Conoscere il mare: una vita da pesce di Stefano Navarrini il 7 Mar 2025 Come si vive nel mondo sommerso? In linea di massima bene, direbbero molti pesci. Per altri, tuttavia, è una vita stressante e faticosa perché nell’alternanza dei ruoli fra preda e predatore occorre sempre stare con tutti i sensi all’erta. Sommario Il mondo dei pesciUna scarsa evoluzioneIl cervelloDifferenze evolutiveQualcosa in piùIn tutti i sensiL’olfattoIl tattoL’uditoPiccoli e grandi misteri Il mondo dei pesci Il mondo dei pesci, principali abitanti del sesto continente, è il nostro alter ego sommerso, ma se le caratteristiche del genere umano sono legate a pochi parametri come il colore della pelle o determinate caratteristiche somatiche, quelle dei pesci sono molto più variegate e, tra le tante diversità fisiche e comportamentali tipiche del mondo sommerso, una su tutte induce a una riflessione. Fin da quando ha incominciato a camminare su due gambe, o forse anche prima, l’uomo ha osservato una sorta di rispetto per la sua specie, dandosi una regola, evolutasi poi nei millenni in leggi specifiche, la quale non considerava l’uomo stesso come una possibile preda di cui cibarsi, forse anche per scarse qualità organolettiche. Certo i cannibali fanno eccezione, ma l’eccezione come noto conferma la regola. La legge che guida la vita del mondo sommerso, tuttavia, è esattamente l’opposto, perché qui la regola base della sopravvivenza è legata a un preciso comandamento per il quale pesce grosso mangia pesce piccolo, che è poi come dire secondo la saggezza romana mors tua vita mea. Un gruppo di saraghi come è ormai possibile incontrare solo nelle riserve marine Del resto questa è la regola base dell’evoluzione, che nelle sue mille sfaccettature pone a volte inquietanti interrogativi che ci riportano a tempi assai remoti. Se tutto ha infatti avuto origine da un’unica prima cellula, come ci raccontano gli scienziati, l’evoluzione avrebbe dovuto seguire uno sviluppo omogeneo, di massa, cosa che assolutamente non è stata. Senza scendere nei meandri dialettici del confronto fra creazionisti ed evoluzionisti darwiniani, c’è ad esempio da riflettere sul fatto che se alcune specie hanno raggiunto un certo tetto evolutivo mentre altre sono rimaste nei bassifondi dell’evoluzione, qualcosa non ha probabilmente funzionato per il verso giusto. Perché? Probabilmente – per dirla con Democrito – perché tutto ciò che esiste nell’universo è frutto del caso e della necessità, titolo anche di uno straordinario saggio biologico di Jacques Monod che, parlando dell’arrivo dell’uomo sulla Terra, con acuto humour, lo descrisse come l’occasionale uscita di un numero fisso alla roulette. Un puro caso quindi, o meglio ancora la risposta necessariamente diversa di un organismo, per quanto primitivo, di fronte a situazioni esterne altrettanto diverse come potevano, e sono tutt’ora, quelle terrestri. Là dove queste ultime indubbiamente più varie hanno portato la vita verso una direzione ben precisa e ricca di specializzazioni fisiologiche, mentre nel mondo sottomarino indubbiamente più omogeneo la risposta sensoriale si è adattata all’ambiente risultando meno evoluta. A partire dallo sviluppo cerebrale decisamente più limitato, a seguire con un apparato sensoriale che pur simile a quello umano non ne ha la raffinatezza, salvo, come vedremo, per i pesci, aver sviluppato la possibilità di giocarsi una carta in più. Un banco di Anthias anthias, coreografica cornice su una cigliata di gorgonie Una scarsa evoluzione Ciò non toglie che la vita sia notoriamente nata nel mare, e nel mare si sia anche evoluta arrivando passo passo a quella straordinaria soluzione biologica che furono, e sono tutt’ora, i vertebrati, di cui facciamo parte. Quindi poca meraviglia che i primi esseri viventi degni di tale nome, ovvero dotati di una colonna vertebrale dalla quale dirigere una serie di potenti fasci muscolari, apparsi sulla Terra più o meno 480 milioni di anni fa, fossero per l’appunto pesci. Da allora a oggi, come per altro dimostrano molti giacimenti fossili, se un ramo della popolazione terracquea ha portato attraverso varie fasi all’Homo erectus, un altro ha cambiato assai poco delle sue strutture primitive. Nella forma, ma