L’affondamento della USS Arizona di Nautica Editrice il 5 Lug 2016 “Quando rientrai dal Quartier Generale Aereo Locale, ero troppo teso per andare a dormire. In tutta la base era stato imposto l’oscuramento, ma una luna appena levata, consentiva una visibilità sufficiente ad orientarsi. Uscii dal mio alloggio ed attraversando il piazzale adiacente, raggiunsi la banchina che si affacciava sulla baia. Dinanzi a me una spettrale sagoma scura, contorta, carbonizzata ed adagiata sul fondo, era ciò che rimaneva della corazzata Arizona. Al suo interno, fra le murate e la compartimentazione, sapevo che riposavano più di mille marinai americani, che un tempo erano stati il suo equipaggio. Alla sua vista, un silenzio quasi irreale, simile a quello di un cimitero solitario, si impossessò di me, rotto solo dal gorgoglìo dell’olio e della nafta che fuoriuscivano dallo scafo affondato.”Con queste parole, l’asso dei bombardieri in picchiata dell’Aviazione della Marina americana imbarcata Harold L. Buell, descrive, nel suo libro autobiografico Dauntless Helldiver, lo scenario che si presentava al personale ed ai militari della base di Pearl Harbor nell’isola di Ohau (Hawaii), durante la primavera del 1942, tre mesi dopo l’attacco giapponese che aveva trascinato gli Stati Uniti nel secondo conflitto mondiale. Ancora oggi, circa 60 anni dopo il suo affondamento, uno o due galloni di olio, fuoriescono ogni giorno dal relitto della corazzata affondata, ed è possibile rendere omaggio ai suoi caduti dal Memoriale costruitovi in prossimità. Ma cerchiamo di ricostruire come si svolse il suo affondamento durante l’attacco aereo giapponese alla base di Pearl Harbor il 7 dicembre 1941. Nonostante i numerosi incontri diplomatici fra la delegazione giapponese e quella americana, motivati dallo scontro oramai aperto fra la politica espansionistica del Sol Levante e quella conservatrice del presidente Roosvelt, non avessero portato alcun ad risultato, nelle isole Hawaii la consueta aria di rilassatezza e di tranquillità, era praticamente immutata. Erano state sì rinforzate le guarnigioni nelle Filippine e la flotta alla base di Pearl Harbor, ma sia i comandanti dell’Esercito, che quelli della Marina, stavano totalmente sottovalutando lo stato di preparazione e di determinazione delle rispettive armi dell’Impero giapponese. Addirittura l’avvistamento di sommergibili tascabili alle prime ore di quel fatale 7 dicembre nonchè gli allarmi delle stazioni radar dell’isola, furono completamente ignorati dalle autorità militari. Così alle ore 7.55, mentre su molte unità militari alla fonda si svolgeva la cerimonia dell’alzabandiera e le campane di Honolulu invitavano i fedeli alla Messa domenicale, una forza composta da circa 400 aerei, decollata da 6 portaerei da una distanza di 250 miglia, lanciava un attacco diviso in due ondate contro ogni installazione militare sull’isola di Ohau. Le navi da battaglia americane erano agli ormeggi sul lato orientale dell’isola Ford, denominato “The Battleship Row” nel seguente ordine: la Nevada a nord, l’Arizona più a sud, la West Virginia e la Tennessee appaiate così come l’Oklahoma e la Maryland, la California nell’ormeggio più meridionale; la Pennsylvania si trovava in un bacino di carenaggio per lavori di manutenzione. Lo storico della Marina americana S.E. Morison, così descrive l’attacco alle navi da battaglia: “Gli aviatori nipponici sapevano esattamente dove trovare le corazzate completamente prive di difesa contro gli attacchi siluranti, e puntarono subito sull’Arizona e sulle quattro navi ormeggiate fianco a fianco. Ciò che rendeva la difesa ancora più difficile era l’assenza, per i permessi del fine settimana, dei numerosi ufficiali e graduati anziani, ai quali i più giovani erano abituati a guardare per ricevere ordini e direttive. La Tennesse, ormeggiata all’interno, soffrì di meno; fu colpita da due bombe sul principio dell’attacco ma i danni peggiori le derivarono dagli incendi appiccati a bordo dai frammenti infuocati proiettati a bordo dall’esplosione della corazzata Arizona. La lotta contro il fuoco durò fino al mattino seguente ma la nave non affondò; le sue perdite furono di soli 5 marinai uccisi e dopo 3 settimane, congiuntamente alla Maryland ed alla Pennsylvania, salpava alla volta della costa occidentale per un completo ammodernamento. L’Arizona era ormeggiata all’interno di un piccolo molo che le offrì scarsa protezione: entro un minuto dall’inizio dell’attacco