Vulcani: un mare di fuoco di Stefano Navarrini il 29 Mar 2024 Sommario I vulcani hanno modellato il nostro pianetaIl fascino del fuocoTragiche testimonianzeIl vulcano più famoso al mondoLe testimonianzeI Campi FlegreiLe immagini di una tragediaVulcani in movimentoFuoco e finire ribollenti in mare.L’Isola FerdinandeaIl gigante del TirrenoCifre vulcaniche I vulcani hanno modellato il nostro pianeta È uno dei più spettacolari fenomeni della natura, capace di creare o di distruggere secondo leggi a volte imprevedibili. I vulcani, la cui remota attività ha modellato il nostro pianeta, non hanno ancora finito la loro opera e molti dormono sotto i nostri mari in attesa di risvegliarsi Se nell’ispirarsi al pantheon ellenico i Romani trovarono poco adatto ai propri gusti il nome di Efesto, dio greco del fuoco e di varie altre cose, e lo trasformarono in Vulcano, non fu certo un caso e la cosa, va detto, fu molto apprezzata dal dio stesso. Vulcani di ieri e di oggi. In alto l’isola di Santorini come si presenta attualmente, con la bocca attiva del vulcano al centro della caldera, e quella del Kolumbo a Nord-Est. Attivi e spettacolari sono anche l’Etna, le cui eruzioni non destano quasi mai serie preoccupazioni lo Stromboli, la cui costante attività si sfoga pacificamente lungo la Sciara del Fuoco. Tanto che se la sede principale di questa poliedrica divinità era Lemnos, splendida isola dell’Egeo, è noto che poi Efesto aprì una succursale anche nelle isole Eolie e un’altra all’interno dell’Etna, che aveva scelto come sua officina personale dove, essendo una divinità multitasking, forgiava fulmini per Zeus, oggettistica varia per gli dei dell’Olimpo, e a tempo perso anche armi per i maggiori eroi greci (in particolare fu lui a realizzare la spada di Ercole e il famoso scudo di Achille). Anche il fatto di aver assunto come aiutanti i Ciclopi ha il suo perché, dato che l’unico occhio di queste mostruosità paraumane simboleggiava proprio la bocca di un vulcano. Se la mitologia è uno straordinario gioco di fantasia, si può poi anche accettare che Efesto/Vulcano, brutto e zoppo, abbia preso in moglie Afrodite dea della bellezza, o che preso da insana passione per Atena la stuprò spargendo poi il proprio seme sulla Terra per fecondarla, il che – a pensarci bene – fa anche un po’ schifo. Insomma da uno così sempre meglio stare alla larga, come del resto dai vulcani veri e propri, che se certo contribuirono all’attuale morfologia del pianeta, non mancarono di lasciare disastrosi ricordi sia nelle antiche civiltà sia in quelle più moderne. E la storia non è finita. Il fascino del fuoco Oltre a costituire una perenne minaccia per alcune zone calde del pianeta, i vulcani sono anche un fenomeno affascinante perché un’eruzione ci mette in contatto con il cuore della Terra, come dire che lava e magma che fuoriescono dalla bocca di un vulcano sono l’anima più intima del nostro pianeta. Come detto, dopo aver dato volto a gran parte della Terra, il fenomeno è tutt’altro che esaurito e, se ci guardiamo in casa, notiamo che alcune delle zone più suggestive della nostra penisola nascono proprio dai vulcani. Se non bastasse, sarà bene ricordare che proprio il Mediterraneo – e l’Italia in particolare – siedono su un mare di fuoco ben lungi dall’essersi placato. Tragiche testimonianze È la storia la prima a portarci tragiche testimonianze della potenza distruttiva di un vulcano e, ben prima che il Vesuvio diventasse la romantica icona del paesaggio napoletano, ci fu in Mediterraneo un evento che resta a tutt’oggi la più potente eruzione mai avvenuta in epoca storica. Il luogo è Thera e la data è quella del 1646 a.C., epoca in cui la civiltà minoica era già fiorente, e se l’isola oggi più nota come Santorini ne era un avamposto, le conseguenze della sua spaventosa eruzione e dello tsunami che investì le isole vicine – valutato fra i 35 e i 150 metri di altezza – arrivarono fino alle coste di Creta, contribuendo al suo decadimento. Thera appartiene a quell’”arco ellenico” che chiude a Sud l’Egeo e che va dalle isole Ionie a Rodi, comprendendo una serie di vulcani spenti e dormienti, o ancora attivi come proprio quello di Santorini. L’eruzione