Immersioni: storie di antiche profondità di Stefano Navarrini il 20 Dic 2024 Sommario La sfida alla profondità è qualcosa che va ben oltre l’impresa sportiva.Le prime impreseLe condizioni di immersioneLa grande sfidaEnzo e Jacques, due storieGli ultimi recordMayol e MaiorcaDue per l’abissoE il cubano?La carriera di PipinIl pallone di aria compressaUna profondità diversaApnea al femminileAlessia Zecchini La sfida alla profondità è qualcosa che va ben oltre l’impresa sportiva. È un tuffo nell’ignoto, dove si scommette sulle proprie capacità e, soprattutto, sulla propria vita. “Il subacqueo si immerge per guardarsi attorno. Un apneista si immerge per guardarsi dentro.” Questa riflessione di Umberto Pelizzari ben rappresenta lo spirito di chi affronta l’apnea al di là del semplice snorkeling o poco più. Perché già quando si raggiungono quote di poche decine di metri le cose cambiano. E quando si raggiunge quel blu che più blu non si può, con la superficie ridotta a un timido chiarore e il peso della pressione che ti schiaccia, le cose cambiano ancora di più. Molto di più. Raimondo Bucher e l’autore dell’articolo, nel 1995 Le prime imprese Andiamo per ordine, perché se la storia dell’immersione in apnea affonda le radici nella leggenda, quella dei record è disciplina relativamente giovane, dividendosi per altro fra imprese al tempo impensabili e primati codificati da precisi regolamenti. Certo impensabili dovettero sembrare al comandante della nostra corazzata Regina Margherita le affermazioni di quel Georghios Haggi Statti, quando si offrì di recuperare l’ancora della nave persa su un fondale di oltre 75 metri. Ma andiamo anche qui per ordine, perché Haggi Statti è un nome famoso nel mondo dell’apnea, ma poco si sa di come andarono esattamente le cose. Karpathos, baia di Pigadia. La nostra nave accosta per ancorare e quando arriva sui 30 metri di fondale il comandante da l’ordine di calare. Solo che la nave si trova sull’orlo di una caduta che sprofonda a quasi cento metri e, mentre l’ancora scende, la prua si sposta di quel tanto che basta a mancare il punto prescelto. L’ancora precipita tirandosi dietro decine di metri di catena con un peso e una velocità crescente, tanto che, quando arriva all’ultimo anello, questo strappa la ritenuta e spazza la coperta come un gigantesco serpente impazzito. Impazzito e mortale: il comandante in seconda Giorgio Preli viene preso in pieno e muore sul colpo, altri marinai sono feriti più o meno gravemente. L’ancora è persa…o forse no. Haggi Statti – o più propriamente Hadji Stathis – afferma di poter scendere a legare una cima sulla sua cicala per consentirne il recupero. È un pescatore di spugne, il più famoso dell’isola, ma il su aspetto è un po’ macilento, tutt’altro che atletico. Comunque, perché non tentare? Così, il 13 luglio del 1913, Hadji Stathis si lega al polso una pietra di circa 14 chilogrammi, più o meno rettangolare, che userà come zavorra guida, legata a una sagola filata da un gozzo mantenuto fermo sul punto dell’affondamento. Il primo giorno, il nostro spugnaro prova diverse discese fra i 45 e i 60 metri, poi arriva a vedere l’ancora che poggia su un fondo fangoso, ma manca l’appiglio e la pietra lo trascina fino a 84 metri. L’ultimo seguitissimo record di Enzo Maiorca a -101 metri. Le condizioni di immersione Da notare che l’uomo si immergeva senza alcuna attrezzatura e per la risalita, dopo aver strattonato la cima come segnale, veniva recuperato dalla barca a forza di braccia. Il terzo giorno, Hadji fece ben sette immersioni sull’ancora riuscendo a fissarvi un rampino. Il giorno successivo fissò sulla catena un altro gancio collegato a un cavo d’acciaio, consentendo