Il “rinnovato” Regolamento al Codice della Nautica di Ettore Romagnoli il 2 Dic 2024 Il Codice della nautica, profondamente innovato e integrato a seguito delle due fondamentali riforme del 2017 – 2020, per “funzionare” nella pratica aveva assoluto bisogno dell’adeguamento del suo Regolamento di attuazione (DM 146/08) ragion per cui, sul fronte amministrativo i quattro anni di attesa sono stati densi di dubbi, speranze e perplessità. Sta di fatto che “meglio tardi che mai” è recentemente entrato in vigore il profondo restyling del testo originario che può dirsi ormai in gran parte innovato e che tra l’altro, oltre ad attuare le mutate disposizioni del codice contiene numerose ed autonome previsioni che ne costituiscono un importante corollario. Sommario AnalisiLe navi da diporto maggioreLe imbarcazioniLa prima norma innovativaa) “area SAR nazionale”: la zona marittima, individuata ai sensi del DPR n. 662/94 (Regolamento di attuazione della legge 3 aprile 1989, n. 147, concernente adesione alla convenzione internazionale sulla ricerca ed il salvataggio marittimo, adottata ad Amburgo il 27 aprile 1979) dichiarata dalla Repubblica italiana come area marittima di propria competenza per le operazioni di ricerca e soccorso, ai sensi della Convenzione internazionale di Amburgo sulla ricerca e il salvataggio marittimo (1979) e della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS 1982); Analisi Osserviamo inoltre che l’opera non può dirsi conclusa in quanto dovranno uscire ulteriori decreti e normative tecniche per cui la nostra materia va assumendo una sempre maggiore autonomia, complessità, dignità oltre che specifico rilievo sistematico. Nei prossimi interventi tratteremo di argomenti già affrontati rivedendoli nell’ottica delle modifiche ed integrazioni volute dal DM 133/2024, come noto entrato in vigore il 21 ottobre 2024. Per questo mese possiamo tranquillamente iniziare dai primi articoli dai quali si apprezza lo spessore ed importanza del testo. Si parte naturalmente dall’art. 1 intitolato “Campo di applicazione” in cui è chiarito in modo preciso e incisivo che le disposizioni del regolamento riguardano essenzialmente le procedure amministrative inerenti alle unità da diporto come menzionate nell’art. 3 del Codice della nautica, la disciplina delle patenti nautiche e la sicurezza della navigazione da diporto. Per correntezza menzioniamo le definizioni di cui all’art. 3 cit. e pertanto avremo innanzitutto che le costruzioni destinate alla navigazione da diporto sono denominate unità da diporto, individuate come ogni costruzione di qualunque tipo e con qualunque mezzo di propulsione destinata alla navigazione da diporto. Individuata la categoria generale abbiamo poi le unità utilizzate a fini commerciali – commercial yacht, ovvero unità di cui all’ art. 2 del Codice nonché le navi di cui all’ art. 3 l. 172/03. Le navi da diporto maggiore A seguire troviamo la “nave da diporto maggiore”, ogni unità con scafo di lunghezza superiore a ventiquattro metri, misurata secondo la norma armonizzata UNI/EN/lSO/8666 e di stazza superiore alle 500 gross tonnage, ovvero a 600 tonnellate dì stazza lorda; la “nave da diporto minore” ogni unità con scafo di lunghezza superiore a ventiquattro metri, misurata secondo la norma armonizzata UNI/EN/ISO/8666, di stazza fino a 500 GT ovvero a 600 TSL, e la nave da diporto minore storica, ogni unità con scafo di lunghezza superiore a ventiquattro metri, misurata secondo la norma armonizzata UNI/EN/ISO/8666 di stazza fino a 120 GT ovvero fino a 100 TSL. costruita in data anteriore al 1″ gennaio 1967. Le imbarcazioni Proseguiamo con le imbarcazioni (e quindi ogni unità con scafo di lunghezza superiore a dieci metri e fino a ventiquattro metri misurata secondo la norma armonizzata UNI/EN/ISO/8666) e i natanti (ovvero ogni unità a remi o con scafo di lunghezza pari a inferiore a dieci metri, misurata secondo la norma armonizzata di cui sopra) con esclusione delle moto d’acqua. Queste ultime sono definite come unità con lunghezza dello scafo inferiore a quattro metri che utilizzano un motore di propulsione con una pompa a getto d’acqua come fonte primaria dì propulsione e destinate a essere azionate da una o più persone sedute, in piedi o inginocchiate sullo scafo, anziché al suo interno. La lista si conclude con le neoistituite unità da diporto a controllo remoto/comando remoto, prive a bordo di personale adibito al comando. La prima norma innovativa Delineato l’ambito di competenza del regolamento si passa alla prima norma veramente innovativa e autonoma allocata nell’art. 1 bis dedicato alle “Definizioni” con l’esplicito fine di meglio delimitare i confini della materia trattata. Osserviamo che in questo caso si è ripreso un modus operandi