Barche d’epoca, il Moya si rinnova di Elena Casillo il 5 Nov 2016 NAVIGARE SULL’ACQUA Su questa imbarcazione, la cui linea affascina sempre gli uomini di mare, si è già scritto molto, ma il «Moya» è stato sottoposto ad un totale restauro o meglio – possiamo dire – si è cercato di ripristinarla nel suo iniziale splendore quasi fosse stata appena varata. È entrata in cantiere alla fine della stagione 1992 dopo aver partecipato alla “barcolana” triestina per dei neccessari lavori di modesta ristrutturazione: la coperta faceva acqua e quindi si voleva risolvere al meglio questo problema. Il suo armatore Renato Pirota ha voluto affidare la direzione di tali lavori all’amico Carlo Sciarrelli e la loro realizzazione all’ormai noto cantiere Alto Adriatico di Pitacco Luxich e Ferluga, trasferitosi a Monfalcone dopo aver magnificamente ristrutturato il «Tirrenia II», e che continua a dimostrare un’incredibile capacità artigiana nella cura di ogni piccolo dettaglio di bordo. Da amico ad amico, Carlo Sciarrelli – una volta addentratosi nella documentazione storica – non ha potuto fare a meno di coinvolgere tutti in un affascinante lavoro di ripristino dell’imbarcazione in quello che era il suo aspetto originale, compresa l’armatura velica rigorosamente tradizionale di cutter aurico. D’altronde era stato proprio Sciarrelli a segnalare inizialmente l’imbarcazione a quello che sarebbe poi divenuto il suo proprietario, acquistandola in Inghilterra da Kris Weddinton che l’aveva a suo tempo restaurata e mantenuta in buone condizioni. Carlo Sciarrelli non è solo un ottimo architetto, ma anche un riconosciuto “storico” dello yacht e della tradizionale costruzione in legno e come tale è riuscito a raccogliere una tal mole di documentazione sull’imbarcazione, da ritenere che fosse essenziale recuperarla in maniera completa cioè, come direbbe lui, “restituendole l’anima che le spetta” e certamente Renato Pirota grande amante delle barche “vere” non si è tirato indietro. Sono stati consultati molti Lloyd’s Register of Yacht per seguirne la storia, si sono ritrovati articoli d’epoca che illustravano la nuova costruzione e soprattutto si sono recuperate le fotografie del varo e degli interni originali dello scafo. Ripercorriamo la sua storia, estremamente interessante anche perchè il «Moya» (acqua in arabo) rappresenta una delle più belle tipologie navali da lavoro, nobilitate poi con il loro largo impiego nello yachting. Leggendo l’articolo di “The Yachting Monthly” del dicembre 1911: “Il 18 tonn. è stato costruito l’anno scorso da Mr. A.E. Penny. Per la sua misura, lo yacht è eccezionalmente ben arredato ed equipaggiato sottocoperta. Mr. E. Caisley, di Arnside, è stato incaricato dei lavori, il risultato è istruttivo.” Come si vede, il «Moya» desta subito l’attenzione degli specialisti che sottolineano la particolare raffinatezza “artistica” con cui sono stati realizzati gli interni di uno yacht di così limitate dimensioni, sfruttando ogni piccolo spazio con ingegnosi marchingegni come: la credenza fornita di uno specchio pieghevole, un particolare dispositivo a scatto per trattenere le stoviglie al loro posto anche in navigazione, la ribaltina che consente di avere un ampio tavolo per il carteggio, abbassabile quando non più necessario, senza creare ingombri. Certamente doveva essere all’avanguardia anche l'”intelligente piccola cuccetta, che di giorno è un divano… ma con un semplice movimento si allunga (o meglio si allarga) fino a 3′ e 9″ (circa 119 cm) formando un letto confortevole”. Le linee particolari di questo scafo, qui riprodotte, sono state a suo tempo ricavate dal mezzo modello originale, conservato poi nel cantiere, che William