poi il recupero definitivo dell’ancora. Un’impresa incredibile riportata sul giornale di bordo della nave. Ancor più incredibile il rapporto del medico di bordo, Dr. Quaini: “Hadlji Stahis, nativo di Symi, ha 35 anni, è sposato e ha 4 figli. E’ alto m 1,70 , pesa 65 kg e ha un perimetro toracico in massima ispirazione di m 0,90. All’esame mostra un notevole enfisema polmonare, il cuore è regolare con polso oscillante fra 80 e 90 battiti. La funzione uditiva è ridotta per mancanza di una delle membrane timpaniche. Accusa dolori alla colonna vertebrale. Invitato a trattenere il respiro, in superficie non supera i 40 secondi. Tuttavia nelle sue discese ha più volte superato i 3’30”. Momenti storici del profondismo: la discesa di Raimondo Bucherche segnò l’inizio dei record di profondità Insomma, un fenomeno inspiegabile, ma sufficiente a dar credito ad Hadji Stathis quando affermava di poter raggiungere i 100 metri. Sorprendente il compenso da lui richiesto: non volle denaro, ma chiese il permesso di poter pescare con la dinamite. Permesso concesso, con il risultato però che il vizietto durò a lungo, e fino a qualche anno fa se ne vedevano ancora le conseguenze. La storia dell’apnea non riporta altre imprese fino al 1949, quando Raimondo Bucher, altro personaggio mitico del mondo subacqueo, per vincere la scommessa con un palombaro che l’aspettava sul fondo, scese a 30 metri nel Golfo di Napoli. Fu il primo record ufficialmente documentato, ma durò poco: due anni più tardi Ennio Falco e Alberto Novelli (gli stessi che con Cesare Olgiai nel 1959 stabilirono il record mondiale di discesa con autorespiratore ad aria toccando i 131,35 metri) portarono il primato a 35 metri, per poi ricederlo a Bucher che l’anno dopo a Capri toccò i 39 metri, prima di restituirlo a Falco e Novelli che nel 1956 lo portarono a 41metri. La corsa verso il grande blu era decisamente incominciata. L’ultimo seguitissimo record di Enzo Maiorca a -101 metri La grande sfida All’inizio degli anni ’60 compare sulla scena un brasiliano, Amerigo Santarelli, che per qualche anno contese la profondità a un siciliano, certo Enzo Maiorca, destinato a entrare nella leggenda. Siamo ormai al limite dei 50 metri, quota che la scienza medica francese aveva stabilito come limite oltre il quale il corpo umano sarebbe imploso. Maiorca non da retta al Dr. Cabarrou e, nel 1962 ad Ustica, tocca i 51 metri…senza implodere! Salvo qualche personaggio meteora siamo alle porte di quel dualismo che caratterizzerà gli anni seguenti, perché nel 1966 alle Bahamas entra in gioco un francese giramondo che porta il record a 60 metri, dando inizio a una grande sfida, perché per quasi una ventina d’anni l’alta profondità – che attirerà l’attenzione dei grandi media – avrà due soli nomi: Enzo Maiorca e Jacques Mayol. Enzo e Jacques non potevano essere più diversi: nel fisico, nella vita, ma soprattutto nel modo di affrontare la profondità. Enzo, nato a Siracusa e innamorato quanto mai della sua terra, aveva una vita serena e piena di amore per il mare, per la sua famiglia e per i suoi amici. Jacques, nato a Shangai, era un giramondo senza sosta che aveva inanellato le più strane esperienze, da pianista a taglialegna, da attore a cercatore di tesori, con alle spalle un tragico episodio quando sua moglie morì accoltellata da un drogato in un supermercato di Miami. Enzo aveva un approccio muscolare, fatto di duri allenamenti, di forza fisica, di un contatto con il mare ai confini fra amore e poesia. Jacques aveva trovato nello yoga la sua strada verso un’apnea consapevole, ma credeva anche nella ricerca scientifica alla quale si prestò con coraggio facendosi fare, fra l’altro, dei