Cultura Nautica Storia della navigazione: I Signori della Porpora L’aver monopolizzato la più preziosa delle tinture dell’antichità non deve far passare in secondo piano le capacità marinaresche di un popolo che inventò e dominò la navigazione commerciale nel Mediterraneo. C'era un tempo in cui il mare era un confine ignoto e apparentemente invalicabile, poi qualcuno poco a poco osò avventurarvisi e si scoprì che l’immensa distesa liquida non era un ostacolo, ma al contrario poteva essere un mezzo di comunicazione. La storia della navigazione nasce così, un po’ per avventura un po’ per necessità, e di certo non è stata facile perché c’erano da superare paure e problemi tecnici di cui non si aveva alcuna conoscenza e, se certo ci fu un salto dalla prima canoa scavata in un tronco d’albero a vere e proprie imbarcazioni capaci di affrontare le onde, il passo successivo non fu certo inferiore, perché si trattava di abbandonare la costa per affrontare un orizzonte privo di riferimenti, soprattutto con una governabilità dei mezzi assai approssimativa. [button title="Leggi tutto l'articolo" url="https://www.nautica.it/mio-account/?wcm_redirect_to=post&wcm_redirect_id=124913" type="secondary"] [button title="Abbonati" url="https://www.nautica.it/nautica-superyachts-formato-digiltale/" type="secondary"] di Stefano Navarrini il 29 Apr 2022 Continua a leggere
Cultura Nautica Barche d’epoca: Correva l’anno 1982 Quando le imbarcazioni vintage smisero di essere considerate vecchie per acquistare il blasone della storia. Proprio in quel 1982, in un forse inconsapevole allineamento di intenti, la costituzione dell’Associazione Italiana Vele d’Epoca, la creazione del Museo Barca Lariana e il San Pellegrino Veteran Boat Rally, primo raduno del Mediterraneo per scafi d’epoca organizzato da Nautica con lo Yacht Club Costa Smeralda e il Marina di Porto Rotondo, danno inizio a una rivoluzione. Quella che porterà imbarcazioni considerate dalla nautica di quegli anni vecchie, poco confortevoli, non sicure, a diventare d’epoca. [button title="Leggi tutto l'articolo" url="https://www.nautica.it/mio-account/?wcm_redirect_to=post&wcm_redirect_id=124168" type="secondary"] [button title="Abbonati" url="https://www.nautica.it/nautica-superyachts-formato-digiltale/" type="secondary"] di Serena Laudisa il 29 Mar 2022 Continua a leggere
Cultura Nautica I grandi personaggi: un uomo di nome Thor Per il pantheon vichingo era l’antico dio della folgore; per noi Thor è stato un norvegese coraggioso che ha fatto dell’Oceano Pacifico il palcoscenico della sua più grande avventura. Da millenni il coraggio e l’amore per l’avventura spingono l’uomo a confrontarsi con la natura. E quando si è trattato di confrontarsi con l’oceano, di imprese pazze - soprattutto negli ultimi decenni - se ne sono contate molte. Oggi la traversata dell’Atlantico è offerta in charter, quasi fossero due pieghe fuori porto, ma c’è stato anche chi per amore dell’impresa ha voluto compierla a remi, poi in windsurf, poi addirittura su un SUP. Ci aspettiamo che qualcuno prima o poi si faccia avanti con un pedalò, o magari con una cuffia e un paio di pinne. Certo sono state tutte imprese estreme ma compiute in sicurezza, con l’assistenza dei moderni mezzi di comunicazione e la (quasi) certezza di essere soccorsi in caso di problemi. Soprattutto sono state imprese prevalentemente sportive. Bene, fatta la necessaria premessa, ora cancellate tutto, riavvolgiamo il nastro, e parliamo di un’impresa folle che più folle non poteva essere per una serie di motivi che vedremo più avanti, a partire dal fatto che non si è svolta dieci o quindici anni fa, ma nell’ormai lontano 1947, quando per certe cose bisognava essere marinai, ma di quelli veri. Però bisognava anche essere uomini, con una fede e una tenacia oggi forse perdute. [button title="Leggi tutto l'articolo" url="https://www.nautica.it/mio-account/?wcm_redirect_to=post&wcm_redirect_id=124032" type="secondary"] [button title="Abbonati" url="https://www.nautica.it/nautica-superyachts-formato-digiltale/" type="secondary"] di Stefano Navarrini il 29 Mar 2022 Continua a leggere
