Gli obblighi di dichiarazione delle imbarcazioni battenti bandiera estera di Redazione Nautica il 29 Set 2023 di Roberto Colecchia – Ha collaborato il prof. Massimiliano Giorgi, associato di diritto tributario nell’Università di Roma “Sapienza”, dottore commercialista partner dello studio e-IUS Tax&Legal Nell’ambito della nautica da diporto non è infrequente imbattersi anche nei nostri porti in imbarcazioni o navi battenti bandiera estera; tali imbarcazioni sono spesso riferibili a soggetti esteri che vengono in Italia per apprezzare le bellezze dei nostri mari. Tuttavia, le imbarcazioni battenti bandiera estera hanno, come proprietario effettivo o utilizzatore, un soggetto residente in Italia e vengono iscritte in registri esteri solo per ragioni connesse a regolamentazioni più o meno rigide delle nostre; in tali casi il D.L. 28 giugno 1990, n. 167, che disciplina gli obblighi di monitoraggio fiscale inerenti i trasferimenti e gli investimenti esteri, può far sorgere l’obbligo di dichiarare la disponibilità del bene. L’art 4, comma 1, del D.L. 167 del 1990 prevede, infatti, per persone fisiche, enti non commerciali e società semplici ed equiparate, residenti in Italia, l’obbligo di indicare nella dichiarazione annuale dei redditi gli investimenti detenuti all’estero e suscettibili di produrre redditi in Italia. L’Agenzia delle entrate, con la Risoluzione n° 172 del 3 luglio 2009 a seguito di specifico interpello, ritiene obbligatoria l’indicazione in dichiarazione di uno yacht battente bandiera dell’Isola di Man da parte di un armatore residente in Italia, in quanto investimento suscettibile di produrre redditi in riferimento a un eventuale concessione in uso o godimento ex art. 67 TUIR. L’Agenzia delle entrate ha poi precisato, con circolare n. 43 del 10 ottobre 2009 in tema di emersione delle attività all’ estero (c.d. Scudo Fiscale), che la produzione di un reddito tassabile non deve necessariamente essere effettiva ma anche solo potenziale o astratta, dichiarando che «Fermo restando quanto finora precisato, si fa presente che l’esigenza di rendere più incisivi i presidi posti in ambito internazionale a tutela del corretto assolvimento degli obblighi tributari impone una revisione dell’interpretazione della disposizione recata nell’articolo 4 del decreto legge n. 167 del 1990 nella parte in cui connota gli investimenti all’estero da indicare nel modulo RW come quelli “… attraverso cui possono essere conseguiti redditi di fonte estera imponibili in Italia …”. In particolare, per tener conto della suddetta esigenza, si ritiene che la riportata previsione normativa vada da ora in poi intesa come riferita non solo a fattispecie di effettiva produzione di redditi imponibili in Italia ma anche ad ipotesi in cui la produzione dei predetti redditi sia soltanto astratta o potenziale. Pertanto, a partire dalla dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta in corso, i contribuenti saranno tenuti ad indicare nel modulo RW non soltanto le attività estere di natura finanziaria ma anche gli investimenti all’estero di altra natura, indipendentemente dalla effettiva produzione di redditi imponibili in Italia. Esemplificando, quindi, dovranno essere sempre indicati anche gli immobili tenuti a disposizione, gli yacht, gli oggetti preziosi e le opere d’arte anche se non produttivi di redditi»; con la successiva Circolare 45E del 2010 tale concetto viene ulteriormente ribadito.Nel 2013, a seguito dell’intervento dell’art 9 della legge 6 agosto 2013, n. 97, vi è un ulteriore allargamento del monitoraggio per cui l’obbligo di indicazione ricade anche su coloro che, pur non essendo possessori diretti dell’investimento estero, ne siano i titolari effettivi ai sensi del D.Lgs. 21 novembre 2007, n. 231 (cosiddetto antiriciclaggio). Agli stessi obblighi soggiace anche il fiduciario residente che abbia la disponibilità di fatto degli investimenti. Nel modello Unico il quadro riservato al monitoraggio fiscale degli investimenti esteri, nel nostro caso delle imbarcazioni e delle navi da diporto iscritte nei registri esteri, ovvero che, pur avendone i requisiti in Italia non sono iscritte, è il quadro RW. Le istruzioni di compilazione prevedono l’indicazione del costo d’acquisto ovvero del valore di mercato all’inizio e alla fine del periodo di