del 1646 a.C. cambiò drasticamente e per sempre la morfologia dell’isola, dato che la parte centrale collassò dando origine alla spettacolare caldera che costituisce oggi la maggior attrattiva dell’isola. Ma, appunto, il vulcano è ancora attivo, come dimostrano i due isolotti di Nea Kameni e Palea Kameni che sorgono al centro della caldera, che raggiunge i 300 metri di profondità, e che pur essendo meta costante di escursioni turistiche ci ricordano occasionalmente con piccole eruzioni (l’ultima nel 1950) che… qualcosa bolle in pentola. I due isolotti sono attentamente monitorati dalle autorità scientifiche, così come il Kolumbo, un vulcano sottomarino situato circa 8 km a NE di Santorini, il cui più recente segno di vita avvenne nel 1649, quando il cono del vulcano emerse in superficie sprigionando una serie di flussi piroclastici che raggiunsero le coste di Thera causando la morte di una settantina di persone. Tornato poi nella sua pace subacquea, il picco del Kolumbo si trova oggi a circa 10 metri di profondità, pronto però – come del resto la stessa Santorini – a rifarsi vivo. Il vulcano più famoso al mondo L’immediatezza e l’imprevedibilità di un’eruzione, soprattutto nell’antichità quando la vulcanologia era ancora una scienza ignota, non hanno mai lasciato molto scampo alle popolazioni, ma nel caso di Santorini l’esplosione del vulcano fu preceduta per alcuni giorni da scosse sismiche e da una pioggia di detriti vulcanici che consentirono a gran parte degli abitanti di mettersi in salvo prima del disastro. Le testimonianze Le testimonianze di quella che era la vita sull’isola sono oggi visibili negli scavi di Akrotiri, al tempo un piccolo porto nella parte meridionale dell’isola, oggi chiamato anche la Pompei dell’Egeo. Dal punto di vista della potenza, l’eruzione di Santorini – considerata quattro volte superiore a quella del Krakatoa del 1883 – resta uno dei più grandi eventi vulcanici mai avvenuti a livello mondiale. Poca meraviglia, quindi, che fra realtà e leggenda l’eruzione di Thera sia stata poi legata alla scomparsa di Atlantide. Il più conosciuto dei nostri vulcani, il Vesuvio, fece la sua ultima eruzione nel 1944. Benché sia oggi una popolare meta turistica, e benché le sue pendici siano densamente popolate, il vulcano è tutt’ora attivo e considerato altamente pericoloso. Comunque, se nonostante la sua devastante potenza questa esplosione non causò – per quanto ne sappiamo – che poche vittime, ben diversa è la storia del Vesuvio, che si porta sulla coscienza una vera strage di vite umane e di animali. Essendo uno dei vulcani più studiati al mondo, di “lui” sappiamo tutto…o quasi. Sappiamo ad esempio che nonostante sia una delle immagini più presenti sulle cartoline turistiche, si tratta di un vulcano estremamente pericoloso e pronto ad esplodere da un giorno all’altro. Il che, considerando che le sue pendici sono abitate da centinaia di migliaia di persone, costituisce oggi uno dei più macroscopici esempi di incoscienza popolare. E se ogni soffio del vulcano è attentamente monitorato dall’Osservatorio Vesuviano dell’INGV (Istituto Nazionale Geofisica e Vulcanologia), e se la Protezione Civile ha da tempo progettato, mantenendolo costantemente aggiornato, un quadro di evacuazione, sempre che il Vesuvio lasci il tempo per attuarlo, viene anche da chiedersi quali sarebbero le conseguenze di oltre 700.000 persone in fuga, magari sulla tangenziale che porta alle autostrade, essendo stato stimato che un’eventuale prossima eruzione con la caduta di ceneri roventi, lapilli, gas e colate di fango varie potrebbe mettere in pericolo la stessa Napoli. I Campi Flegrei Nei cui sobborghi, per altro, ci sarebbe il problema dei Campi Flegrei, leggi Pozzuoli e dintorni, considerata zona ad alto rischio sismico essendo in pratica una grande caldera di circa 200 kmq che oggi ingloba vari comuni, nota per altro fin dall’antichità per la sua costante attività sismica e vulcanica. Attività ben viva anche oggi, dato che l’ultimo terremoto di magnitudo 3,4, avvenuto lo scorso 3 marzo, è stato avvertito anche a Napoli. Apprezzata oggi per le sue acque termali, l’area dei Campi Flegrei è nota anche per i suoi fenomeni