Perché due è meglio di uno. E, soprattutto, quando!

La cat-mania e, più in generale, la massiccia diffusione di catamarani avvenuta negli ultimi anni, sia nel diporto sia nel mondo dei mezzi commerciali e da lavoro medio-piccoli, è dovuta a una serie di vantaggi tra i quali, in particolare, la maggiore efficienza idrodinamica di due scafi affiancati, particolarmente snelli e affusolati.

Andiamo a svelarne i segreti.

Traghetti e catamarani a vela, piattaforme off-shore e navi di supporto: da tempo i catamarani vengono utilizzati per diverse tipologie di navi. Da molto tempo.

Si pensi che due piroscafi con due scafi di circa 90 metri di lunghezza – insomma, due catamarani – furono costruiti già nel 1870 per il servizio di attraversamento del Canale della Manica, entrambi con propulsione a ruota posta nel tunnel tra gli scafi.

Fino ad arrivare ai giorni d’oggi in cui, nel campo del diporto nautico, sempre più armatori scelgono un catamarano come confermano i dati del Global Order Book che mostra un incremento degli ordini del 65%.

altezza onde
Uno scafo che si muove nell’acqua produce due sistemi principali di onde, divergenti e trasversali, uno a prora e uno a poppa.

Il vantaggio dei due scafi

I due scafi del catamarano permettono, in primo luogo, tanto spazio in coperta e un’efficienza idrodinamica notevole. Ciò vuol dire velocità interessanti con potenze e consumi molto contenuti che consentono di superare i limiti di un classico monocarena dislocante. Senza peraltro dover ricorrere alle carene plananti che, notoriamente, funzionano male quando non planano.

Se è intuitivo che la maggiore larghezza del catamarano determini più spazio in coperta, la sua maggiore efficienza idrodinamica è un concetto che merita un approfondimento.

In sostanza, essa è dovuta alla possibilità di superare più agevolmente la cosiddetta velocità critica che, ricordiamo, è quella velocità alla quale la carena genera un’onda trasversale (quella che si disegna sul fianco della carena) lunga quanto la carena stessa.

In pratica, in corrispondenza della velocità critica, l’imbarcazione naviga su due creste d’onda autoprodotte, una a prua e una a poppa.

Superare la velocità critica significa che la distanza tra le due creste aumenta, la cresta poppiera si sposta a poppa e l’imbarcazione “cade” nel cavo d’onda che essa stessa ha generato, appoppandosi. Banalizzando, possiamo immaginare una barca che naviga in salita, cercando si salire sull’onda di prua!

altezza onde
Al crescere della velocità, il numero delle onde trasversali lungo il profilo della carena diminuisce, fino ad arrivare alla velocità critica corrispondente a un numero di Froude (FN) pari a 0.4 (oppure a una velocità relativa di 1.34) in cui la carena produce un’onda lunga quanto sé stessa e naviga su due creste, una a prua ed una a poppa.

Altezza dell’onda

Ora, è evidente che l’entità dell’appoppamento della barca è determinato dall’altezza dell’onda prodotta, ovvero dall’altezza tra la cresta e il cavo. Infatti, mentre la lunghezza delle onde che si formano intorno allo scafo in movimento è sostanzialmente indipendente sia dalla forma della carena sia dal dislocamento, ma è legata alla sola velocità, la loro altezza è invece strettamente connessa alle caratteristiche della carena.

È stato calcolato che l’energia spesa dalla barca per la formazione delle onde varia proporzionalmente alla loro lunghezza e al quadrato della loro altezza. L’altezza dell’onda che la carena forma muovendosi è, quindi, assai rilevante ai fini del calcolo della sua resistenza.

Orbene, grazie alla loro snellezza, alle entrate affinate, al basso rapporto tra dislocamento e lunghezza, gli scafi dei catamarani hanno tutte le caratteristiche ideali per generare onde di prua di modeste dimensioni, sistemi di onde basse caratterizzate da scarsa pendenza.

