I pesci dell’estate e del primo autunno di Nautica Editrice il 21 Ago 2016 Vogliamo parlare in concreto della traina ad alcuni pesci blasonati la cui stagione d’oro coincide, in Italia, con l’estate inoltrata e con l’autunno. In particolare prenderemo in considerazione le grandi ricciole (predatrici indomite che, a parità di taglia, detengono il primato assoluto della potenza e della combattività), le grandi lecce, i dentici ed i serra, tutte specie che, negli accennati periodi, si pescano quasi esclusivamente in prossimità delle coste con esche naturali; parleremo un’altra volta dei tonnetti di branco che preferiscono invece la mezza altura o l’altura e le esche artificiali. Traina a ricciole, dentici, lecce e serraIn estate-autunno l’esca vincente è quella naturale viva. Primeggia alla grande l’aguglia, seguita dal calamaro, dalla seppia e, a distanza, dalla costardella, dall’occhiata, dal sugarello, dallo sgombro, dalla leccia stella e via dicendo. E’ da sottolineare subito che la seppia e il calamaro hanno buone chance anche se defunti e che, in qualche caso,può funzionare pure l’aguglia morta. Così stando le cose non ci resta che approfondire il discorso sull’aguglia e fare solo un breve cenno alle altre esche sopra menzionate. L’aguglia viva esca regina per la traina costieraPrima di tutto l’aguglia bisogna prenderla. Vediamo dove e come. Questo pesce (che ai nostri fini non dovrebbe essere lungo meno di 25 centimetri) “accosta” in branchi abbastanza consistenti nel periodo estivo-autunnale durante il quale preferisce vivere in acque non troppo profonde (5-25 metri) ricche di formazioni rocciose o nelle loro immediate adiacenze; è facile incontrarla anche a ridosso o in prossimità dei blocchi di calcestruzzo posti a difesa dei moli e degli altri manufatti portuali. L’unico segno sicuro di presenza è rappresentato dai salti fuor d’acqua che i branchi, simili a volate di frecce, compiono all’unisono nella stessa direzione e con la stessa parabola evidentemente per sfuggire all’attacco di predatori più grandi. L’assetto normale per la traina ad aguglie è con due canne, preferibilmente leggere, una a destra e una a sinistra divaricate al massimo verso l’esterno; lo spessore della lenza madre non deve mai essere inferiore a quello del terminale: nylon dello 0,18-0,25 a seconda della maggiore o minore limpidezza delle acque lungo 5-6 metri; quando il mare è a specchio può essere conveniente inserire sulla lenza madre un piombino amovibile di 25-50 grammi. L’andatura più catturante si aggira intorno ai 3 nodi. Le lenze vanno filate a 35-50 metri da poppa. L’aguglia è anche lei una predatrice, munita però di rostro; e, come tutti i rostrati, impiega questa propaggine colpendo il cibo vivo navigante per poi ingoiarlo una volta tramortito. Quest’abitudine comportamentale è stata messa a frutto dai trainisti. In pratica quando si avverte il colpo sulla lenza si mollano, con un ampio e pronto spostamento della canna all’indietro, 2 o 3 metri di filo in modo che l’esca si fermi e l’aguglia, convinta di aver ben centrato il bersaglio, si decida ad ingurgitarla. Le esche tradizionali sono costituite da piccoli cucchiaini argentei (2-4 centimetri), nonché dai filetti di aguglia con pelle esposta (1-2 centimetri) o da vermi montati su ami di dimensioni minime: dal n. 6 al n. 10. Ma è recentemente comparsa sul mercato una nuova esca prodigiosa (alla quale i trainisti che l’hanno conosciuta non rinuncerebbero mai) che, oltre a risultare di gran lunga la più catturante, ha determinato un cambiamento radicale nella tecnica di pesca, in quanto le canne non vanno più tenute in mano ma sono alloggiate nei rispettivi portacanne. Si tratta di una matassina, denominata Skeinfisc, di forma circolare realizzata con sottilissimi filamenti tessili la quale, una volta immersa in acqua e rimorchiata, si distende assumendo le sembianze di un pescetto di una decina di centimetri. Al primo attacco il becco dell’aguglia resta inesorabilmente impigliato nei filamenti. Le aguglie prese con queste esche non riportano lesioni di sorta; pertanto, se a bordo non c’è una capiente vasca con acqua in circolo, possono essere lasciate tranquillamente a mare legando a una sagoletta calata a poppa e zavorrata con 7-8 etti