Cultura Nautica • Storia Curiosità storiche: barche fuori contesto Quando ci avviciniamo a un’imbarcazione tradizionale siamo naturalmente portati a sottolineare lo stretto legame che questa ha con il luogo, con lo specchio d’acqua e con le tradizioni locali. Ma non è detto che sia sempre così. A volte può capitare d’imbatterci in esemplari che ci appaiono come delle contaminazioni, delle barche che sembrano estranee al loro contesto storico o geografico. Quando le scopriamo, la prima reazione è: “ma questa, cosa c’entra? è fuori posto!” Ed invece, cercare di capire da dove saltano fuori e quali storie abbiano da raccontarci è un buon esercizio che ci aiuta a individuare i mille canali attraverso i quali la tradizione marittima si espande, si diffonde e si contamina. Tra i primi che mi vengono in mente, accenno ad alcuni casi di barche “fuori contesto”, nell’intento di sollecitare i lettori a segnalare altre storie, altri spostamenti, altre curiosità, altre influenze. Nel caso più semplice, si tratta della questione di un’attrezzatura non del tutto conforme, che si può manifestare in tanti modi. [caption id="attachment_123060" align="aligncenter" width="800"] Argus in regata[/caption] [button title="Leggi tutto l'articolo" url="https://www.nautica.it/mio-account/?wcm_redirect_to=post&wcm_redirect_id=123057" type="secondary"] [button title="Abbonati" url="https://www.nautica.it/nautica-superyachts-formato-digiltale/" type="secondary"] di Giovanni Panella il 28 Feb 2022 Continua a leggere
Cultura Nautica Il Mediterraneo, un mare di gozzi Per la loro varietà e diffusione su gran parte dei litorali e dei porti del Mare Nostrum, i gozzi occupano un’importante posizione nella nostra cultura marinara. Presenti in tante tipologie e varietà locali, prendono nomi diversi: bussi, gussu, vuzzu, gajeta, mourre de pouar, guz, dahjsa, pointus, lodsu, barquette... Che il Mediterraneo sia un “mare di gozzi” è un fatto che salta subito all’occhio dei marinai stranieri. Anche l’inglese Warington Smyth, in un testo novecentesco che elenca le barche dell’Asia e dell’Europa, appena passato lo stretto di Gibilterra fu colpito dalla diffusione della “ubiquitous barquette” che egli incontrò dalle coste tirreniche a quelle della Tunisia, dall’Adriatico all’Egeo. [caption id="attachment_122142" align="aligncenter" width="600"] “Dopo la pesca” di A. Varni, ritrae una gondua.[/caption] Ma cos’è un gozzo? Il “Vocabolario delle parlate liguri” lo definisce: “una barca non pontata, ma dotata di palchetti a prua e a poppa, piuttosto alta di bordo, con notevole cavallino, ruote di prua e di poppa molto arrotondate, poppa a punta”. Le ragioni della poppa a punta sono dovute al fatto che si tratta di un’imbarcazione che, quando è adibita alla pesca, può manovrare in ambedue le direzioni. Si può aggiungere che, quasi sempre, il dritto di prua si prolunga verso l’alto con una pernaccia, un elemento che ha soprattutto un valore decorativo e identitario. Per quanto riguarda la propulsione, il gozzo può esser definito come “una barca a remi che può esser mossa anche da una vela”. [button title="Leggi tutto l'articolo" url="https://www.nautica.it/mio-account/?wcm_redirect_to=post&wcm_redirect_id=122129" type="secondary"] [button title="Abbonati" url="https://www.nautica.it/nautica-superyachts-formato-digiltale/" type="secondary"] di Giovanni Panella il 28 Gen 2022 Continua a leggere
Cultura Nautica Storie di mare: Pirati dei Caraibi Libri, film, serial televisivi e persino fumetti hanno disegnato un’immagine dei pirati sicuramente affascinante ma lontana dalla realtà. Soprattutto se si parla della cosiddetta età d’oro della pirateria, il cui palcoscenico, fra il XVI e XVII secolo, furono le isole dei Caraibi. Qual è il primo e più antico mestiere del mondo? Risposta facile, banale, scontata, un po’ retorica e maschilista forse, e un po’ troppo di maniera anche se il primo riferimento sulla prostituzione appare già nel codice di Hammurabi (XVIII sec. A.C.). Qual è stato il secondo? Intuibile e forse solo una forma un po’ più concreta del primo, nel senso che il commercio fin dal tempo del baratto (tu dare a me, io dare a te pelle di orso), che al tempo poteva essere indifferentemente di merci o di uomini, ovvero prostituzione ma anche schiavi, è stato comunque - strano a dirsi - strumento di unione, comunicazione e, inevitabilmente, progresso. [caption id="attachment_122111" align="aligncenter" width="600"] L’epopea della pirateria caribica ha generato molta letteratura, facendo nascere miti che non hanno riscontro nella realtà, come quello delle fantomatiche mappe del tesoro.