prelievi di sangue ad alta profondità. A Maiorca, che fu anche senatore, piaceva scrivere e descrivere. Maiorca in risalita conla sua muta gonfiabile. Enzo e Jacques, due storie Il Mare era il denominatore comune e se usava scriverlo con l’iniziale maiuscola era solo in segno di rispetto per il grande amore che provava per il mondo sommerso. A volte poteva sembrare esageratamente poetico, forse un po’ retorico, però non si può dimenticare che il suo era un altro mare, non solo perché parliamo di acque splendide come quelle che circondano Siracusa, ma anche perché parliamo di un mare di oltre sessanta anni fa, e chi come i “subsauri” di pelo ormai bianco ha avuto il privilegio di viverlo, può facilmente comprendere. Allora era bello anche solo pinneggiare in snorkeling, perché il mare era pieno di vita, l’acqua limpida come cristallo non conosceva l’onta dell’inquinamento, il silenzio accompagnava le tue discese in apnea senza l’incubo di quel minaccioso ronzio che, tradotto, significava barca in arrivo, pericolo, angoscia. Jacques aveva trovato la sua via marina con i delfini, con i quali, lavorando nel Seaquarium di Miami, aveva stabilito una straordinaria interlocuzione. Enzo si è spento serenamente il 13 novembre del 2016, all’età di 85 anni; Mayol si è suicidato il 22 dicembre del 2001, all’età di 74 anni, in seguito a una grave depressione, impiccandosi nella sua casa all’Isola D’Elba, luogo di cui si era innamorato. Fra i due ci fu accesa rivalità ma anche amicizia, seppur macchiata da qualche incomprensione. Come quella volta che Mayol, appena arrivato nel caos dell’aeroporto di Catania, accolto da Maiorca, cominciò – chissà perché – a lamentarsi dei meridionali, irritando un bel po’ Enzo, che gli rispose testualmente: “Caro Jacques, ti ricordo che quando i tuoi antenati si arrampicavano sugli alberi, i miei declamavano le tragedie greche nel teatro di Siracusa”. Umberto Pelizzari e Francisco “Pipin” Ferreras, la coppia che dominò la seconda era del profondismo Gli ultimi record L’ultimo record di Mayol risale al 1983, all’Isola d’Elba, quando anche per un esperimento scientifico scese a 105 metri, risultato tuttavia non riconosciuto poiché, nel frattempo, i nuovi regolamenti internazionali contenevano specifiche norme che in quel caso non erano state rispettate. In particolare, erano stati distinti tre tipi di record: l’assetto costante, in cui il sub scendeva e risaliva con le sue sole forze; l’assetto variabile, in cui gli era concesso scendere con una zavorra di peso limitato a 30 kg, risalendo poi con le proprie forze; l’assetto variabile assoluto, detto anche “No Limits” in omaggio allo sponsor, in cui la zavorra non aveva limiti e per la risalita il sub poteva utilizzare palloni o altri marchingegni ad aria compressa. L’ultimo record di Maiorca, conquistato a Siracusa nel 1988, portò il primato del “No Limits” a 101 metri e segnò la fine della sua carriera di profondista. Avendo personalmente seguito come giornalista e fotografo ufficiale, sia sopra sia sott’acqua, quasi tutti i record dell’era moderna del profondismo, vorrei sottolineare l’atmosfera di sacralità che si creava durante i record di Maiorca, assistito da una grande nave per lavori subacquei della Rana, con tanto di campana iperbarica, seguito da centinaia di spettatori sui quali all’improvviso, pochi minuti prima della discesa, scendeva il silenzio più assoluto. Un’atmosfera irreale, solo lo sciabordio delle onde, e al momento dello stacco della zavorra una pacca sulle spalle e la frase di rito: “Vola profondo”, dopo di che l’unico rumore era quello del cavo che scendeva, finché la telecamera segnalava l’arrivo sul piattello di fondo, e