di bradisismo, con dislivelli che fra il 1982 e il 1984 raggiunsero un’escursione massima di 3 metri, senza dimenticare come detto che si tratta di una delle zone considerate dai vulcanologi fra le più pericolose al mondo. In sostanza, all’ombra del Vesuvio ci sarebbe poco da star tranquilli, anche perché, a detta dei vulcanologi, il problema non è se ci sarà un’altra eruzione, ma solo…quando ci sarà. Il che non toglie che Napoli e dintorni, ben protetti da San Gennaro, continuino ad essere incessante meta del turismo internazionale, mentre per il momento il Vesuvio, la cui ultima eruzione risale al marzo del 1944, ovvero in piena guerra mondiale, per il piacere di tutti continua ad essere la quinta di fondo del classico pino che protende la sua chioma verso il mare. Le immagini di una tragedia Con il cinismo di 2000 anni dopo, pur con il rispetto delle quasi 1500 vittime accertate causate dall’eruzione del 79 d.C. fra Ercolano e Pompei, che probabilmente furono ben di più dato che la sola Pompei contava circa 20.000 abitanti, va detto che questo drammatico evento ci ha lasciato testimonianze assolutamente uniche, e si spera irripetibili, della vita quotidiana dell’epoca. A parte l’accurata descrizione dell’eruzione che ne fece Plinio il Giovane dalla sua villa di Capo Miseno, in quanto testimone oculare dell’evento, molta gente di certo fuggì nei giorni precedenti avvertita dalla voce ruggente del vulcano, ma quando il Vesuvio esplose l’ondata piroclastica di calore che in quei casi viaggia a velocità di varie centinaia di chilometri l’ora, unita a gas venefici e cenere, causò per i meno fortunati una morte immediata, che ci ha poi consegnato immagini quasi fotografiche di uomini e animali colti nelle più impensabili situazioni. In un passaggio di pochi secondi fra la vita e la morte, famose sono ad esempio le immagini dell’uomo colto mentre probabilmente si stava masturbando, così come le immagini di uomini e famiglie colte nel sonno, quelle di padri che cercavano disperatamente di proteggere il proprio figlio, o di animali rattrappiti nell’esalare l’ultimo soffio di vita. Vale tuttavia la pena di ricordare che le tante immagini delle vittime di Pompei, colte nell’immediatezza della morte, sono in realtà dei calchi, o meglio degli stampi, ma di tipo molto particolare. L’ondata di calore dell’eruzione portò le sue vittime a morte istantanea, mentre la fitta coltre di ceneri che seguì si depositò sui corpi solidificandosi e suggellandone le forme. Con il passare del tempo gli organi interni dei corpi si decomposero lasciando inalterato l’involucro esterno, che però non avrebbe mai retto la pressione di uno scavo e sarebbe probabilmente collassato nel corso delle operazioni. Fortunatamente, nel 1863, Giuseppe Fiorelli, allora direttore degli scavi di Pompei, dopo aver compreso la situazione provò a iniettare all’interno dei corpi individuati ma ancora sepolti una sostanza solidificante che riempì ogni minima cavità. Ripuliti poi delle ceneri rimaste in superficie, di quei corpi rimase in realtà solo una stampata, praticamente perfetta in ogni dettaglio: un procedimento più o meno simile a quello con cui si costruiscono oggi le barche in vetroresina. Non tutti i corpi oggi rinvenuti sono stati però conservati con questo procedimento. Fra i ritrovamenti più recenti, ad esempio, c’è quello di una testuggine rinvenuta con all’interno ancora un uovo non depositato, o quella assolutamente straordinaria dei resti cerebrali di un uomo, vetrificati a causa dello shock termico causato dall’ondata di calore. Gli scavi di Pompei, considerati dall’UNESCO Patrimonio dell’Umanità, si estendono per 66 ettari e sono visitati annualmente da quasi quattro milioni di turisti. La spettacolarità del sito, sovrastato dal vulcano che lo distrusse, offre un quadro della vita dell’epoca in tutti i suoi aspetti. In altre parole un’immensa tragedia, che per gli amanti delle cifre possiamo tracciare grazie alle analisi sui resti di un affresco pompeiano, attraverso il quale è stato possibile appurare che l’eruzione del Vesuvio iniziò a mezzogiorno del 24 ottobre del 79 a.C. e terminò 60 ore dopo: un tempo in cui la città restò nel