Vertical jigging, vecchia e nuova frontiera di Nautica Editrice il 21 Ago 2016 Per anni e anni la pesca dalla barca ha avuto come protagoniste alcune tecniche provate e riprovate nei nostri mari. La traina con esche artificiali, quella con esche vive e il bolentino, sono state le regine indiscusse della pesca sportiva dalla barca nelle nostre acque, seppur con tutte le varianti e le innovazioni messe a punto negli anni. Da circa due anni è timidamente comparsa una nuova disciplina che, timidamente prima, prepotentemente poi, si è fatta strada tra i pescatori sportivi italiani: il vertical jigging. Questa singolare tecnica proviene dai mari del nord, ideata per la pesca dei merluzzi con la barca ferma, ma, date le sue peculiarità, è stata personalizzata, migliorata e ampliata dai giapponesi. Questo popolo infatti, a fronte di una passione viscerale per la pesca sportiva, ha delle grandi limitazioni sulla possibilità di possedere imbarcazioni private, a causa della rarità e quindi dell’esosità dei posti barca, dovute alle enormi problematiche di maree e tsunami, che rendono quasi impossibile la costruzione di piccoli porti e marine. Ne consegue che per andare a pesca i giapponesi devono affidarsi ai barconi, i quali imbarcano una grande quantità di pescatori, ognuno con la sua postazione di pesca. Questo rende impossibili le tecniche di pesca in movimento, lasciando ampio spazio alla pesca statica in verticale. Da questo nascono le tecniche giapponesi di pesca con la barca ferma, tra cui il sabiki, la pesca dei calamari, il bolentino e, per l’appunto, il vertical jigging. Il vertical jigging, concettualmente non è altro che il recupero verticale di un’esca metallica mediante strattoni. Tale effetto si ottiene con la combinazione tra la mano che regge la canna e che determina l’ampiezza dello strattone e la mano che gira il mulinello recuperando lenza quando la canna si riabbassa verso la superficie dell’acqua dopo lo strattone. L’azione di strattone viene chiamata jerk ed è molto importante ai fini di un buon risultato. Le esche sono in metallo più o meno pesante, armate con un amo che si fissa mediante una serie di piccoli anelli spaccati e non. La forma può essere oblunga o fusiforme, e il peso varia da pochi grammi a oltre 500. I motivi per cui i pesci attacchino queste esche sono ancora da chiarire, ma molto probabilmente concorrono, in varia misura, la territorialità, l’aggressività, la curiosità e l’anomalia. A queste esche sembrano essere interessati non solo i predatori classici, ma anche pesci che generalmente non si nutrono predando oppure lo fanno occasionalmente. Descritta in parole povere questa tecnica di pesca si effettua calando l’esca verso il fondo con il mulinello libero, per poi recuperarla con diverse tecniche di jerk fino a mezzo fondo o in superficie. Si effettua con la barca in deriva, cercando con l’ecoscandaglio le aree più congeniali e calcolando la passata mediante la combinazione tra scandaglio e plotter. Questo rende il vertical jigging una tecnica praticabile quasi con qualsiasi imbarcazione. Il suo relativo minimalismo, permette di avvicinarvisi anche a coloro che non hanno una grandissima esperienza di pesca, ma che per motivi vari hanno padronanza con le aree di pesca, i fondali e i pesci. Il vertical jigging sta prendendo piede con una velocità impressionante, aprendo nuove frontiere anche a coloro che si avvicinano al mondo della pesca amatoriale per la prima volta. Questo articolo ti è piaciuto? Condividilo!