poco dopo la riemersione in un turbine di grida e di applausi. La rivalità di questi due grandi atleti appassionò per anni anche il pubblico generalista, e fu alla base di un film diretto da Luc Besson in cui, fra gli sceneggiatori, figurava lo stesso Mayol, mentre la parte di Maiorca era affidata al grande attore francese Jean Reno. Il film, girato con indubbia classe, ebbe un grande successo all’estero ma in Italia girò poco, perché Maiorca riuscì a bloccarlo. Mayol e Maiorca Con piena ragione, perché mentre Mayol appariva come una specie di santo con tanto di aureola, Maiorca veniva descritto come un bullo mammone e pastasciuttaro, che per altro nella sfida finale moriva fra le braccia di Mayol. Ma sulla scena della grande apnea mondiale si stava già affacciando una nuova duplice rivalità destinata a segnare una nuova epoca ed epica del profondismo: quella che mise a confronto Umberto “Pelo” Pelizzari di Busto Arsizio e Francisco “Pipin” Ferreras di Matanzas, Cuba. Il primo ispirato alle tecniche introspettive di Mayol; il secondo a quelle più fisiche di Maiorca. Quasi coetanei, entrambi alti e forti atleticamente, anche se Pipin ( 8,5 litri di capacità polmonare) era più muscolare e il Pelo più longilineo (183cm x 66 kg). Nasceva un altro profondismo alimentato dalla forza degli sponsor, che in qualche caso coincidevano, e da un sensibile sviluppo delle attrezzature come nel caso delle pinne in fibra di carbonio o delle lenti intraoculari che consentivano un’ottima visibilità senza il volume della maschera. Due per l’abisso Ad aprire le ostilità fu, nello stesso anno 1990, un botta e risposta nell’assetto costante. Prima Pipin a Milazzo toccò i 63 metri, poi Pelizzari all’Isola D’Elba scese a 65. A seguire, quasi di anno in anno, ci fu un sorpassarsi a vicenda che portò il primato metro dopo metro fino agli 80 metri dell’italiano conquistati nelle acque di Portofino il 18 ottobre 1999. Sei giorni dopo, nello stesso mare e in condizioni meteo decisamente sfavorevoli, Umberto, col supporto della nave Anteo della nostra Marina Militare, scende in 2’57” fino a 150 metri in assetto variabile No Limits mettendo uno spettacolare finale alla sua carriera di profondista. E il cubano? Di certo non era stato a guardare, perché ad ogni record di Pelizzari c’era stato a seguire un record di Pipin, il quale esordì nel No Limits con un 112 metri a Cuba che merita il racconto di un aneddoto. Già durante la mattinata di quel giorno i tempi dei preparativi si erano notevolmente allungati per problemi nella messa in opera delle telecamere che dovevano seguire la discesa; poi, a causa di forti correnti, si era perso altro tempo nell’ancoraggio della barca. Alla fine si decide di tentare il record con la barca in deriva al di fuori del drop-off, ovvero su un fondale di mille e passa metri. Al momento della discesa, però, ovvero nel momento di massima concentrazione dell’atleta, i cavi della telecamera si intrecciano con la slitta di zavorra a una ventina di metri di profondità. I sub di assistenza con le bombole non possono immergersi per non compromettere le successive discese ad alta profondità. Pipin si spazientisce e dall’”animale” che è, atleticamente parlando, scende per ben sei volte in apnea a sbrogliare i cavi. Poi risale in barca…e vamos a fare il record! La discesa è seguita anche dalla troupe della RAI e tutto si svolge nel più perfetto dei modi. Però, nel frattempo, il sole è calato e i due sub altofondalisti di supporto – un cubano e un siciliano – devono affrontare la loro lunga decompressione al buio, salvo qualche sciabolata di luce dalle lampade di bordo. Ed è proprio uno di questi flash che mette in luce, è proprio