Il risultato è che, in corrispondenza della velocità critica, la resistenza cresce ma non si impenna come quella degli scafi dislocanti convenzionali. Basta quindi un modesto incremento della forza propulsiva per portarsi a velocità superiori pur continuando a navigare in dislocamento, cioè senza che agiscano sulla carena forze di sostentamento idrodinamico, se non in misura marginale.

peschereccio
La posizione della cresta dell’onda poppiera in corrispondenza dello specchio e, più in generale, l’imponente formazione ondosa prodotta ci fanno capire che questo piccolo peschereccio sta navigando in corrispondenza della velocità critica, che possiamo supporre di circa 7,5 nodi (ipotizzando una lunghezza barca di 10 metri). Per andare oltre, anche di poco, diciamo di 1-2 nodi, sono necessari molti cavalli motore aggiuntivi (e conseguenti consumi) per vincere il repentino aumento di resistenza dovuto alla poppa della carena che “cade” nel cavo dell’onda trasversale autoprodotta.

La velocità critica

Ok, tutto chiaro. Ma a quanto corrisponde questa velocità critica? 10, 20, 50 nodi? Questo dipende dalla lunghezza della barca. Facciamo qualche esempio ma, prima di tutto, andiamo a vedere cos’è questa velocità critica.

Essa si esprime con un numero adimensionale chiamato numero di Froude, in onore del padre dell’idrodinamica William Froude, secondo la seguente relazione  

formula matematica

in cui V è la velocità espressa in m/s, L la lunghezza di carena in metri e g è l’accelerazione di gravità in m/s2, oppure con il quoziente di Taylor o velocità relativa

formula matematica

 in cui la velocità è espressa in nodi e la lunghezza in piedi.

Come si vede entrambi sono il rapporto tra velocità e lunghezza di carena (g è una costante) ma cambiano solo le unità di misura, internazionali per il primo e anglosassoni per il secondo.

Come abbiamo accennato, per una carena di una fissata lunghezza, al crescere della velocità cresce la lunghezza dell’onda trasversale prodotta, fino ad arrivare a una velocità in cui questa lunghezza è pari alla lunghezza al galleggiamento della carena stessa.

A questo punto abbiamo raggiunto la velocità critica a cui corrisponde un valore del numero di Froude FN= 0.4, oppure una velocità relativa

formula matematica

L’esempio dei gozzi

Definita la velocità critica, vediamo ora in concreto a cosa corrisponde su alcune imbarcazioni tipo.

Ad esempio, per un piccolo gozzo di 6 metri la velocità critica è di circa 6 nodi. Significa che, con il mio gozzetto di quella lunghezza sul quale mi basta un motore da una decina di cavalli per navigare a 6 nodi, per andare a 8 nodi devo montarne uno da 20 HP.

Oppure, per andare a 10 nodi mi servirà un motore da 50 HP. Ovvero, per aumentare di poco la velocità mi serve raddoppiare, triplicare, quintuplicare la potenza del motore. Questo perché il gozzo ha forme piene che generano onde di grandi dimensioni (relativamente alle dimensioni del gozzo stesso, ovviamente).

A questo punto è necessaria una breve precisazione a proposito dei gozzi che normalmente si vedono in giro, sui quali vengono montati motori ben più potenti, che possono superare anche di molto i 100 cavalli.

In realtà si tratta di gozzi “ibridi” con carena planante o semiplanante e murate da gozzo, oppure gozzi dotati di enormi flap poppieri, spesso nascosti sotto una spiaggetta. Si tratta di un escamotage con il quale, di fatto, vengono cambiate le forme di carena.

catamarani
Dopo essere stato pioniere nel campo della propulsione ibrida su superyacht monocarena, il cantiere Wider, per spingersi oltre, sceglie per la sua nuova proposta proprio un catamarano, il WiderCat 92, con il quale ne enfatizza tutti i vantaggi.