[/caption] Ma se volessimo indagare più a fondo scopriremmo che anche il terzo più antico mestiere del mondo è strettamente legato ai primi due, perché forse non saremo ben documentati su cosa accadeva al tempo delle prime canoe, ma sappiamo per certo che la pirateria era già in grande spolvero al tempo delle più antiche civiltà mediterranee. E i pirati furono una seria spina nel fianco anche per l’Antica Roma, che alla fine, per liberarsi di questa piaga, nel 67 a.C. incaricò il suo più valente generale, Pompeo, dandogli potere dittatoriale e mettendogli a disposizione risorse straordinarie. [button title="Leggi tutto l'articolo" url="https://www.nautica.it/mio-account/?wcm_redirect_to=post&wcm_redirect_id=122101" type="secondary"] [button title="Abbonati" url="https://www.nautica.it/nautica-superyachts-formato-digiltale/" type="secondary"] di Stefano Navarrini il 28 Gen 2022 Continua a leggere
Cultura Nautica Il triangolo delle Bermuda, fra mistero e fantasia Il Triangolo delle Bermuda, non è vero ma ci credo questo è l’assioma che da anni mantiene vivo l’interesse su quella zona del mar caraibico... di Stefano Navarrini il 28 Set 2021 Continua a leggere
Cultura Nautica Santa Margherita Ligure, il Tributo a Carlo Riva Raduno di motoscafi Riva d’epoca dai contorni dolcevita Foto @Blue Passion Photo Vacanza, charme, collezionismo nautico per un appuntamento che apre a nuovi orizzonti. Si è svolto lo scorso luglio, a Santa Margherita Ligure, un significativo raduno di motoscafi storici Riva, in omaggio al costruttore delle imbarcazioni forse più iconiche al mondo. Si tratta del “3° Tributo a Carlo Riva di S. Margherita Ligure”, organizzato dall’associazione Riva Society Tigullio, club di armatori e appassionati recentemente costituitosi nella cittadina del Tigullio (primo sul mare in Italia), inserito nel contesto internazionale della Riva Historical Society, con manifestazioni analoghe in alcune delle più belle città Europee e nel Mondo, sul mare o sui laghi. [button title="Leggi tutto l'articolo" url="https://www.nautica.it/mio-account/?wcm_redirect_to=post&wcm_redirect_id=113448" type="secondary"] [button title="Abbonati" url="https://www.nautica.it/nautica-superyachts-formato-digiltale/" type="secondary"] di Redazione Nautica il 31 Ago 2021 Continua a leggere
Cultura Nautica • Storia Storie di navi: una nave chiamata Beagle Era in fondo una nave di scarsa importanza, ma ebbe la fortuna di ospitare a bordo un giovane naturalista che, in un viaggio di cinque anni, si convinse che nelle teorie dell’epoca sull’origine delle specie c’era qualcosa che non andava. Il termine è probabilmente di origine gaelica, ma il suo significato è sempre rimasto poco chiaro. Per noi “Beagle” è più modernamente legato a una simpatica razza canina e, in particolare, a Snoopy, lo splendido bracchetto filosofo di Charlie Brown. Se però volessimo essere un po’ più seriosi potremmo anche ricordare che “Beagle”, non si sa per quale strana ragione, era anche il nome di una nave divenuta famosa non tanto per le sue imprese quanto per quelle di un suo inaspettato ospite, Charlie anche lui, ma di cognome Darwin. [caption id="attachment_113398" align="aligncenter" width="567"] Il Beagle apparteneva a una classe di navi poco fortunata che la Royal Navy voleva destinare a compiti di servizio, fra cui anche la ricerca scientifica. Nonostante fosse assai poco considerato per le sue qualità marine, il Beagle circumnavigò il globo in cinque anni di ricerche scientifiche e cartografiche.[/caption] Il “Beagle” non era una nave da strapparsi i capelli quanto a bellezza di linee e qualità marine. Era stato commissionato il 13 giugno 1817 come parte di un ordine totale di 115 navi che formavano la Cherokee Class e messo in lavorazione l’anno successivo presso i Woolwich Dockyard al costo prestabilito di 7.803 sterline. Il Beagle, che fu poi varato l’11 maggio del 1820, apparteneva a una serie di navi destinate a servire la Royal Navy per i piccoli trasporti interni, per ricerche scientifiche e geografiche, o per compiti di servizio, pur essendo armate con un numero variabile di cannoni (come nel caso del Beagle che, nella sua seconda spedizione, quella che ospitò Darwin, di cannoni ne aveva sei) per essere pronte a eventuali impieghi bellici. La Cherokee Class fu concepita da Sir Henry Peake al fine di ottenere navi agili e snelle adatte a operare anche in acque basse, ma il suo progetto non deve aver avuto un gran successo presso i marinai, visto che queste unità furono presto denominate “coffin brigs”, dove “brigs” sta per brigantino e “coffin” sta per bara. In effetti