il caso di dirlo, un’inquietante realtà: i sub hanno ancora più di mezz’ora di decompressione, ma sono circondati dagli squali. Spalla a spalla sorvegliano la situazione, di tanto in tanto un tocco con la mano per confermare che tutto va bene, ma un certo punto la mano del siciliano va a vuoto, si volta e l’amico cubano non c’è più: panico. Preoccupato e spaventato risale in superficie mettendosi a rischio di embolia, e trova l’amico già in barca che respira ossigeno puro e che dopo aver subito le amichevoli maledizioni l’accoglie così: “Amigo, meglio matado che mordido e matado!”. Un pallone riempito di aria compressa diventa quasi un missile durante la risalita di Pipin. La carriera di Pipin La carriera di profondista di Pipin si concluse il 12 ottobre del 2003, quando con una spettacolare discesa voluta per commemorare la morte della moglie Audrey, Pipin scese con una zavorra di 75 kg e raggiunse in No Limits i 170 metri in 2’39”, misura non omologata ma ripresa dal regista James Cameron che la riprese utilizzando perfino un mini sommergibile e la inserì poi nel suo film “The Dive”. La drammatica morte di Audrey Mestre segnò a lungo Pipin e merita un accenno, per quanto sintetico. Anche lei subacquea dalle indubbie doti, il 12 ottobre 2002 nelle acque della Repubblica Dominicana decide di tentare il record mondiale del No Limits scendendo a 171 metri con l’assistenza di Pipin e della sua squadra. Il pallone di aria compressa Tutto procede regolarmente, la discesa è perfetta, ma sul piattello di fondo, al momento di sganciare il pallone di risalita, qualcosa si inceppa. Il pallone non si gonfia e il subacqueo di assistenza accorre (ricordo che siamo a 171 metri). Audrey è al limite delle sue possibilità e capisce che quella manciata di secondi può fare la differenza fra la vita e la morte. Il pallone ancora non si gonfia, quindi il sub comincia a spingere Audrey verso la superficie assumendosi non pochi rischi. Audrey, ormai priva di sensi, viene passata da un subacqueo all’altro a seconda delle quote, lo stesso Pipin intuisce che qualcosa non va, afferra una bombola e si butta senza neanche indossarla. Audrey arriva in superficie, ma si capisce che ormai non c’è più nulla da fare. Una fine tragica dovuta a una serie di concause non facili da spiegare in poche righe, ma di cui Pipin non era certo responsabile. Per questo, quando nel 2022 Netflix produsse un film apertamente ispirato all’episodio e intitolato “No Limit”, che in pratica accusava Pipin di omicidio, l’atleta fece causa ai produttori. Il poster del film dedicato alla sfida fra Mayol e Maiorca. Una profondità diversa Oltre alla continua sfida per il primato, Pelizzari e Pipin vanno anche ricordati per alcune singolari imprese. Il cubano fece un’immersione sperimentale scendendo a 172 metri ma respirando aria da un erogatore a metà strada per dimostrare quello che la scienza riteneva impossibile a causa della pressione idrostatica. Pelizzari, onorando le radici dell’apnea profonda, andò in Grecia per emulare le gesta di Hadji Stathis, e il 21 settembre 1998 si immerse nello stile degli spugnari: senza muta né pinne, manovrando una “skandalopetra” collegata a un cavo, scese a 100 metri in 2’43”, dando per altro vita a una nuova tipologia di record. Ed è qui che si impone una riflessione. Per anni, il profondismo ha affascinato il grande pubblico che aveva ormai familiarizzato con le tre già citate categorie, trovando grande spazio anche sui media generalisti, quotidiani e TG della sera inclusi. Poi, a poco a poco, le tipologie dei record si sono moltiplicate, sono nate molte altre specialità e, nonostante le quote spettacolari raggiunte, si è creata