di piombo una ventina di centimetri del terminale con relative matassina ed aguglia.Arrivati a questo punto dovremmo disporre di alcune aguglie vive e vitali. Si tratta ora di montarle. Ci occorrono: una girella piccola ma robustissima (50 libbre); uno spezzone di filo (mezzo metro circa) di dacron o di polietilene da almeno 30 libbre; salvo che non ci siano dentuti pesci serra in giro, nel qual caso opteremo per la treccia metallica ricoperta da guaina termosaldata che, lo diciamo per inciso, funziona bene anche con le ricciole, le lecce e i dentici; un amo a occhiello del 2/0-3/0 ed un secondo amo del 4/0-5/0.Legheremo lo spezzone di filo alla girella, vi inseriremo l’amo più piccolo che andrà fissato a 5-7 centimetri a valle della girella stessa e quindi il secondo amo che verrà saldamente annodato dietro al primo ad una distanza pari alla lunghezza dell’aguglia; trafiggeremo quindi con il primo amo, che è traente e a volte anche catturante, la base del becco dell’esca dal basso verso l’alto; la punta sarà rivolta in avanti; il secondo amo, che è esclusivamente catturante, lo inseriremo, appena sottopelle, in prossimità del foro anale con la punta orientata in avanti e verso il basso. Lo spezzone di filo risulterà un po’ in bando ma propizierà il movimento di nuovo naturale della nostra esca. Una variante spesso messa in atto quando la lunghezza dell’aguglia supera i 35-40 centimetri consiste nel piazzare un terzo amo a metà corpo. Alcuni serrano il becco dell’aguglia con filo di cotone o appositi tubicini previamente inseriti nel terminale ma, a mio modesto avviso, si tratta di accortezze non indispensabili; come pure non mi sembra indispensabile collocare la girella fra la madre lenza e il terminale anziché a immediato contatto con il pesce. Sarà invece sempre utile tenere a bordo una serie di montature di lunghezze e con ami diversi onde poter subito disporre di quella adatta alle dimensioni dell’aguglia che avremo per le mani. I terminaliMontata l’aguglia occorrerà legare la girella al terminale di nylon lungo una quindicina di metri. Per quanto attiene al diametro di questo filo bisognerà tener conto degli eventuali possibili clienti che, nel nostro caso, potranno essere ricciole o lecce (dai 2 ai 60 chili), dentici (da 1 a 8-10 chili) e serra (da 1 a 7-8 chili).Secondo le regole, i dentici dovrebbero stare nelle immediate adiacenze del fondo, le ricciole e le lecce intorno alla mezz’acqua ed i serra un po’ sopra della stessa; ma le invasioni di corsia sono all’ordine del giorno. E c’è di più. Sia le ricciole, sia le lecce, sia i dentici frequentano di solito le stesse acque: fondali rocciosi di 15-40 metri ubicati sottocosta o nelle secche più o meno al largo; mentre i serra, presenti dalla Sicilia meridionale alla Toscana e pure in Sardegna, preferiscono stazionare nelle zone sabbiose in prossimità delle foci; ma gli esemplari di maggior pezzatura manifestano una decisa propensione a far concorrenza alle ricciole, alle lecce e ai dentici sui fondali rocciosi, quanto meno su quelli costieri sopra menzionati. Dopo queste delucidazioni torniamo al diametro dei terminali per dire che per i serra va bene lo 0,40-0,50, per i dentici è consigliabile lo 0,60 e per le grosse ricciole e lecce non si può scendere sotto allo 0,70. Pertanto, le scelte giuste potranno scaturire solo da valutazioni personali che, a rigor di logica, dovrebbero trar motivo dalla conoscenza delle specie ittiche attualmente presenti in loco e dalla rispettiva taglia. Facile a dirsi … ma!!! Per quanto mi concerne, senza voler influenzare il giudizio dei colleghi, dirò solo questo: nei posti dove, per esperienze mie o di altri, so che c’è la possibilità di incontrare grosse ricciole o lecce non scendo mai al di sotto dello 0,70, con il quale mi è capitato e mi capita assai di frequente di agganciare anche dentici e serra di ogni taglia. In ogni caso la lenza madre (dacron, nylon o monel) dovrà essere piuttosto robusta: direi dalle 30 alle 50 libbre. Le altre esche naturaliLe esche alternative all’aguglia che potremo procurarci più facilmente sono le occhiate, gli sgombri, i sugarelli e le seppie. La relativa montatura sarà fatta con un solo amo (pesci fino a 15 centimetri) o con due ami (esemplari di