la corazzata era letteralmente circondata dalle esplosioni delle bombe. Fu quasi subito colpita da un siluro sul lato sinistro e da due bombe, una delle quali fece saltare in aria il deposito delle munizioni delle torri di prora; l’esplosione spezzò l’opera viva in due e sia il comandante Van Valkenburgh, sia il contrammiraglio Kidd, entrambi sul ponte di comando, rimasero uccisi. La nave si inclinò sul lato di sinistra e si appoggiò sul fondo mentre sul ponte le armi antiaeree continuavano a far fuoco; la maggiorparte degli uomini dell’equipaggio che si trovavano nei ponti inferiori, non riuscì a mettersi in salvo. Quando alle 10.32 la corazzata affondò completamente, il bilancio delle vittime ammontava a 1103 fra ufficiali e marinai. La corazzata Oklahoma, pur non saltando in aria alla stregua dell’Arizona, riportò danni così gravi da renderne impossibile il recupero, mentre la Nevada, pur avendo reagito con tutte le armi di bordo, ed avendo tentato di prendere il largo, colpita da un siluro e cinque bombe, fu fatta arenare dal suo vice comandante su bassi fondali, per evitarne l’affondamento nel canale di accesso alla base.” La corazzata Arizona, della stessa classe della Pennsylvania, impostata nel 1914, come miglioramento delle corazzate della classe Nevada, entrò in servizio nel 1916. La lunghezza era di m 185, sette in più delle navi della classe precedente, con larghezza pressochè identica, mentre l’apparato propulsivo, costituito da sei caldaie e relative turbine, muoveva eliche disposte su quattro assi con una potenza complessiva di 33.000 HP ed una velocità massima di 21 nodi. Nella protezione, gli spessori delle corazze furono aumentati fino a raggiungere il 35{2e3577d2bd6aebaa150c85c33fcd353783f1aa6c690283591e00ef60b3336fc8} del peso totale della nave: essi erano di mm 356 al galleggiamento, mm 102 al ponte corazzato, mm 51 al ponte inclinato, mm 457 al frontale delle torri principali e mm 406 al torrione. L’armamento principale era costituito da 12 pezzi da 356/45, disposti in 4 torri trinate; quello secondario da 22 pezzi da 127/51. Due serie di ammodernamenti, negli anni 1918-1919 e 1928-1931 la resero, unitamente alle unità della stessa classe, adeguata ai tempi con una completa ristrutturazione della protezione esterna e subacquea, con la sostituzione di tutte le caldaie, una nuova progettazione del torrione ed il miglioramento degli armamenti principale e secondario. Già da una sommaria valutazione effettuata al termine dell’incursione giapponese, si evinse che la nave aveva subito danni tali da renderne inutile il recupero. Si decise quindi di smantellarne il torrione, le varie sovrastrutture, le torri dell’armamento principale e le varie armi secondarie. Lo scafo fu lasciato in sito, con all’interno i corpi di tutti quei marinai che non avevano trovato scampo al repentino affondamento, uniti così alla loro nave in quel doloroso destino. I nomi di quegli sfortunati marinai, la cui età media era di 19 anni, sono visibili su una parete all’interno dello “USS Arizona Memorial” (www.nps.gov/usar), costruito nel 1962 esattamente al di sopra dello scafo affondato, visibile ad un paio di metri al di sotto del livello del mare. Ogni giorno, sul predetto sacrario militare, avviene un alzabandiera commemorativo, in onore di quei marinai caduti nel 1941. “Pearl Harbor” sarà probabilmente, il colossal cinematografico dell’anno 2001, realizzato dopo più di trent’anni dal primo film “Tora, Tora, Tora”, ispirato anch’esso al tristemente famoso attacco aereo. Con un budget di circa 145 milioni di dollari, il film che il regista Michael Bay vuole rappresenti “un omaggio per chi ha combattuto ed una lezione di storia e di vita per chi quel giorno non era ancora nato”, ricostruirà con incredibile verosimiglianza, quelle due terrificanti ore che portarono gli Stati Uniti a scendere in guerra. Nelle immagini sarà così possibile rivivere, anche la sorte della corazzata Arizona e del suo sfortunato equipaggio. Testo di Andrea Cavallotti Le immagini rappresentano nell’ordine: 1) La corazzata Arizona in navigazione nel 1941 2) Le corazzate americane allineate lungo l’isola Ford attaccate dagli aerei giapponesi 3) 4) 5) Le fasi dell’affondamento della corazzata USS Arizona 6) Basamento di una delle torri di artiglieria di grosso calibro, affiorante dallo scafo affondato, visibile dallo “USS Arizona Memorial” USS Arizona Memorial www.nps.gov/usar Questo articolo ti è piaciuto? Condividilo!