una confusione che ha fatto perdere l’interesse del grande pubblico e, conseguentemente, anche quella degli sponsor e dei grandi media. Abbiamo detto spettacolari non a caso, se si considera che il tedesco Herbert Nitsch raggiunse i 214 metri in assetto variabile e che, nel 2012, raggiunse i 253 risalendo però in sincope e quindi rendendo nullo il record. Record invece valido quello del russo Alexey Molchanov che, lo scorso anno, durante i Campionati Mondiali della CMAS, è sceso a 136 metri in assetto costante con monopinna in 4’ 34”, attuale primato mondiale ufficializzato. In chiusura del capitolo non possiamo tuttavia non ricordare alcuni apneisti che furono qualcosa più che semplici meteore. Come ad esempio Stefano Makula, che negli anni ’70 e ’80 inserì il suo nome nell’albo d’oro del profondismo, fino a raggiungere i 66 metri a Capri nel 1987. Anni dopo Gianluca Genoni, già sub di assistenza a Pelizzari e come lui ex nuotatore (1,92 m x 88 kg e oltre 9 litri di capacità polmonare), iniziò una carriera di profondista che lo portò agli 85 metri in costante e nel 2012 a Rapallo ai 160 metri in No Limits. Genoni non mancò poi di affrontare nuove esperienze, sia scientifiche quando si immerse primo al mondo ai piedi dell’Everest a 5200 metri di altezza, o quando si inventò un nuovo record nel quale, al posto della zavorra, utilizzò per la discesa e la risalta uno scooter elettrico toccando in 4’24” i 152 metri. L’americana Tanya Streeter Apnea al femminile Anche nel caso del profondismo al femminile, possiamo trovare radici lontane ricordando le pescatrici di perle giapponesi, le mitiche ama, esponenti di una professione che, nata oltre un millennio fa, vede le donne immergersi ogni giorno per ore con tuffi di oltre venti metri. Del resto, a rigor di scienza, il fisico femminile ben si presta all’attività subacquea, come hanno dimostrato i fatti. Patrizia Maiorca Il primo passo lo fece Maria Treleani, nel 1967, scendendo a 31 metri, per poi lasciare il passo a due figlie d’arte: dai 35 metri di Patrizia Maiorca, nel 1978, ai 58 m di Rossana Maiorca, nel 1992, l’assetto costante vide prestazioni del massimo rilievo, poi arrivò la cubana Debora Andollo, che partì dai 60 metri nel 1992 per arrivare ai 65 nel 1997 e quindi ai 122 del 2003 in assetto variabile regolamentato con un’apnea di 3’38”. Donne in primo piano anche nel No limits, dove nel 1989 la meteora Angela Bandini toccò i 107 metri, senza però ripetersi. La nostra gloria nazionale, Alessia Zecchini, l’apneista italiana più forte di tutti i tempi Alessia Zecchini Quindi, venendo ai giorni nostri, ecco Alessia Zecchini: uno scricciolo di ragazza dal delizioso sorriso che è oggi al vertice dell’apnea mondiale in quasi tutte le discipline. Tanto per citare i suoi record più importanti: 123 metri in assetto costante con monopinna nel 2023; nello stesso anno, 109 metri con le due pinne; 101 metri in free immersion, ovvero senza pinne alle Bahamas nel 2021 e, sempre alle Bahamas, 74 metri in assetto costante senza attrezzi (si scende e si risale a rana lungo il cavo guida). Tralasciando altre specialità, il palmarès di Alessia è assolutamente impressionante. Come dire: la profondità è donna e Alessia è la sua profetessa. Purtroppo in questo sintetico ma comunque lungo viaggio senza respiro abbiamo dovuto lasciare da parte qualche nome e qualche episodio, alcuni purtroppo anche tragici, ma ci auguriamo di aver trasmesso il messaggio di una disciplina affascinante nella quale, quando intorno a te c’è solo blu, la fusione con il mare è totale e, citando ancora Pelizzari, più che guardare fuori finisci col guardarti dentro. Questo articolo ti è piaciuto? Condividilo!