buio assoluto, in quanto le ceneri oscurarono la luce solare. Vulcani in movimento Mentre le due spaventose eruzioni di cui sopra restano le più famose della nostra storia, i fenomeni vulcanici sono comunque eventi per noi familiari sia nelle loro forme più miti, come quella delle acque termali, sia in quelle più spettacolari, anche se per il momento innocue di vulcani attivi come l’Etna e il Vesuvio. Premesso che esistono molte forme di vulcanismo, mentre l’Etna – grazie all’ampiezza della sua superficie (1250 kmq), all’altezza delle sue varie bocche eruttive, per lo più oltre i 3000 metri – è considerato di scarsa pericolosità, lo Stromboli ha un carattere un po’ più irascibile. Entrambi sono comunque un affascinante spettacolo della natura e, come tali, ricercate mete turistiche. Tuttavia, anche per la sua posizione, isolato in mezzo al mare, lo Stromboli ha un fascino più marino. Chi, soprattutto nella pace di una navigazione notturna a vela e con buon tempo ne ha vissuto l’emozione, non lo dimenticherà facilmente. Perché quando nello spettacolo di un cielo fittamente stellato, all’orizzonte si accende improvviso il profondo rosso di una lingua di fuoco, beh…una scarica di adrenalina è assicurata! Dopo di che, accertato che non si tratta di un’invasione aliena, ci si può anche godere lo straordinario spettacolo, perché lo Stromboli, che si erge da un fondale di 2000 metri e sale con la cima del suo cono a 924 metri, è uno dei vulcani più attivi al mondo e si esibisce in continue esplosioni di lava, lapilli e vere e proprie bombe di roccia che possono arrivare anche a centinaia di metri di altezza per poi, fortunatamente per gli abitanti, ricadere sul versante nord-occidentale lungo la cosiddetta Sciara del Fuoco e finire ribollenti in mare. Tra i fenomeni più spettacolari del vulcanesimo dei nostri mari, non si può però non citare l’Isola Ferdinandea, l’isola che non c’è, ovvero la cima di un vulcano quiescente che il 7 luglio del 1831 emerse nel Canale di Sicilia per circa 65 metri fra lo stupore dei pescatori che la osservarono dalla vicina costa di Sciacca e Mazara. L’Isola Ferdinandea L’attività di questo piccolo cono vulcanico durò poco più di un mese, ed essendo esso costituito da roccia friabile fu presto eroso dal mare, a parte due brevi apparizioni nel 1846 e nel 1863. L’Isola Ferdinandea – 1831 Nonostante l’estemporaneità della sua presenza, l’Isola Ferdinandea dette tuttavia adito a un acceso contenzioso fra il Regno delle Due Sicilie, governato da Ferdinando II, gli inglesi che furono i primi a piantarvi una bandiera battezzando l’isola Graham, nome con cui ancor oggi figura nelle carte nautiche come Banco Graham, e i Francesi che vi approdarono successivamente prendendone comunque possesso. Nonostante fosse un’anonima briciola di terra, l’Isola Ferdinandea fu aspramente contesa e, a scanso equivoci, nel 1968 i subacquei siciliani vi posero una targa che ne rivendicava l’appartenenza. Oggi la cima dell’isola giace a circa 7 metri sotto il livello del mare, e se dovesse mai riemergere, a scanso equivoci, nel 1968, un gruppo di subacquei siciliani vi ha piantato una targa perché fosse chiaro che: “Questo lembo di terra, una volta isola Ferdinandea, era e sarà sempre del popolo siciliano”. Il gigante del Tirreno Per spiegare la presenza dei circa 70 vulcani sparsi fra terra e mare nella nostra penisola, occorrerebbe un complesso approfondimento sulla geodinamica della situazione. Accontentiamoci quindi di sapere che se quelli sulla terraferma sono più o meno noti, l’elenco di quelli sottomarini, per comprensibili difficoltà di localizzazione, è destinato ad aumentare con l’avvicendarsi di specifiche ricerche e con lo sviluppo di nuove tecnologie esplorative. L’up&down della già citata Isola Ferdinandea, per dire, non è che una testimonianza della situazione che si cela sotto i nostri mari, e in particolare sui fondali tirrenici, cosparsi da una quantità di vulcani sottomarini fra cui alcuni di gigantesche proporzioni e tutt’oggi attivi, a partire dal Marsili, 140 km a Sud-Ovest delle coste campane, considerato il più grande d’Europa. Questo gigantesco complesso vulcanico, che si estende con forma