Lo studio scientifico dei fenomeni generati dall’interazione del mare con la costa ha una precisa data di nascita: il 6 giugno 1944. Se a qualcuno viene in mente il giorno dello sbarco in Normandia, ebbene sappia che non si tratta di una semplice coincidenza poiché, alla base dello storico evento bellico, ci fu effettivamente la prima analisi sistematica di questa dinamica, a opera di specialisti inglesi e americani.

Fino a quel momento, infatti, la costruzione dei porti – da quelli fenici a quelli romani, da quelli destinati alle navi da guerra a quelli concepiti per le prime grandi navi da carico – si era fondata sul puro empirismo, assai spesso caratterizzato da una spiccata genialità.

Gli Antichi Romani

Per esempio, pur nell’assenza di un qualsiasi modello matematico sul quale basare le loro intuizioni, nel 108 d.C. i Romani costruirono a Civitavecchia – per volere dell’imperatore Traiano e, molto probabilmente, sotto la guida del celebre architetto Apollodoro – il primo porto dotato di una vera e propria diga antemurale.

L’opera fu talmente indovinata che l’intero complesso venne utilizzato senza particolari modifiche fino al Tardo Medioevo. Quella di ricorrere a una struttura di protezione foranea, dunque non radicata a terra, fu una decisione ingegnosa ma anche portatrice di notevoli problemi.

Come in tanti altri casi, il più grande aiuto per il raggiungimento della soluzione fu trovato nell’enorme disponibilità di mano d’opera a basso costo. Quella stessa che, per esempio, consentì di scavare i due bacini interni del porto di Cartagine, in Tunisia, o di scolpire nel tufo l’intero porto di Ventotene.

Porto di Sines

 

Le opere di protezione

Per quanto riguarda le forme previste per le opere di protezione, almeno fino a tutto il ‘700 ci si basò sul naturale assestamento del materiale estratto dalle cave e depositato sul fondo. Il procedimento prevedeva innanzi tutto il versamento di pietre di poco peso, destinate a formare il nucleo della diga.

Successivamente si passava alla posa pietre molto più pesanti (anche fino a 4-5 tonnellate) che andavano a costituire la mantellata, ovvero la parte più superficiale. Sulla sommità di questa struttura – che poteva emergere anche solo di poche decine di centimetri, veniva infine posta una struttura di forma più regolare, atta a impedire la tracimazione delle onde.

Questa particolare forma di diga, detta a gettata, fu adottata in ogni parte del mondo e ancor oggi viene tenuta in una certa considerazione.

Nell’ 800

Ma fu nell’Ottocento, in Inghilterra, che si determinò una svolta molto interessante.

Le navi da guerra costruite nei cantieri britannici incominciavano ad avere dimensioni tali da richiedere fondali sempre più elevati anche a ridosso delle banchine, per consentire un accosto completo e favorire il trasbordo dei carichi. Proprio a causa della sua sezione triangolare, la diga a gettata non era adatta a tale scopo e, soprattutto, rendeva assai insidiosa l’imboccatura dei porti, in quanto l’ampiezza utile – a livello dell’immersione massima delle carene – era di fatto notevolmente inferiore rispetto all’apparenza delle opere emergenti.

dolos

Gli Inglesi pensarono quindi di sagomare enormi pietre a forma di parallelepipedo – i cosiddetti massi ciclopici – e di collocarli sul fondo, sovrapponendoli. Il risultato fu soddisfacente sotto diversi punti di vista, tuttavia, a causa delle elevate difficoltà di costruzione, non ebbe grande diffusione, almeno in quello stesso secolo.

Il problema più importante era rappresentato infatti dalla difficoltà di ottenere singoli elementi del peso di almeno otto-dieci tonnellate, cosa che invece divenne facilmente realizzabile con l’avvento del calcestruzzo e del cemento armato.

Dunque, mentre le pietre naturali continuarono a essere impiegate per costituire il nucleo, questi nuovi massi artificiali furono utilizzati per formare la mantellata. Nacque così una specifica branca del disegno industriale dedicata proprio allo studio delle forme da dare a questi elementi prefabbricati, in modo tale da ottenere il massimo rendimento – in termini di stabilità e di capacità di agganciarsi l’un l’altro – con la minima spesa di produzione.

Ecco che, circa a metà degli Anni Sessanta, nacque in Francia uno strano oggetto chiamato tetrapode: a detta dei suoi inventori, un elemento capace di garantire la stessa tenuta dei massi convenzionali ma con un risparmio di materiale – cioè di costo – valutabile intorno al 70 per cento.

Il dolos

Le prime applicazioni provarono che i Francesi avevano ragione e fu subito un successo al quale tentarono di fare concorrenza – per la verità, con modesto successo – specialisti di ogni parte del mondo. Finalmente, però, agli inizi degli Anni Settanta, un ingegnere sudafricano presentò la sua magica invenzione: il dolos.

Si trattava di una struttura dalla vaga forma a doppio martello, con due masse battenti alle estremità poste a croce.

Benché si trattasse dell’elemento più leggero – in rapporto alle dimensioni – tra quelli fino allora impiegati, le prime applicazioni misero in luce le sue eccezionali prestazioni.

L’apice del suo successo si ebbe nel 1973, quando il governo portoghese decise di dare il via costruzione del porto commerciale di Sines, la cittadina natale del grande navigatore Vasco da Gama.

Alla fine dei cinque anni previsti per la sua costruzione, sarebbe stato il terminale tecnologicamente più avanzato al mondo, grazie anche all’impiego di questi massi artificiali per la realizzazione del suo gigantesco antemurale.

Tuttavia, nel febbraio 1978, pochi mesi dopo l’inaugurazione ufficiale, avvenne il fatto che l’attuale scienza delle costruzioni portuali pone come un suo cardine fondamentale: una tempesta di proporzioni mai viste investì in pieno la diga, spezzando come grissini i dolos da 40 tonnellate. All’interno, fu una catastrofe.

Più che scoprire le responsabilità individuali, la commissione d’inchiesta mise in evidenza i limiti di conoscenza di un’intera classe professionale. Da quel momento in poi l’approccio alla materia diventò estremamente più prudente, avvalendosi inoltre di strumenti fino allora poco o per nulla utilizzati, come le vasche navali e i computer.