Crossfield aveva utilizzato per realizzare il «Moya», non usando lui piani di costruzione. Il “progetto” risale al 1905 e, come ci specifica Eric McKee nei suoi studi, rappresenta uno dei più tipici “Morecambe Bay Prawner”, barca usata per la pesca dei gamberetti nella baia di Morecambe del mare d’Irlanda. E. McKee ebbe modo di esaminare molto bene il «Moya» nel 1975 a Helford e, oltre a tracciarne degli schizzi, ci specifica come raramente avesse potuto esaminare uno scafo di questo tipo – realizzato come yacht – con le proporzioni così fedeli a quelle dei prawners impiegati per lavoro; spesso, infatti, l’aspetto esterno risentiva molto delle modifiche imposte allo scafo per avere maggior abitabilità e comfort a bordo (rialzo del ponte e grandi tughe). «Moya» quindi non è un qualsiasi yacht d’epoca ma rappresenta un capolavoro di William Crossfield, il più apprezzato progettista fautore proprio della realizzazione di questo particolare tipo d’imbarcazioni; il «Moya» costituisce, infatti, la massima espressione sulle lunghezze maggiori di realizzazione di queste barche, solitamente non più lunghe di 35 piedi. Le sue principali caratteristiche sono: ottima manovrabilità ed una confortevole abitabilità degli interni, per la loro massima raffinatezza affidati alla realizzazione dello specialista E. Caisley – autore anche di una specifica pubblicazione sull’argomento – non disgiunte, nonostante la robustezza della costruzione e le consuete linee piene dello scafo, da una notevole capacità di “correre”. Attraverso l’esame dei “British Registry” è possibile ricostruire la sua storia: il gaff- cutter «Moya» fu varato ad Arside per Mr. A.E Penny ed entrò in attività nel 1910 – inscritto tra gli Int. Rating Class 5 metres -; nel 1914 risulta di proprietà di W.R. Brown di Preston, successivamente (nel 1928) venne acquistato da Walter Tawnsley iscritto a Lancaster nel Lancashire; il nuovo proprietario modifica l’armo velico trasformando il «Moya» in yawl. Dal 1933 al 1943 appartenne a David Scott Webster, iscritto al Royal Gonroch Yacht Club di Lancaster. È stato questo un lungo periodo di crociere nel Clyde poi il 25 ottobre 1943 Charles L. Read divenne il nuovo proprietario di questo yawl ausiliario e successivamente (1948) egli preferì ripristinare l’armo originale; nel marzo del 1952 il gaff-cutter divenne di proprietà di John Michael Platt; fu quindi nel 1960 la volta di John Llewellyn Moxey, nel 1969 di Barry John Westwood ed infine nel 1973 venne abbandonato in un canale del Lancaster. Il 6 febbraio del 1974 Cristopher Michael Waddington entrò in possesso di questa gloriosa barca ed essendo proprietario di un cantiere a Fareham (Hampshire) pensò bene di rimetterla in piena efficienza e farne la propria barca da regata. Adattati gli interni alle proprie esigenze, mantenne il piano velico originale a cutter aurico e per rendere più pratica la manovra, semplificò l’attrezzatura ricorrendo a verricelli. Inizia così con lo scafo color verde smeraldo la seconda vita del cutter «Moya», che partecipa a molte regate nel Solent, risultando molto spesso vincitore, ed anche al Fastnet del 1975 in cui si classifica secondo della sua classe. Nel 1987 Renato Pirota fa visita a Carlo Sciarrelli alla ricerca di una barca significativa di vecchio stampo a dislocamento pesante, magari di Fife; ma la ricerca in Italia risulta vana per cui si ricorse subito a “Yachting Word” per esaminare cosa offrisse il mercato inglese. Effettuata una prima scelta di tre imbarcazioni “interessanti”, quando si recarono in Inghilterra per esaminarne lo stato di persona, «Moya» risultò il migliore e l’acquisto venne perfezionato con una veloce trattativa; fu