lunghezza superiore e, in ogni caso, seppie e calamari). L’amo unico (1/0-2/0) dovrà trafiggere, serrandolo, l’apparato boccale dal basso verso l’alto; con i due ami ci regoleremo secondo i criteri che abbiamo descritto per l’aguglia. La seppia e il calamaro avranno un amo traente-catturante (nn. 1/0-2/0) infilato nell’estremità anteriore del corpo e un secondo amo catturante (3/0-5/0)nascosto fra i tentacoli del cefalopode.Con le esche naturali morte, eccettuati ovviamente i cefalopodi, la prima cosa da fare è di eliminarne la rigidità. Per l’aguglia basterà spezzarne, con acconci piegamenti, la spina dorsale in due o tre punti; per gli altri pesci si potrà ottenere lo stesso effetto sventrandoli, asportando spina dorsale e interiora, e ricucendoli. I sistemi di montaggio sono sostanzialmente gli stessi indicati sopra per le esche vive; l’unica variante, fondamentale tra le tante altre possibili, è costituita dal fatto che il filo deve passare all’interno del corpo. A tale scopo potremo avvalerci di un ago molto lungo o, semplicemente, di un pezzetto di filo metallico (meglio fra tutti il piano wire che non si flette) alla cui estremità avremo formato un piccolissimo occhiello con funzione di cuna. L’affondamento delle escheAdesso dobbiamo fare un pensierino sul come far affondare adeguatamente le nostre esche. I sistemi più validi sono quattro: lenze madri in leghe metalliche autoaffondanti (monel e similari), piombo o piombi fusiformi amovibili inseriti sulla lenza madre, downrigger con “palla di cannone” (kg da 3 a 7), piombo guardiano. Premesso che la velocità di traina con esca viva è di appena due nodi ma che saranno possibili catture anche se la nostra motorizzazione ci consentirà un minimo di 3 nodi, potremo trar profitto dai seguenti dati di fatto. Monel e similariMediamente questi fili affondano, per ogni decametro immerso, di m 2 a due nodi e di m 1,30 a tre nodi; quindi, ad esempio, se caleremo 100 metri di monel e andremo a 2 nodi raggiungeremo una profondità di circa 20 metri che aumenterà ulteriormente ad ogni sia pur minimo cambiamento di rotta. Il monel, reperibile in confezioni di 200 metri cadauna, richiede che nel tamburo del mulinello siano inizialmente avvolti almeno 100-200 metri di nylon o di dacron intorno a 50 libbre, per formare il cosiddetto cuscino di lenza. Si tratta del metodo più semplice (e in vari casi più redditizio) per praticare la traina di profondità. L’assetto sarà quello con due canne laterali divaricate verso l’esterno con angolo variante da 35° a 45°. Piombo o piombi amovibili Non è indispensabile il cuscino di lenza. Il piombo o i piombi vanno fissati sulla madrelenza almeno qualche metro a monte del terminale. Le profondità raggiungibili non sono abissali. Ad esempio un piombo fusiforme di un chilo rimorchiato a 50 metri da poppa affonda di circa 10 metri a 2 nodi e di circa 7 metri a 3 nodi. L’assetto di traina è quello appena visto per il monel, ma il rendimento in pesca è minore. Downrigger La “palla di cannone” sorretta da un robusto cavetto metallico viene calata o salpata mediante un congegno a funzionamento manuale o elettrico; essa scende molto e alle velocità minime resta quasi in verticale, appena a poppa della barca; per esempio, se il peso è di 3 chili, si raggiungono i 20 metri a 2 nodi e i 16 metri a 3 nodi. Alla palla viene agganciata, con apposita pinzetta regolabile, la madrelenza che poi si distende per 40-50 metri in direzione dell’esca; all’atto dell’abboccata la madrelenza si stacca dalla pinzetta e si può subito procedere al recupero con la canna ed il mulinello senza zavorre interposte. Il downrigger funziona bene con le esche vive ma è di montaggio e di impiego abbastanza laboriosi; inoltre, se non si ha una buona conoscenza dei fondali, si corre il rischio di trovarsi con la “palla” incastrata in uno dei tanti anfratti rocciosi che incontreremo nel nostro cammino. Piombo guardiano E’ una tecnica di affondamento inventata dai vecchi leggendari pescatori di mestiere delle isole, i quali, con semplici ma enormi lenze a mano, riuscivano e riescono tuttora a ferrare ed a portare a bordo dei loro piccoli gozzi ricciole, lecce e dentici di taglie record. Vediamo ora come applicare questa tecnica alle nostre moderne