Tra le varie criticità che emergono dal mare nostrum, c’è la pesca intensiva e incontrollata, praticata senza regole e scrupoli a danno delle specie marine e della loro sopravvivenza.

Ne sono testimonianza i molti attrezzi da pesca abbandonati in fondo al mare per cause varie – dal maltempo alle pratiche illegali – che inducono allo smaltimento in forma spiccia.

Che siano reti, nasse, palamiti, lenze, ami, piombi, cime, boe e altri oggetti, essi costituiscono vere e proprie trappole mortali, ancorate sul fondo o vaganti alla deriva, dove cetacei, pesci, molluschi, crostacei e altre specie animali e vegetali vi incappano, senza possibilità di uscirne vive.

Foto Strong Sea Life
Foto Strong Sea Life

I numeri

A livello mondiale, l’Unep stima 800.000 tonnellate di reti abbandonate che costituiscono almeno il 10% dei rifiuti a base plastica dispersi in mare, contribuendo all’inquinamento e alla desertificazione dei fondali, nonché facendo fuori, da sole, circa il 5% della quantità di pesce commerciabile. Ecco perché in molte comunità costiere italiane e mediterranee sta crescendo la volontà di trovare questi materiali, recuperarli e, possibilmente, riutilizzarli in maniera proficua.

Le iniziative in merito vedono coinvolti sia organi istituzionali sia associazioni, in collaborazione con gli stessi pescatori e, più in generale, con gli utenti del mare sensibili alla salvaguardia degli habitat marini, alimentando le best practices della citizen science.

Il progetto MER

A livello nazionale, con i fondi del Pnrr è stato finanziato il progetto MER (Marine Ecosystem Restoration), coordinato da Ispra insieme a Rtc Ghost Nets (composto da Castalia, Conisma e Marevivo), per ripulire le acque dalle cosiddette “reti fantasma”, perché spesso invisibili e fluttuanti a seconda delle correnti. Dall’estate scorsa e fino a giugno 2026, si prevede di intervenire in 20 siti lungo le coste regionali di Liguria, Toscana, Lazio, Campania, Sicilia, Puglia, Marche, Emilia Romagna e Veneto, con operazioni di monitoraggio, rimozione, raccolta, trasporto, smaltimento e riciclo degli attrezzi individuati.

Allo scopo, verranno impiegate squadre di “ghostbusters dei mari”, composte da subacquei altamente specializzati e robot sottomarini filoguidati (Rov) dotati di braccia meccaniche per tagliare, manipolare e rimuovere reti a profondità maggiori di 40 metri. Uno dei progetti locali più significativi è operativo in Sardegna, dal Golfo dell’Asinara lungo la costa nord-occidentale.

foto Strong Sea LIFE
foto Strong Sea Life

Strong Sea

Si chiama “Strong Sea”, ha durata quinquennale ed è finanziato dal programma comunitario Life, settore Natura e Biodiversità.

Avviato nel 2021, è coordinato da Ispra insieme a istituzioni regionali, nazionali e cooperative, con lo scopo di salvaguardare l’habitat delle praterie di posidonia e delle strutture coralligene dall’azione distruttiva degli attrezzi da pesca. “I risultati finora conseguiti sono molto soddisfacenti”, ha dichiarato la referente Ispra Serena Lomiri. “Ad aprile 2024 sono state recuperate 4 tonnellate di reti, che ci hanno permesso di tutelare 10 ettari di prateria di Posidonia oceanica e 3 ettari di habitat coralligeno, per un totale di 18 interventi di rimozione. Inoltre, a luglio 2024, abbiamo recuperato una grande rete a strascico abbandonata, del peso di 4 quintali.

Fondamentale è stato il coinvolgimento dei pescatori e dell’opinione pubblica, nonché delle istituzioni, quali Capitaneria di Porto e Polizia di Stato. È stato creato un database aggiornato degli attrezzi persi nell’area, con le informazioni utili per pianificare un recupero e proseguire le attività di monitoraggio dell’habitat liberato dalla presenza delle reti”.

Se possibile, durante gli interventi di rimozione vengono liberate specie intrappolate ancora vive, seguendo un protocollo replicabile altrove. “Raccogliendo il maggior numero di casi studio, stiamo mettendo a punto i protocolli di intervento, le tecniche e le metodologie da seguire caso per caso”, ha precisato Lomiri. “Nel 2025 e nel 2026 l’esperienza acquisita verrà trasferita a contesti sia nazionali, come ad esempio la costa toscana, sia internazionali, come Corsica, Spagna, Croazia e Grecia”.

Lo smaltimento

Una volta a terra, inizia la fase dello smaltimento, con cernita dei materiali raccolti per recuperare quelli riutilizzabili, da cui si possono produrre pannelli per l’edilizia urbana, panchine, vasi e fioriere, agende e portachiavi, nonché accessori di abbigliamento (bracciali, borse ed abiti scultura) creati direttamente in loco. I responsabili di “Strong Sea” invitano pescatori e cittadini ad inviare le segnalazioni via-app (SeaWatcher), mail (lifestrongsea@isprambiente.it) e WhatsApp (3482566244).

Sempre in Sardegna, va a caccia di reti fantasma anche “Fishing for the planet”, un progetto di recupero che interessa la zona dal Golfo di Cagliari a Villasimius. Coordinato da Blue Life Scuola Apnea Sardegna, con il sostegno di partner istituzionali, ambientali e commerciali, si rivolge a chiunque pratichi il mare per passione.

Come funziona?

Chi avvista la rete, la segnala su bluelifeexperience.com e, dopo verifica, si passa al suo prelievo dal fondo. Mappa e stato dei casi sono aggiornati sul sito (il colore da rosso diventa verde dopo la rimozione), mentre il titolo di “cacciatore di reti fantasma” viene assegnato agli avvistatori più attivi.

In Sicilia, invece, c’è “Reti fantasma”, l’iniziativa ideata dall’organizzazione di tutela ambientale Zero CO2 per recuperare 600 kg di reti e attrezzi da pesca nella zona di Finale di Pollina, sulla costa settentrionale, a circa 30 metri di profondità, con annesso smaltimento, riciclo e studio degli impatti ambientali.

Sempre in Sicilia anche Marevivo, nel luglio scorso, nell’ambito del progetto “Operazione Reti Fantasma”, fra Trapani e l’isola di Formica ha recuperato 200 metri di rete, pesante 4 quintali, nei pressi del relitto Pavlos V, mentre a giugno, all’interno dell’area marina protetta “Regno di Nettuno” nell’isola di Procida, ha portato in superficie una rete di una tonnellata, con annesso verricello.

Sono solo gli ultimi di una lunga serie di interventi compiuti a livello nazionale da Marevivo in collaborazione con istituzioni, associazioni, sub specializzati e volontari, per ripulire i fondali dai rifiuti lasciati dalla mano umana. Secondo dati Ispra, oltre l’86% dei rifiuti in mare è legato alle attività di pesca e acquacoltura e il 94% di questi è costituito da reti abbandonate, alcune lunghe chilometri, che se non rimosse resterebbero a far danni per tempi lunghissimi.