I flap

Infatti, se voglio andare più veloce dei 10 nodi, a parità di dimensioni di barca, è necessario avere delle superfici di carena che generino un sostentamento idrodinamico. Ecco, dunque, quei flapponi oppure le carene plananti come quelle dei gommoni. In alternativa, è anche possibile disegnare una carena molto più affinata, e quindi più stretta.

Ma a quel punto avrei problemi di spazi interni limitati e problemi di stabilità. In pratica il mio gozzo diventa qualcosa di più simile a una canoa. A meno di non mettere due gozzi-canoa affiancati.

Ed ecco che abbiamo fatto il catamarano, un’imbarcazione con la quale potrò superare molto più facilmente la velocità critica perché le onde generate sono più piccole. Con due motori da 10 HP potrò superare agevolmente i 10 nodi e magari arrivare a 12, 13.

Tutto dipende da quanto saranno affinati gli scafi, compatibilmente con la necessità di avere un volume di carena sufficiente a galleggiare con un determinato dislocamento, ovvero il peso della barca.

Sempre in funzione della velocità relativa (Vr), nel grafico vediamo il contributo (sempre in termini di resistenza specifica R/Δ) delle varie componenti della resistenza all’avanzamento per una carena dislocante medio-pesante. Come si può notare, mentre la resistenza dovuta all’attrito idrodinamico della superficie di carena (RF) cresce in modo graduale, linearmente, la resistenza dovuta alle onde prodotte, che a basse velocità è di piccola entità, all’avvicinarsi della velocità critica inizia a crescere in modo repentino, esponenzialmente. Ciò determina che la curva della resistenza totale (RT), che altro non è che la somma di tutte le singole componenti della resistenza idrodinamica, si impenni anch’essa proprio in corrispondenza della velocità critica. Per inciso, le altre curve rappresentano l’apporto delle altre componenti della resistenza, come la resistenza delle appendici (Rapp), la resistenza di scia (RS), la resistenza aerodinamica (Ra), che, come si può notare, nel caso di una imbarcazione dislocante hanno un impatto molto contenuto.

Ma che succede all’aumentare delle dimensioni della barca? Se per un gozzo di 6 metri la velocità critica è circa 6 nodi, per una barca di 12 metri – un 40 piedi – la velocità critica sale a circa 8,5 nodi, mentre per 20 metri (65 piedi) diventa di circa 11 nodi.

Come si vede, la velocità critica cresce al crescere della lunghezza della barca tanto che, per una nave di 100 metri diventa di oltre 24 nodi. Da questi numeri è evidente come il problema della velocità critica sia più sentito sulle piccole imbarcazioni.

barca con pannelli solari
Anche quando si progettano imbarcazioni sperimentali che devono essere molto efficienti, spesso si sceglie il catamarano. Propriocome nel caso di Tûranor PlanetSolar, la prima imbarcazione elettrica alimentata a energia solare ad aver compiuto, nel 2012, la circumnavigazione del globo grazie a 500 metri quadri di pannelli fotovoltaici e al ridotto fabbisogno di energia per la propulsione, nonché dalle sue eliche innovative. Oppure come fatto su Energy Observer, la prima imbarcazione al mondo ad aver compiuto il giro del
mondo a zero emissioni anche grazie alle sue varie tecnologie innovative. Ad esempio è stato utilizzato un mix di soluzioni propulsive e di produzione di energia rinnovabile a idrogeno, ma anche un sail-kite e due vele alari (wingsail) per aiutare la navigazione.

Barche piccole e grandi

E, non a caso, è proprio nel campo delle piccole imbarcazioni che si sono più sviluppate e diffuse carene alternative alle classiche dislocanti, come le carene plananti, le semiplananti, le semidislocanti, e, appunto, i catamarani.

