi, in Europa conosciamo oggi sotto il nome siciliano di mafia. Questo regime dunque si imporrà e si estenderà con Oleg fino a Kiev e con Svjatoslav fino al Delta del Danubio e fino al Mar d’Azov, scompigliando il monopolio dei corsi d’acqua del Volga e del Don (sul Danubio, la sua sosta sarà breve) tenuto fino ad allora da altre potenze (i Cazari soprattutto) e cucendo il tutto in un grande tessuto politico che si estende dal Mar Bianco al Mar Nero tenuto insieme con il terrore delle armi! Questa Mafia dell’Acqua si disseminerà le rive dei fiumi russi con i suoi forti blindati (gorod) dove conserva le merci “raccolte” e (soprattutto) dove detiene in ostaggio i figli dei capi locali che hanno concluso con loro quei rapporti permanenti! Ogni città russa sarà sempre dominata da questo forte-deposito che in seguito si allargherà e si abbellirà trasformandosi nei vari Cremlini (secondo la nostra interpretazione, per queste ragioni nel nord il Cremlino è chiamato originariamente Detinez o Deposito dei Bambini)! Come mai i Variaghi perdono la loro identità culturale svedese? E quale etnos nasce sotto il nome di Rus’? Qui siamo disposti a dare una risposta solo alla prima domanda vista la lunga (di secoli, ormai) polemica sull’origine del termine Rus’ e cioè che le bande hanno una cultura “nazionale” bassissima ed insufficiente. Ed è logico! Sono costituite da ragazzi scapoli e incolti che sono quasi dei disperati reietti della loro società d’origine. Accolti poi in un consesso di gente che invece ha un senso orgoglioso della propria identità slava che rinnova ad ogni occasione possibile, assimilati attraverso matrimoni in famiglie nuove non scandinave o comunque miste dal punto di vista culturale, non avendo altro da offrire che la loro abilità a predare. non possono che slavizzarsi (d’altronde imitando le altre etnie finniche e baltiche che hanno già fatto altrettanto rispetto alla marea slava circostante) e tutto ciò malgrado le regole più solite del matrimonio esogamico praticato dagli Slavi che prevedevano la “morte” culturale della donna! E che nome darsi poi una volta penetrati nella nuova élite al potere? Uno tutto nuovo, Rus’, che magari li identifica meglio di altri o forse inventato lì per lì o ancora affibbiato loro dai Cazari o da altri! Non possiamo dire con sicurezza a quale parola originaria risalga la parola Rus’ e non vogliamo entrare in polemiche oziose su normannismo e antinormannismo, ma accenniamo solo ad una nostra ipotesi che si collega alla tesi “mafiosa”: E’ probabile che Rus’ fosse un nomignolo dato agli Scandinavi al loro primo apparire dai Cazari! 1. Staraja Ladoga 2. Rjurikovo Gorodisc’c’e 3. Novgorod la Grande 4. Pleskov (Pskov) 5. Uscita della Nevà dal Ladoga 6. Jamgorod 7-8. Foce della Narva con le due fortezze odierne di Ivangorod e Narva NOTA FINALE La nostra discussione è basata su varie ricerche fatte da vari autori che solo a volte abbiamo nominato nel testo perché altrimenti sarebbe stato un campo di battaglia di note e noticine, rimandi e inserzioni, che avrebbero distratto il lettore dal fil rouge da noi seguito. Nella bibliografia seguente perciò, chi volesse approfondire, troverà i lavori che abbiamo consultato dove ci sono le analisi filologiche, storiche e archeologiche che ci hanno aiutato più di altre. M. I. Artamonov – Istorija Hazar, Sankt-Peterburg 2001 G.F. Bass – Navi e Civiltà, Archeologia marina, Milano 1974 I. Belaev – Istorija Polocka ot drevneis’c’ih vremjon do Ljublinskoi Unii, Moskvà 1872 R. Boyer – La Vita Quotidiana dei Vichinghi, Milano 1998 J. Brøndsted – I Vichinghi, Torino 1976 J. Diamond – Armi, Acciaio e Malattie, Torino 1986 R. Dion – Aspects politiques de la géographie antique, Paris 1977 F. Durand – Les Vikings, Paris 1965 W. Froese – Geschichte der Ostsee, Gernsbach 2002 E.S. Galkina – Tainy Russkogo kaganata, Moskvà 2002 C. Goehrke – Russischer Alltag, die Vormoderne, Zurich 2003 J. Herrmann red. – Die Germanen, Berlin 1988 K. Hsü – Klima macht Geschichte, Zürich 2000 H.-J. Hube – Saxo Grammaticus, Wiesbaden 2004 D. 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