imposta o se diverso del periodo di possesso. Nel caso di imbarcazioni e navi da diporto l’indicazione su quadro RW non genera tassazione rispetto al semplice possesso, cosa che accade in caso di immobili (IVIE) o attività finanziarie (IVAFE).In caso di violazione all’obbligo di compilazione del quadro RW è prevista la sanzione ordinaria che va dal 3% al 15% del valore non dichiarato per attività detenute in un paese NON Black List; tale sanzione si raddoppia per le attività detenute in paese Black List (c.d. paradisi fiscali). In quest’ultimo caso è previsto anche il raddoppio dei termini di accertamento, nonché la presunzione ex art. 12, comma, 2 D.L. 1° luglio 2009, n. 78 per la quale gli investimenti siano stati costituiti con redditi sottratti a tassazione (salvo prova contraria). Monitoraggio e controllo L’obbligo di dichiarazione degli investimenti detenuti all’estero e suscettibili di produrre reddito in Italia è stato ritenuto dall’Agenzia delle entrate sussistere anche per le imbarcazioni battente bandiera estera ma riferibili a soggetti italiani. L’obbligo di dichiarazione degli investimenti detenuti all’estero e suscettibili di produrre reddito in Italia è strumentale al monitoraggio di attività o investimenti all’estero da parte di contribuenti italiani ed è tesa evidentemente a verificare ipotesi di occultamento di redditi tassabili in Italia; soltanto in tale prospettiva può essere giustificata l’interpretazione dell’Agenzia delle entrate contenuta nella Circolare n° 43 del 2009 che ricollega l’obbligo dichiarativo alla semplice possibilità che l’investimento abbia l’attitudine a produrre un reddito tassabile in Italia. Se in un’ottica di contrasto all’evasione si può condividere che l’obbligo dichiarativo sia collegato alla astratta attitudine dell’investimento alla produzione di un reddito tassabile in Italia, nel caso delle imbarcazioni da diporto occorre che il bene sia detenuto all’estero e occorre, quindi, interrogarsi se la detenzione all’estero debba essere misurata solo dalla bandiera, ovvero dal registro del paese in cui la barca è iscritta ovvero da un requisito più sostanziale di tipo territoriale legato alla permanenza in territorio estero. Le imbarcazioni da diporto battenti bandiera estera sono considerate territorio dello stato di bandiera soltanto se non si trovano nel territorio di un altro stato; tali imbarcazioni sono, cioè, territorio dello stato di bandiera soltanto se si trovano nel territorio dello stato di bandiera o in altro mare. Quando le imbarcazioni battenti bandiera estera si trovano nel territorio di un altro stato, per il diritto marittimo e in particolare per la convenzione UNCLOS del 10 dicembre 1982 (Convenzione di Montego Bay), tale imbarcazione non è più considerata territorio dello stato di bandiera ed è soggetta alle leggi dello stato in cui si trova anche lo stato di bandiera continua a regolare con il proprio ordinamento giuridico sia la navigazione, la sicurezza che l’equipaggio della nave che iscrive nei suoi registri. La normativa che regolamenta l’imbarcazione dal punto di vita amministrativo tecnico e sociale rimane dunque quella dello stato di bandiera, ancorché all’ ormeggio o in navigazione in acque nazionali. Ne sia un esempio la variegata normativa in tema di passaggi proprietà o di obbligo dotazioni di bordo che diversi stati anche comunitari adottano. Nel caso di presenza stabile nel territorio dello Stato di un’imbarcazione battente bandiera estera riferibile ad un soggetto italiano si potrebbe dubitare che sussista un obbligo di monitoraggio ex D.L. 167/90, poiché l’imbarcazione non è detenuta all’estero secondo il diritto marittimo. Il D.L. 167/90 ha come scopo quello di consentire una specifica attività di controllo finalizzata ai flussi da e verso l’estero che è stato, infatti, emanato per «adottare disposizioni di natura fiscale, atte a consentire la possibilità di controllo di talune operazioni finanziarie da e verso l’estero» e nel caso di di imbarcazioni stabilmente presenti nel territorio dello Stato, le autorità hanno, infatti, a disposizione numerosi altri strumenti di controllo che rendono superflua la dichiarazione dell’investimento: chi va per mare ben conosce quanto tali controlli siano frequenti e pervasivi. Questo articolo ti è piaciuto? Condividilo!