Di contro, relativamente alle barche e navi più grandi che generalmente navigano sempre al disotto della velocità critica (diciamo orientativamente, barche sopra i 30-40 metri alle quali corrispondono  velocità critiche più alte, oltre i 14-15 nodi) i catamarani sono in linea generale meno efficienti dei monocarena perché hanno una maggiore superficie bagnata che determina un attrito maggiore, principale fonte di resistenza idrodinamica alle basse velocità quando la formazione ondosa è ridotta.

Abbiamo detto che i catamarani possono agevolmente superare la velocità critica perché la loro forma, snella con le estremità affusolate, genera onde meno ripide e di dimensioni contenute che determinano un aumento di resistenza più graduale all’aumentare della velocità rispetto ad un monocarena generalmente più tozzo.

catamarano
Il catamarano “This is It” della flotta Tecnomar (brand di The Italian Sea Group) presentato in occasione del salone di Monaco del 2023: una barca decisamente fuori dagli schemi che ridisegna la comune percezione di yacht e di imbarcazione in genere. Stiamo parlando di un superyacht da circa 750GT, lungo 43,50 m e largo ben 14,50.

La forma snella

Ma che significa, in concreto, una forma snella quando si parla di una carena? Basta fare il semplice rapporto tra la lunghezza e la larghezza (L/B, lenght/beam) per avere immediatamente un’indicazione circa la snellezza: infatti, se un piccolo monocarena generalmente non supera un rapporto L/B di 3-4, ovvero la sua lunghezza è pari a 3-4 volte la sua larghezza, i singoli scafi di un catamarano possono arrivare ad essere lunghi anche oltre 10 volte la loro larghezza (rapporto L/B=10).

È evidente che rapporti L/B così elevati determinano forme di carena estremamente snelle che permettono, dunque, di ridurre fortemente la formazione ondosa prodotta e, di conseguenza, ridurre la resistenza all’avanzamento, ottenendo velocità di un certo rilievo senza la necessità di potenze esagerate.

Di contro, è altrettanto evidente che queste forme così snelle e affinate condizionano l’abitabilità degli scafi, tanto che, al diminuire delle dimensioni del catamarano, la scarsa volumetria interna diventa un limite (quasi) insormontabile.

Come si fa, su una barca di 10 metri, a sfruttare e rendere un minimo abitabili degli scafi larghi 1,5 metri nel punto di maggior larghezza? Per questo è raro vedere catamarani cabinati di piccole dimensioni, diciamo sotto i 10-12 metri.

Le forme di scafo

Allo stesso tempo è anche vero che, negli ultimi anni, questo limite si sta pian piano riducendo, soprattutto grazie all’escamotage di forme di scafo che si allargano ad arte sopra il piano di galleggiamento per aumentare la volumetria interna, senza compromettere più di tanto le caratteristiche idrodinamiche.

Rimaniamo ancora sul tema della forma allungata degli scafi.

Queste forme, oltre ad essere estremamente efficienti dal punto di vista idrodinamico, determinano anche una miglior tenuta al mare complessiva e un migliore comfort, sia grazie ai contenuti volumi delle estremità dello scafo che ne limitano i movimenti e le accelerazioni verticali, sia grazie alla quasi totale assenza di superfici orizzontali o sub-orizzontali che impattano violentemente sull’acqua in caso di navigazione con mare mosso (tale fenomeno è tecnicamente denominato slamming).

In questo discorso, però, non abbiamo preso in considerazione la grande superficie orizzontale di collegamento dei due scafi (ponte) che può impattare molto violentemente e, per questo motivo, andrà opportunamente disegnata e posizionata in altezza proprio per limitare lo slamming.

A questo proposito va però detto che, quando si parla di catamarani di grandi dimensioni, generalmente la distanza del ponte dalla superficie del mare è tale da consentire di evitare tali impatti, o almeno di limitarne sensibilmente gli effetti.

Invece, quando si parla di piccole imbarcazioni per le quali la distanza del ponte dall’acqua è inevitabilmente ridotta, generalmente la superficie rigida dei ponti è parzialmente o del tutto sostituita da reti sulle quali l’equipaggio può sostare e camminare ma che rappresentano una superficie aperta attraverso la quale l’acqua che sale dal basso può filtrare senza impattare con violenza.