attrezzature pescanti. Si lavora con una sola lenza ed è necessario che a bordo ci siano almeno due persone: lo skipper e l’angler; a 20-25 metri dall’esca legheremo sulla lenza madre un tratto di nylon leggero (0,30-0,35) lungo due o tre metri all’estremità del quale assicureremo un piombo a cono o piramidale di 400-800 grammi commisurato alla velocità della barca e alla profondità che si vuole raggiungere. L’angler, che in questo caso dovrà tenere continuamente la canna in mano con il manico inserito nel bicchierino della panciera, cala la lenza a barca ferma fino a quando avverte che il piombo ha “toccato”; a questo punto lo skipper ingrana la marcia e il piombo si solleva; l’angler cede filo fino a quando percepisce una seconda toccata; al che recupera lenza: da questo momento in poi l’azione di pesca si svolge attraverso un continuo saliscendi determinato essenzialmente dalle indicazioni fornite dall’ecoscandaglio che lo skipper comunica immediatamente all’angler il quale recupera lenza quando il fondo sale e la cede quando il fondo scende. All’attacco del pesce, spesso violento ma talvolta appena percettibile, bisogna reagire prontamente con una decisa strattonata della canna in avanti volta a “ferrare”; se l’operazione va a vuoto cedere subito 5 o 6 metri di lenza: può darsi che il pesce, ove non si sia portata via tutta l’esca, ci riprovi. Quando il piombo giunge in barca va tagliato lo spezzoncino di nylon che lo sostiene. Con il piombo guardiano si possono indubbiamente fare delle belle catture ma l’azione di pesca non è tanto facile come potrebbe sembrare: in ogni caso occorre un buon rodaggio basato sulla reciproca intesa fra timoniere e pescatore. Gli attrezzi e l’azione di pescaVista l’ampia gamma delle stazze dei pesci con i quali ci potremo trovare a fare i conti, la prudenza ci suggerisce di non scendere sotto le 20 libbre per le canne, sotto il 6/0 o il 9/0 per i mulinelli e sotto le 30 libbre per la lenza madre. Dei terminali ne abbiamo già parlato. In pesca le frizioni andranno tarate inizialmente ad 1/3 del carico di rottura dell’elemento più debole della lenza. Le ore migliori sono, normalmente ma non tassativamente, quelle del sole alto e, per i serra, quelle che precedono l’aurora e che seguono il tramonto. Le zone da battere sono soprattutto quelle rocciose, con salti ed anfratti, delle acque costiere e delle secche al largo. Di norma i passaggi più proficui sono quelli effettuati sul “ciglio” di dette formazioni e sui punti di incontro di correnti diverse. In linea molto generale possiamo dire che le profondità medie più redditizie sono comprese fra i 15 e i 35 metri. Se useremo due canne converrà far navigare le esche ad altezze differenziate, una vicina al fondo, l’altra verso la mezzacqua. Sulla ferrata dovremo contrastare nei limiti del possibile la fuga del pesce al fine di evitare che lo stesso porti la lenza fra gli scogli che potrebbero facilmente spezzarla. La tattica migliore è quella di cercare di raggiungere, piano piano, acque libere e profonde ove il combattimento potrà svolgersi senza intoppi. I problemi più ardui dovremo affrontarli con le grandi ricciole e lecce che non di rado si “inchiodano” sul fondo e non ne vogliono sapere di farsi spostare; in siffatti casi dovremo far fare alla barca percorsi circolari sempre più stretti senza mai mandare la lenza in bando e recuperandone anzi quanto più si può; al limite, con brevi puntate in direzione del pesce mantenendo il filo teso mediante un rapido riavvolgimento nel mulinello. Per i serra “da spiaggia” (di solito non troppo grandi e reperibili in zone circoscritte che sono sempre le stesse) non occorrono affondatori, il terminale potrà essere anche dello 0,35-0,40; pescheremo con due canne (6-12 libbre) con la frizione dei mulinelli disinserita e con il filo trattenuto soltanto dal meccanismo della “cicala”. Quando questa comincerà a cantare faremo passare qualche secondo per dare al pesce la possibilità di “ingoiare”, inseriremo la frizione, daremo una strattonata e cominceremo il recupero sempre divertente ma aleatorio per i salti, per le fughe, per le capriole di queste imprevedibili prede. Attenti ai denti dei serra, micidiali anche post mortem. Questo articolo ti è piaciuto? Condividilo!