sigmoidale per una lunghezza di circa 70 km e una larghezza di 30, si innalza da un fondale di 3.000 metri per arrivare con la sua cima più elevata a circa 500 metri dalla superficie. Nato circa un milione di anni fa, era considerato estinto; tuttavia, recenti ricerche hanno rilevato un’attività sismica e idrotermale, con emissione di gas magmatici, che ne denotano lo stato attivo. A Sud-Ovest della Campania, il Tirreno ospita il più grande vulcano d’Europa, il Marsili. Questa gigantesca catena vulcanica ha dato recentemente segni di attività ed è pertanto tenuta sotto stretta osservazione. Se mai dovesse esplodere, avrebbe conseguenze catastrofiche. Se il Marsili, oltre ad essere il più studiato e osservato dei nostri vulcani sottomarini ne capeggia la classifica dimensionale, il Tirreno meridionale e il Canale di Sicilia raccolgono comunque un impressionante quantità di coni vulcanici, molti dei quali hanno nell’arcipelago delle Eolie le loro cime emergenti, mentre la catena del Palinuro, che si estende a Ovest di queste isole, raccoglie una decina di vulcani sommersi non ancora del tutto studiati. Eppure sono loro la più evidente testimonianza del nostro passato remoto, o per meglio dire sono loro a testimoniare la genesi del Mediterraneo: una storia iniziata 10-15 milioni di anni fa e causata dallo scontro fra la placca tettonica euro-asiatica e quella mediterranea. Una storia per altro non ancora esaurita come dimostrano occasionalmente terremoti e strutture vulcaniche ben vive e presenti in alcune zone del nostro meridione, considerate dal punto di vita geologico la parte più giovane dei nostri bacini. Cifre vulcaniche Per quanto la nostra penisola e i nostri mari siano ricchi di coni vulcanici, molti dei quali ancora attivi, è bene ricordare che fenomeni di ben altre dimensioni sono presenti ad esempio nell’Oceano Pacifico, dove le Hawaii detengono il primato del più grande vulcano al mondo, il Mauna Loa, che dal 1843 ha eruttato ben 33 volte con effetti spettacolari. Il più grande ma non il più alto, primato che spetta invece al Nevado Ojos del Salado, al confine andino fra Argentina e Cile, con i suoi 6.891 metri: un vulcano di straordinaria bellezza, ambito dagli alpinisti di mezzo mondo benché sia ancora attivo, anche se l’ultima eruzione risale a 1300 anni fa. Il Nevado Ojos del Salado, il vulcano più alto del mondo con i suoi 6891 metri. Il poco invidiabile record del maggior numero di vittime spetta invece al Tambora, in Indonesia, che nell’eruzione del 1815, o meglio nelle eruzioni che si susseguirono dal 1° maggio a metà luglio, con tutti i successivi sconvolgimenti ambientali (carestie incluse), fece registrare circa 200.000 vittime. Per chiudere questa carrellata di primati possiamo ricordare che dei 1500 vulcani oggi riconosciuti attivi sul nostro pianeta ben 130 appartengono agli Stati Uniti, 127 all’Indonesia e 111 al Giappone. L’Islanda, con i suoi 30 vulcani attivi su un totale di 130, ha in proporzione al territorio – che è meno di un terzo di quello italiano – una buona posizione in classifica, mentre l’Italia, in attesa che si risvegli qualcuno dei suoi giganti quiescenti, passa quasi inosservata. Il che, sia detto, non ci dispiace poi tanto. Un geologo raccoglie materiale di studio sulle pendici di un vulcano alle Hawaii, un’area ad altissima attività eruttiva. Al di là della loro benefica azione primordiale, quando contribuirono a creare l’atmosfera terrestre rilasciando gas e vapori che formarono poi gli oceani, i vulcani hanno ancora oggi meriti tutt’altro che secondari. A partire dalla grande fertilità dei terreni lavici a seguire con le numerose e benefiche acque termali o anche, laddove sia possibile sfruttarla, con l’energia geotermica assolutamente ecocompatibile e virtualmente inesauribile. Un’area vulcanica particolarmente attiva e considerata a rischio: i campi Flegrei, con la loro solfatara. Il tutto, in onore di quella legge sulla conservazione della massa – dallo stile filosofico paleoellenico – che fu invece elaborata dal chimico francese Lavoisier, per la quale: “Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma“. Questo articolo ti è piaciuto? Condividilo!