anche nel contenuto: come dire che i pesci primitivi erano e primitivi sono rimasti, per non dire stupidi o, per dirla con maggior rispetto, diversamente intelligenti, dato che il loro cervello e i loro sensi sono rimasti insensibili al fascino dell’evoluzione. Certo, potremmo dire che la stabilità dell’ambiente e delle situazioni naturali, così come la monotematicità delle situazioni base della vita nel mare (nascita, morte, accoppiamento, riproduzione eccetera) non hanno richiesto ulteriori e specifici adattamenti, e l’unica realtà inconfutabile, ieri come oggi, è che i pesci hanno un cervello piccolo, estremamente semplice, e spiccatamente sviluppato solo per raccogliere ed elaborare informazioni sensoriali da trasformare poi in azioni-reazioni motorie. Mancano, in altre parole, quelle funzioni cognitive e interpretative che sono alla base di un comportamento “intelligente”, prima fra tutte una grande capacità di memoria. Per dirla in termini attuali: poveri di hardware ma ancor più di software. Un pescatore subacqueo, spesso testimone diretto del comportamento dei pesci Il cervello Nel cervello dei pesci, il processo decisionale che percependo un pericolo porta a una salvifica fuga piuttosto che a un temerario avvicinamento è dettato da un percorso sensoriale che tiene conto degli stimoli del telencefalo, deputato a raccogliere le percezioni olfattive e a influenzare il comportamento del pesce soprattutto nelle fasi di riproduzione, e del mesencefalo, che raccoglie gli stimoli sensoriali inclusi quelli fondamentali della linea laterale, il famoso sesto senso dei pesci. L’elaborazione di questi dati crea un messaggio che viene confrontato con una serie di possibilità immagazzinate in una memoria a breve termine che, a seconda dell’associazione o meno a precedenti esperienze, porta a una reazione. Solo che il processo associativo fra stimolo percepito ed esperienza memorizzata resta molto semplice e basato su funzioni elementari, come ad esempio quella più importante per la vita del pesce, ovvero la percezione del pericolo. Data la scarsità di neuroni presenti nel cervello dei pesci, non sempre la reazione scelta è però la più opportuna, come dire che non sempre il file selezionato è quello giusto, cosa che del resto rende felici i pescatori sportivi, sia sopra sia sott’acqua. A questo proposito vale la pena sottolineare che le esperienze di questi appassionati possono in alcuni casi essere più dirette ed eloquenti di quelle scientifiche. Un pescatore in apnea, ad esempio, può testimoniare de visu e in mare aperto come il comportamento di alcune specie che frequentano lo stesso ambiente sia notevolmente diverso e spesso contraddittorio. Un grosso polpo, principe dell’intelligenza sommersa Si dice sempre, ad esempio, che i pesci non hanno memoria, tanto che dopo oltre mezzo secolo di insidie i dentici sono ancora vittime della loro curiosità e continuano ad essere sedotti dalle tecniche del pescatore in apnea, così come cefali e ricciole, ma al contrario dei saraghi che hanno presto imparato con singolare ereditarietà come rifugiarsi in tana equivalga a un suicidio e come in certe zone sia meglio disintegrarsi visivamente in un nanosecondo. O come le cernie che, pur intanandosi, scelgono spesso recessi del tutto inaccessibili al pescatore: come dire che alcuni pesci sono più stupidi di altri, cosa che del resto accade anche in ambito umano. Occorre però aggiungere che in mare oltre i pesci esistono famiglie animali che pesci non sono ma che possono stupire per le loro caratteristiche. Provate ad esempio a chiedere all’uomo della strada qual è il pesce più intelligente al mondo. È facile che vi sentiate rispondere il delfino, che con quel seducente sorriso (che altro non è che una pura struttura somatica) e quella sua giocosità alimentata da un’intelligenza al vertice del mondo animale, conquista facilmente il cuore di tutti. Come negare tante straordinarie qualità. Peccato solo che il delfino non sia un pesce, bensì un mammifero, peraltro straordinariamente simile all’uomo, anche se resta da capire se sia l’uomo ad essere emerso o il delfino ad essere tornato in acqua dopo una pessima esperienza terrestre. Ma questa è un’altra storia che per il suo