ampiamente utilizzato nelle Convenzioni internazionali, Direttive comunitarie e in genere nei testi a preminente contenuto tecnico nei quali è di basilare importanza chiarire sin dall’inizio cosa intenda il legislatore quando menziona temi e fenomeni che trovano disciplina in altre leggi etc. o che nel linguaggio comune possono avere vari significati: il tutto con il fine di non portare i lettori su terreni equivoci ed in fraintendimenti delimitando in modo preciso la portata che le parole descrittive di un dato oggetto/fenomeno avranno nell’ambito della disciplina che si va a regolare. Con ciò si incrementa l’autonomia dogmatica di una determinata materia per cui possiamo affermare che il passo ha un suo peso nell’evoluzione dello Yachting law. A titolo generale osserviamo che l’opportunità di includere specifiche definizioni in un testo normativo fu affrontata a suo tempo da apposita circolare congiunta dei Presidenti di Senato e Camera del 20 aprile 2001 in cui si è suggerito di ricorrere alle definizioni “allorché i termini utilizzati non siano di uso corrente, non abbiano un significato giuridico già definito in quanto utilizzati in altri atti normativi ovvero siano utilizzati con significato diverso sia da quello corrente sia da quello giuridico”. Evidentemente questo vale per la materia diportistica e l’attuale legislatore dimostra di averne avuto consapevolezza. Il Regolamento della Camera da parte sua (per le leggi ma il discorso si può applicare come monito generale) demanda alle Commissioni il compito di valutare “l’inequivocità e la chiarezza del significato delle definizioni”. Infine, la Circolare del Presidente del Consiglio 2 maggio 2001, n. 10888 precisa che “Le definizioni sono, tuttavia, ammesse solo se necessarie ai fini di un’interpretazione chiara ed univoca dell’atto”, e il ricorso ad esse deve essere preceduto “dalla verifica che nell’ordinamento non ne esistano già altre, riferite al medesimo istituto o ad altro analogo”. Insomma, al fine di non incorrere in incomprensioni dell’atto e quindi di limitare, circoscrivere, delineare, esprimere con parole il significato di un altro termine si può auspicare in testo l’elencazione di specifiche definizioni che valgano in quell’ambito al fine di chiarirne e definirne il campo di applicazione nella disciplina, risolvendo “imperativamente” ogni dubbio che possa nascere da termini o espressioni. Ciò posto, auspicando un ulteriore ampliamento dell’elenco in modo da poter giungere ad un linguaggio sempre più chiaro ed univoco per la nostra materia passiamo all’esame del nostro art. 1 bis il quale afferma – con valore limitato alla specifica materia contenuta nel Regolamento – che si intende per: a) “area SAR nazionale”: la zona marittima, individuata ai sensi del DPR n. 662/94 (Regolamento di attuazione della legge 3 aprile 1989, n. 147, concernente adesione alla convenzione internazionale sulla ricerca ed il salvataggio marittimo, adottata ad Amburgo il 27 aprile 1979) dichiarata dalla Repubblica italiana come area marittima di propria competenza per le operazioni di ricerca e soccorso, ai sensi della Convenzione internazionale di Amburgo sulla ricerca e il salvataggio marittimo (1979) e della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS 1982); b) “ATCN”: Archivio telematico centrale delle unità da diporto; c) “autorità della navigazione interna”: Direzioni generali territoriali e Uffici motorizzazione civile del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, secondo le competenze attribuite dal DPCM 23 dicembre 2020, n. 190 e dal d. del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti 4 agosto 2014, n. 346; d) “autorità marittima”: Capitanerie di porto e uffici circondariali marittimi; e) “CED”: Centro elaborazione dati della Direzione generale per la motorizzazione, per i servizi ai cittadini e alle imprese in materia di trasporti e navigazione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti; f) “codice”: il codice della nautica da diporto di cui al decreto legislativo 18 luglio 2005, n. 171; g) “DCI”: dichiarazione di costruzione o importazione di cui all’articolo 1, comma 2, lettera c), del decreto del Presidente della Repubblica 14 dicembre 2018, n. 152; h) “STED”: Sportello telematico del diportista; i) “UCON”: Ufficio di conservatoria centrale delle unità da diporto; l) “UMC”: uffici motorizzazione civile. Un primo passo quindi per ottenere maggiore ed univoca intellegibilità del regolamento che segna un ulteriore ed importante passo per l’autonomia della nostra materia rispetto ad altre branche del diritto della navigazione. Ci si può augurare un ulteriore ampliamento. Questo articolo ti è piaciuto? Condividilo!
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