portata in Mediterraneo con uno skipper attraverso i canali francesi, venne affidata al timone di Gian Battista Borea d’Olmo e subito impiegata nei nostri mari divenendo la barca da battere in tutte le regate di barche d’epoca, a Porto Cervo, Imperia, La Spezia e Sant Tropez. Una volta entrato in cantiere a Monfalcone per il rifacimento della coperta, non si sarebbe potuto mettere mano ad uno scafo del genere senza la responsabilità di valorizzare al massimo questa splendida costruzione. Quindi, consultata attentamente la documentazione raccolta che illustra bene gli interni molto lussuosi ed anche l’aspetto esterno, tradizionalmente bianco, si procede ad un restauro totale di alta qualità nelle sicure abili mani di Luigi Pitacco, Lorenzo Luxich e Giorgio Ferluga. Tutta la coperta viene tolta e così anche gli interni, mentre lo scafo in pich pine risulta in ottime condizioni. Studiato tutto attentamente, Carlo Sciarrelli ridisegna gli interni sfruttando bene gli spazi e ricostruendo mobili e dettagli come dalla vecchia foto scattata nel 1911. Le modifiche effettuate in precedenza constringono a qualche variazione “speculare” ma, come si potrà notare dalle foto riprodotte in queste pagine a confronto con l’originale, tutto è stato ripristinato al meglio: gli stipetti in teak verniciato, la piccola libreria di bordo, le vetrine chiuse da portelli in cristallo molato, il porta bottiglie con bicchieri e bottiglia in cristallo munito di targhetta personalizzata “Moya”. Così i divani in pelle e le cuccette hanno ripreso l’aspetto originale, ben illuminato da tradizionali lampade basculanti. La coperta viene totalmente rinnovata col classico teak. Siamo tornati all’inizio del secolo nell’attrezzatura velica rigorosamante tradizionale, mossa da cime in canapa con rinvii costituiti da classici bozzelli in legno e con totale assenza di verricelli, rispettando il classico armo a gaff-cutter ossia cutter aurico anche nelle misure, confrontando le diverse vele fornite a suo tempo da velai famosi come Ratsey o Lucas. Il motore naturalmente è stato cambiato ed il pozzetto non è esattamente uguale all’originale, ma certamente è stato raggiunto un indiscutibile prezioso recupero, come ha recentemente riconosciuto anche la giuria, composta da “fior” di esperti in materia, del concorso indetto nel 1993 dalla MARTINI & ROSSI e dalla rivista specializzata “YACHT DIGEST” per il “Premio per il miglior restauro di barca d’epoca”, assegnando il primo premio proprio al Cantiere Alto Adriatico di Monfalcone per il restauro del «Moya». il “Nobby” di Morecambe Bay Il termine “nobby” in Gran Bretagna definisce la forma di scafo costruito tra la Cardigan Bay e la baia di Solway Firth caratterizzate da bassi fondali, soggette alle maree, e con estuari dal fondale molto ricco di risorse ma in un labirinto di secche e banchi di sabbia tra cui è difficile la navigazione. Ancora oggi esistono dei “nobby” motorizzati, modificati nelle forme rispetto quelli a vela, che erano delle barche adatte a navigare sui bassi fondali ma capaci anche di tenere bene il mare anche in caso di brutto tempo. Ve ne sono di diversi tipi, ma quello più bello è rappresentato dai cosiddetti “prawner”, ossia le barche impiegate nella baia di Morecambe, per la pesca a strascico dei gamberetti, destinati a rifornire le ricche tavole del Lancashire; esse sono divenute molto popolari attorno al 1920.Avevano solitamente due uomini d’equipaggio ed era indispensabile che la barca manovrasse facilmente, poichè oltre che condurre la barca essi dovevano anche calare, recuperare e svuotare la rete dal pescato. Lo scafo era robusto, pesante e caratterizzato da linee allungate con una