indiscutibile fascino non può essere racchiusa in poche righe. Al polpo Paul e alle sue straordinarie capacità divinatorie sono stati dedicati centinaia di articoli, e perfino un insolito monumento Differenze evolutive In altri casi, pur all’interno dello stesso ordine animale, le differenze evolutive possono essere enormi. Cozze e polpi, ad esempio, fanno parte dello stesso phylum dei molluschi, ma le prime hanno un sistema nervoso più che primitivo, i secondi possiedono un cervello fra i più dotati del mondo sottomarino, capace di arrivare fino a una sensibilità umorale espressa dai cambiamenti di colore e di comportamento che assumono in determinate circostanze e che qualunque subacqueo può testimoniare. Per non parlare di quell’intelligenza applicativa ben dimostrata dagli esperimenti di Cousteau, o dell’arte divinatoria del leggendario polpo Paul. Certo difficile dargli una valenza scientifica, ma come non essere sedotti dal polpo Paul che, pescato all’Isola d’Elba (dove gli è stata dedicata anche una via) ma vissuto nell’acquario di Hoberhausen, è diventato una celebrità per aver indovinato ben otto risultati dei Mondiali di calcio svoltisi in Germania nel 2010. Sul fianco di un grosso occhione è ben visibile l’andamento della linea laterale Qualcosa in più Pur essendo tanto diversi da noi, e pur essendo tanto diverso il mondo in cui vivono, i pesci condividono i nostri stessi sensi. Possiedono infatti, seppur con caratteristiche specifiche, vista, olfatto, tatto, udito, gusto, e in più un senso nato e sviluppato unicamente nel mondo sottomarino e di fondamentale importanza per la sopravvivenza: la cosiddetta linea laterale. Questo straordinario senso proprio dei pesci (ma in realtà anche di molti anfibi) è quello di gran lunga più utile per sopravvivere nel proprio habitat, si tratti di aggredire o di difendersi con la fuga, consentendo di percepire da buona distanza movimenti anomali. Questa serie di microscopiche aperture che corrono lungo i fianchi del pesce, perfettamente visibili anche ad occhio nudo, nascondono cellule altamente specializzate (neuromasti) che fungono da veri e propri recettori e analizzatori dei segnali esterni, e sono in grado di interagire con il sistema nervoso portando al cervello un’informazione rapida, precisa e dettagliata. Infatti, poiché l’acqua è un fluido incomprimibile, onde sonore e onde di pressione viaggiano a velocità assai più elevate che in ambiente aereo, e senza il minimo disturbo di diffusione o dispersione. Così, quando un’onda di pressione – che, date le caratteristiche dell’acqua, può trasmettersi a distanza pur essendo di minima intensità – altera lo stato di quiescenza della linea laterale, partono impulsi nervosi che, collegati al cervello e con il probabile aiuto della vescica natatoria in veste di cassa di risonanza, mettono in allarme il pesce. Un banco di salpe, pesce comunissimo sui nostri fondali: la compattezza dei pesci, che si muovono all’unisono come un solo organismo, è dovuta anche alla sensibilità della linea laterale. La linea laterale può però aiutare il pesce anche in altre funzioni, come ad esempio per valutare la distribuzione della pressione nell’acqua, e quindi la profondità ottimale per le proprie esigenze biologiche, ma anche per regolare il movimento dei grandi banchi, quando centinaia di pesci si muovono magicamente all’unisono come diretti da un direttore d’orchestra, o per consentire sicurezza di movimento di notte o nel buio delle grotte. In molti pesci, organi simili alla linea laterale sono tuttavia presenti anche sulla testa e sono in grado di recepire l'”ombra idrodinamica” creata da un ostacolo o da un pesce in movimento. È questa sensibilità che consente ai pesci di non sbattere contro le pareti di un acquario ma anche, cosa ben più importante, di sfuggire all’improvviso attacco di un predatore. La linea laterale, che deve essere intesa come un organo di controllo inserito nel sistema nervoso centrale, abbinata alla vista nella valutazione generale dell’ambiente esterno, consente probabilmente ai pesci di recepire altre importanti variazioni ambientali come ad esempio i valori di temperatura e salinità dell’acqua, i campi elettrici (in modo specifico per gli