molte di esse affondarono ma - riportano le cronache - più per l’inadeguatezza dei compiti loro assegnati che per difetti di progetto o di costruzione. Però è anche vero che il loro bordo libero basso e la struttura flush-deck facilitavano le imbarcate d’acqua, la quale poi faticava a scivolar via a causa delle massicce impavesate. In parole povere, le Cherokee erano una sorta di bagnarole, tanto che William James, nella sua Naval History, si chiedeva per quale ragione la Royal Navy continuasse a investire in quella che definiva “inutile classe”: vuoi vedere che c’era una storia di mazzette anche lì? [button title="Leggi tutto l'articolo" url="https://www.nautica.it/mio-account/?wcm_redirect_to=post&wcm_redirect_id=113387&" type="secondary"] [button title="Abbonati" url="https://www.nautica.it/nautica-superyachts-formato-digiltale/" type="secondary"] di Stefano Navarrini il 31 Ago 2021 Continua a leggere
Cultura Nautica Alla ricerca del continente perduto, il mistero di Atlantide Perennemente in bilico fra realtà e fantasia, Atlantide continua ad accendere la nostra immaginazione, ma anche a impegnare studiosi e ricercatori in un lavoro che forse non avrà mai fine. Nell’affrontare temi costantemente in bilico fra mito e realtà, anche se in questo caso il primo pesa più della seconda, difficile non cadere vittime della fantasia e farla spaziare fra le più suggestive ipotesi. Per cui, se parliamo di Atlantide, il continente perduto, ovvero l’isola misteriosa, la civiltà sommersa nelle profondità dell’oceano, l’enigma più affascinante di tutti i tempi e via dicendo, a questa fantasia è ben difficile porre un freno. Del resto non è un caso che migliaia di studiosi e di ricercatori, e perfino svariati medium, abbiano speso le loro energie cercando una qualche evidenza di questa terra apparentemente ricca e felice. E non è un caso che le soluzioni proposte siano state nel tempo tanto diverse quanto a volte inaccettabili. Così Atlantide è stata geograficamente collocata nel Mediterraneo a Santorini come in Sardegna, in Atlantico alle Azzorre come alle Bahamas, senza dimenticare il Polo Nord e l’Antartide. Ma l’isola leggendaria, tanto per dire, è stata ipotizzata persino su quella che è oggi terraferma come l’Iran e il Sahara marocchino, dove - guarda caso - si erge il massiccio dell’Atlante. E allora perché sorridere di chi ha pensato anche che Atlantide potesse essere una base aliena? Dove tutto ebbe inizio È buffo pensare come tanta scienza, vera o presunta, sia stata elaborata su una base in realtà alquanto limitata. Prima di affrontare qualunque approfondimento sul tema di Atlantide, è infatti fondamentale tener presente che non esiste alcuna testimonianza storica di questa misteriosa terra e tutto quel che sappiamo nasce dalle poche pagine scritte nel IV secolo a.C. da Platone nei suoi dialoghi del Crizia e del Timeo. Che peraltro non sono notizie di prima mano - e a dire il vero neanche di seconda, e neanche di terza - dato che Platone riporta una storia raccolta in prima battuta da Solone (suo zio), che ne aveva avuto notizia dai sacerdoti egizi di Sais, e trasmessa poi in linea generazionale fino a Crizia il Vecchio e poi a Crizia il Giovane. Una storia molto antica di cui i Greci - riferivano gli antichi sacerdoti - avevano perso il ricordo. Platone ha in ogni caso descritto in alcuni passi il continente perduto con una tale dovizia di particolari che viene difficile pensare che si tratti esclusivamente di un parto della fantasia. Solo che a questo punto è facile restare vittime di una certa confusione, a partire proprio dal resoconto del grande filosofo, che peraltro raccolse queste testimonianze in tarda età. “Innanzi a quella foce stretta che si chiama colonne d’Ercole, c’era un’isola. E quest’isola era più grande della Libia e dell’Asia insieme, e da essa si poteva passare ad altre isole e da queste alla terraferma di fronte. [..] In tempi posteriori [..], essendo succeduti terremoti e cataclismi straordinari, nel volgere di un giorno e di una brutta notte [..] tutto in massa si sprofondò sotto terra, e l’isola Atlantide similmente ingoiata dal mare scomparve”. [button title="Leggi tutto l'articolo" url="https://www.nautica.it/mio-account/?wcm_redirect_to=post&wcm_redirect_id=109409" type="secondary"] [button title="Abbonati" url="https://www.nautica.it/nautica-superyachts-formato-digiltale/" type="secondary"] di Stefano Navarrini il 31 Mag 2021 Continua a leggere