Tabella pro e contro catamarani

Vantaggi e svantaggi

Spiegato (speriamo) perché e quando il catamarano e idrodinamicamente più efficiente di un equivalente monocarena, ovvero – ricordiamolo – al di sopra della velocità critica, andiamo ora a vedere brevemente le altre ricadute che la scelta di questa particolare morfologia di carena porta con sé, i suoi vantaggi e suoi inevitabili svantaggi.

Partiamo dalla maggiore larghezza che, se da un lato aumenta lo spazio sul ponte di coperta e, più in generale, la godibilità della barca, dall’altro determina non pochi problemi nella sua gestione, a partire dai maggiori costi per un ormeggio in banchina che semplicemente raddoppiano, quando va bene!

Se da una parte è vero che tutti i cantieri che costruiscono catamarani cercano di contenere al massimo questa larghezza, è altrettanto vero che essa non può essere ridotta più di tanto, a meno di compromettere irrimediabilmente l’efficienza idrodinamica del catamarano che tanto abbiamo decantato fin qui. Infatti, le onde prodotte dai singoli scafi, seppur di dimensioni ridotte per effetto della forma affusolata degli scafi stessi, comunque interagiscono tra loro determinando un aumento della resistenza.

interferenza onde
Nella figura si vede bene l’interferenza reciproca delle onde prodotte dagli scafi di un trimarano, dove le onde prodotte dallo scafo centrale interagiscono con lo scafo laterale. Il fenomeno è evidente nel caso di distanza ravvicinata degli scafi (model A). Nel caso di maggiore distanza (model C) l’interazione è invece minore. Anche nel caso di un catamarano il fenomeno di reciproca interferenza è analogo. (foto da: Luhulima, R.B., Sutiyo, Alia, M.R., Utama, I.K.A.P., 2021. Experimental Investigation into the Resistance Characteristics of Trimaran and Pentamaran Configurations. International Journal of Technology. Volume 12(5), pp. 1058-1070).

Pertanto, la distanza degli scafi dovrebbe essere tale da non produrre questa interferenza, o comunque tale da limitarla.

A questo punto risulta evidente che sarà necessario un compromesso tra un interasse (piccolo) tra gli scafi che permetta dimensioni gestibili in porto e un interasse (grande) che riduca al minimo l’interferenza idrodinamica. Per dare un’idea di cosa significhi un interasse grande con il quale gli effetti di interferenza idrodinamica sono minimizzati, basta guardare ai catamarani a vela da regata, come il Gunboat 68, un catamarano a vela lungo 20,80 metri e largo 9,10.

La larghezza di una barca di 30-40 metri! Molto efficiente, quindi, ma anche un ben problema quando si vuole ormeggiare in banchina.

Gunboat 68
Gunboat 68

Questo riferimento al Gun Boat 68 ci dà lo spunto per accennare a un altro vantaggio peculiare del catamarano a vela: quando questo si inclina sotto vela, lo scafo sopravvento esce dall’acqua non generando più resistenza idrodinamica (onde e attrito) … e le performance aumentano ulteriormente.  

Gunboat 68
Il Gunboat 68, un catamarano a vela ad alte prestazioni lungo 20,80 metri e largo 9,10. Una barca complessivamente molto larga ma con scafi affilatissimi che consentono prestazioni inarrivabili per un normale monoscafo. Foil a parte, ovviamente.

Aggiungiamoci poi che la larghezza aumenta considerevolmente anche la stabilità (la cosiddetta stabilità di forma) dando la possibilità di portare più tela, cioè avere una maggiore superficie velica. In pratica, è come montare un motore più potente (vele) permettendo velocità ben maggiori a quelle di un normale monoscafo. Almeno quelli senza foil, con i quali cambia tutto perché, di fatto, la barca esce completamente dall’acqua e “vola”. Ma questa e tutta un’altra storia.