squali), o di muoversi liberamente e con sicurezza in situazioni anomale come nell’acqua torbida. Anche se il tatto e il gusto sono per i pesci sensi secondari, i pochi organi nervosi sparsi sull’epidermide, e in particolare sulle labbra e sui barbigli (ovviamente per i pesci che ne sono provvisti) poco influiscono sulle funzioni basilari per la vita dell’animale. Un’esperienza diretta e determinante l’hanno vissuta tutti quei subacquei che hanno avuto occasione di imboccare una cernia in qualche riserva marina, pratica oggi per lo più vietata: se infatti il boccone non era di suo gradimento, la cernia dopo un primo contatto lo rifiutava, o in alcuni casi, lo sputava letteralmente fuori. In compenso, cernie e altri pesci – squali inclusi – amano farsi grattare la pancia o accarezzare la testa. I grandi predatori, come questo marlin appena allamato, sono attirati anche dalle vibrazioni delle esche artificiali In tutti i sensi Se la linea laterale ne domina le capacità sensoriali, non è però l’unica possibilità con cui un pesce può gestire la propria vita. La vista è, ad esempio, un senso molto sfruttato che l’evoluzione ha modellato per adattarlo alla particolarità dell’ambiente. Il mondo sommerso ha infatti orizzonti assai limitati anche nelle acque più limpide, ma è un orizzonte che si riduce a pochi metri quando il mare s’intorbida e che quasi sparisce nelle alte profondità. L’occhio del pesce è per altro una macchina assai raffinata e molto simile a quello umano, anche se certe piccole differenze contano. Ad esempio, salvo rare eccezioni, i pesci – che notoriamente sono privi di collo – hanno gli occhi disposti ai lati della testa, il che non consente loro una buona visione prospettica. Da notare tuttavia che l’apparente eccezione di sogliole e affini non è del tutto tale, poiché allo stadio giovanile questi pesci hanno una disposizione degli occhi del tutto normale. In compenso i pesci sembrano gli unici abitanti del mondo sommerso in grado di distinguere e dare un senso al colore. La straordinaria tavolozza cromatica che si può ammirare sui reef corallini ne è la più brillante dimostrazione, ma anche in specie a noi più vicine si possono osservare soluzioni cromatiche che non avrebbero senso in una visione in bianco e nero. Basti pensare alle livree nuziali di diverse specie fra cui i labridi, o alle straordinarie capacità mimetiche dei cefalopodi, che veri e propri pesci non sono, ma che possiedono in assoluto la miglior capacità visiva dell’ambiente sottomarino, mentre resta da capire il rosso brillante di quegli scorfani che vivono ad alte profondità dove l’unica tonalità dominante è il blu abissale. Le straordinarie capacità sensoriali di alcuni pesci, come ad esempio i tonni, consentono grandi migrazioni atlantiche, come testimoniato dal percorso di un tonno taggato al largo della Carolina e ripescato nello Stretto di Sicilia: migrazioni millenarie che nei secoli hanno dato vita alle tonnare fisse L’olfatto Anche l’olfatto, per quanto l’immensità del mare possa apparentemente diluire ogni traccia aromatica, ha un suo perché. Onde, correnti e maree possono portare lontano il segnale di una fonte odorosa e creare una scia sfruttata ai fini sia dell’alimentazione sia della riproduzione, come facilmente sperimentato dai vari sistemi di pasturazione nella pesca sportiva, o come nel caso dei grandi migratori salmoni, anguille e tonni in primis, che sfruttano le più piccole molecole disciolte nell’acqua per le proprie traversate atlantiche (anche se in questo caso la cosa è un po’ più complessa). Il tatto Anche il tatto, pur avendo i pesci terminazioni nervose sensoriali non molto sviluppate, ha certo la sua importanza. È ragionevole pensare che le variazioni termiche e di salinità, alle quali i pesci sono estremamente sensibili, siano rilevate proprio attraverso organi di tatto o qualcosa di molto simile, come nel caso della già citata linea laterale. I barbigli dei cosiddetti grufolatori, come triglie, merluzzi e via dicendo sono invece una via di mezzo fra olfatto e gusto, dato che vengono usati per smuovere sabbia o fango alla ricerca di qualcosa di edibile. L’udito Poiché il “mondo del silenzio” decantato da Cousteau non è in realtà affatto