chiglia diritta, una prua rotonda ed una poppa molto sporgente. Per dare forza a queste barche era necessaria un’abbondante velatura a cutter munita di gabbia; l’albero era in un sol pezzo ed abbastanza corto, ma veniva sollevata una randa molto “tagliata” con il picco molto alto e al di sopra – mediante una lunga antenna – veniva issata una vela di gabbia. A prua, oltre alla trinchettina, un grande fiocco era teso da un pesante bompresso fissato a bordo sul ponte e lateralmente all’asta di prua con un ferro, ma spesso senza briglia per avere meno problemi durante le operazioni di pesca. Gli scafi erano costruiti su misure standard: i più piccoli erano lunghi 25 piedi (7,62 metri) e non interamente pontati, mentre quelli più importanti avevano le classiche dimensioni 35 piedi (10,67 m), di lunghezza fuori tutto, 9 piedi di larghezza e 5 piedi di puntale. Grazie alle costruzioni di Crossfield ad Arnside e di Armour a Fleetwood si sviluppò un nuovo scafo con il profilo più simile a quello di uno yacht, con una ruota di prua più accorciata ed un arrotondamento crescente, raccordato con la chiglia, ed un’asta di poppa molto inclinata, che consentiva allo scafo di essere più veloce e molto più manovrabile. Le loro realizzazioni ebbero modo di confrontarsi nelle agguerrite regate che si svolgevano nella zona e le linee divennero sempre più affinate; JEAN e MABEL divennero due delle barche di Crossfield più note avendo ripetutamente vinto le regate locali di Barrow e di Fleetwood. La sezione maestra risultava comunque sufficientemente piena per garantire di pescare sulle basse acque e lateralmente ben arrotondata in modo da poter facilmente tirare a bordo le reti. Questi “prawner” lavoravano brevemente quasi sempre nel corso di un unico ciclo di marea, pertanto a bordo non vi era necessità di alloggiamenti, ma bastavano le indispensabili attrezzature. A poppa dell’albero c’era una paratia con una porta scorrevole che dava accesso ad una cabina con fornelletto ed armadietti. Il pozzetto era lungo e stretto, rialzato verso poppa per il timoniere e contornato da un bordo rialzato; lasciava molto spazio sul ponte e consentiva di poter lavorare con la rete senza portare sporco all’interno. C’era un boccaporto che consentiva di riporre in stiva l’ancora, le diverse cime ed attrezzi di bordo; inoltre a metà scafo c’era un robusto banco trasversale che irrobustiva la struttura e, inoltre, sotto il pavimento si teneva una zavorra in ferro. Non vi era verricello a bordo ma solo un bittone per le funi e su entrambi i lati dello scafo erano sistemate le bitte per fissare le cime delle reti a strascico; una fune era sempre legata a prua dell’albero su una bitta e, nel caso la rete s’impigliasse sul fondo, il timoniere poteva mollare l’altra cima fissata alla bitta vicino a lui e recuperare poi la rete. La cima che strisciava sul fondo trascinando la rete era munita di pezzi di legno per facilitarne lo scorrimento. L’utilizzo di una zavorra esterna e di una chiglia curva rendeva più facile far rigalleggiare la barca eventualmente incagliata. Non vi erano interni e la vita a bordo risultava sempre molto spartana. Certamente “the best known name” tra i costruttori fu Crossfield di Arnside che realizzava i suoi scafi utilizzando i mezzi modelli navali realizzati sulle richieste dei clienti, ma era famoso per non scendere mai a compromessi: una barca che usciva dal suo cantiere per prima cosa era un Crossfild’s trawler. Questo cantiere, che vanta ormai quasi un secolo e mezzo di attività, ha cambiato di proprietà ma il nome è stato mantenuto. Questo articolo ti è piaciuto? Condividilo!
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