tale, anche l’udito acquisisce notevole importanza nel mondo sommerso. I cetacei, come balene, orche e delfini, pur non essendo pesci ma mammiferi marini, sono addirittura in grado di interagire utilizzando uno specifico linguaggio sonoro, mentre sulla sensibilità acustica dei pesci ancora una volta la miglior testimonianza diretta può venire dai subacquei, che possono percepire il “glock” tacchinesco delle corvine, il disappunto di un’aragosta afferrata con le mani – e poi rilasciata essendone vietata la cattura – ma soprattutto le reazioni frenetiche dei pesci allarmati dal passaggio di una barca a motore, soprattutto se portata a manetta e magari motorizzata fuoribordo. I grossi Diesel che procedono in dislocamento, come durante un’azione di traina, sembrano al contrario avere un suono più amichevole e quasi attirante, tanto che gli americani, notoriamente malati di big game, avevano qualche tempo fa stilato una classifica dei brand motoristici ai quali i pesci erano più sensibili: in pratica una sorta di pasturazione sonora. In ogni caso i pesci possiedono qualcosa di simile al nostro apparato acustico, anche se privo di membrana timpanica, le cui funzioni sembrano essere più finalizzate al mantenimento dell’equilibrio. Il che, considerando che un pesce ha la possibilità di muoversi in ogni direzione e dimensione, non è compito di poco conto. Poiché tuttavia alcuni pesci emettono suoni, in alcuni casi considerati segnali di accoppiamento, per la logica che ogni effetto vuole la sua causa appare logico che in qualche modo questi debbano essere percepiti. Piccoli e grandi misteri Certo si fa presto a dire che i pesci sono stupidi, poi se vai a guardare bene si vede che sì, non saranno dei master di intelligenza, però di certo hanno capacità affascinanti e per altro ancora poco conosciute. Come abbiamo detto, al di là della linea laterale, hanno gli stessi nostri sensi. Alcuni vanno però oltre e, come del resto molti uccelli, sono in grado di individuare con estrema sensibilità le variazioni del campo magnetico terrestre. Lo ha dimostrato una ricerca condotta dall’Università Ludwig Maximilians di Monaco, evidenziando una straordinaria capacità che sembra derivare da alcune cellule contenenti magnetite incorporate nei tessuti. Se la presenza e la reattività di queste cellule al variare del campo magnetico è stata ampiamente dimostrata, resta da dimostrare se esse sono in grado di trasmettere al cervello le informazioni che recepiscono. Questa sembrerebbe però essere l’unica possibile spiegazione per giustificare la straordinaria capacità di molti pesci di effettuare grandi migrazioni oceaniche centrando il bersaglio dopo migliaia e migliaia di chilometri. E potremmo proseguire con gli squali che, per quanto primitivi nella loro struttura, possiedono un particolarissimo senso trasmesso da un organo specializzato e unico nel mondo sommerso, noto come “Ampolle del Lorenzini”. Praticamente una via di mezzo fra la linea laterale e gli organi dell’olfatto. Disposti sul muso del pesce, questi sensori – in qualche modo simili nella struttura ai neuromasti della linea laterale – sono in grado di percepire da notevole distanza campi elettromagnetici anche minimi, come quelli trasmessi da una preda in difficoltà. Tenendo presente che molte particolari conoscenze sul comportamento dei pesci nascono da studi di laboratorio, ovvero in acquario, non è detto che queste scoperte possano poi corrispondere al comportamento che questi pesci avrebbero in mare aperto. Fra le rilevazioni più sorprendenti, alcuni esperimenti condotti in acquario dalla dottoressa Ava Chase, dell’Università di Harvard, hanno appurato che le famose e costosissime carpe Koi, che i giapponesi considerano simbolo di amore e amicizia nonché famose per i loro sgargianti colori, non solo si sono dimostrate particolarmente sensibili alla musica, ma pare riescano addirittura a distinguere fra il blues di John Lee Hooker e i concerti per oboe di Bach. Essendo l’esperimento difficilmente riproducibile in mare aperto, continueremo a domandarci quali possano essere i gusti musicali di dentici, tonni, e ricciole. Questo articolo ti è piaciuto? Condividilo!
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