Pitturare le barche in vetroresina di Nautica Editrice il 4 Lug 2016 Le cosiddette barche in plastica, o secondo la definizione Rina, in P.R.F. (plastica rinforzata), sono costruite con resine termoindurenti – poliesteri, poliuretaniche, epossidiche legate con un materiale di supporto che può essere di varia natura. Nella maggior parte dei casi fibra di vetro ma anche kevlar, carbonio, graffite e anche derivati del rame. La costruzione avviene per stampi e controstampi su cui vengono stratificati la resina e il supporto. Il primo strato, che nella barca finita è la superficie dello scafo, si chiama gel-coat ed è pigmentato. La sua levigatezza gli deriva dallo stampo su cui è appoggiato che viene cosparso di cera o altri materiali che ne permettono il distacco. Quando lo scafo è completamente solidificato è dunque già colorato e perfettamente liscio. Le barche in plastica, inutile ribadirlo, sono le più facili da mantenere e le più resistenti agli agenti atmosferici. L’ipotesi di verniciare uno scafo nuovo costruito con questo materiale mi sembra quindi remota. Se comunque si vuol dipingere una striscia lungo lo scafo, o qualsiasi altra cosa si desideri, per farlo sarà sufficiente pulire molto accuratamente la superficie con degli appositi solventi per asportarne ogni traccia di cera, oli o grassi residui dello stampo. Fatto ciò basta irruvidire leggermente il supporto con carta abrasiva a grana leggera e applicare la vernice adatta. In carena invece (quella sì, va ripitturata ogni anno anche su barche nuove) prima di dare l’antivegetativa che si sarà scelta occorre stendere una mano di appositi ancoranti senza poi carteggiare all’atto di dare l’antivegetativa. Può succedere invece di dover ridipingere una vecchia imbarcazione sulla quale la precedente vernice, opacizzata, scrostata e rovinata in altro modo, deve essere asportata. Per fare ciò si può usare solamente lo sverniciatore avendo però l’avvertenza di adoperarlo per brevi tratti e lasciandolo agire per poco tempo in modo da evitare che intacchi, rammollendolo, il vecchio gel-coat. Quindi si procederà a carteggiare leggermente e a stendere la nuova vernice. Più facile è proteggere le parti interne dello scafo dove spesso affiora la vetroresina nuda. Un buon fondo isolante sarà sufficiente anche per garantire un accettabile risultato estetico. L’osmosi Anche la plastica ha un nemico: l’osmosi. L’acqua può filtrare attraverso il gel-coat insinuandosi tra gli strati interni di vetroresina appesantendo lo scafo e creando sulla superficie le odiate e pericolose bollicine. Se trascurato è un fenomeno che può compromettere la struttura stessa della barca. A questo proposito la storia della costruzione delle barche in plastica è relativamente recente: i primi scafi costruiti con questo materiale si rivelarono molto resistenti anche col passare del tempo. Non pativano insomma l’invecchiamento. Da un certo periodo in poi invece cominciò a manifestarsi il fenomeno dell’osmosi. La spiegazione va ricercata, come ci ha spiegato il titolare di un prestigioso cantiere italiano, nel fatto che ci si accorse che le prime resine erano molto nocive per la salute di chi le manipolava. Vennero perciò modificate le formule chimiche rendendo i prodotti meno tossici ma, evidentemente, anche meno resistenti. Attualmente, facendo tesoro delle precedenti esperienze, si sta raffinando sempre più la costruzione dei materiali e, grazie anche all’abbondante uso di fondi impermeabilizzanti, i nuovi scafi sono sempre più resistenti. Ad attenuare l’invidia dei patiti del legno dunque ecco che il proprietario della barca in plastica deve lottare contro questo fenomeno dell’osmosi. Per rimediarvi bisogna asportare completamente il gel-coat compromesso e aspettare che lo scafo si asciughi completamente. L’attesa può essere anche molto lunga, dipenderà dalle condizioni ambientali di umidità, aerazione e temperatura. Quindi si comincerà un ciclo di pitturazione completo composto da abbondanti mani di fondi impermeabilizzanti, stucchi e mano finale. È chiaro che in questo caso i fondi impermeabilizzanti diventano di fondamentale importanza poiché in pratica, servono a ricostruire la barriera protettiva in precedenza rappresentata dal gel-coat. È altrettanto chiaro anche che le pitture sintetiche ben si sposano col materiale che vanno a ricoprire essendone parenti strette e quindi garantiscono risultati eccellenti. Ridipingere i gommoni Altro “miracolo” ottenuto grazie alle moderne pitture sintetiche è quello di poter ridipingere i gommoni. Neoprene, hipalon, pvc e tela gommata non sono prodotti facili da trattare: la pittura oltre che aderire al supporto, a resistere all’acqua, al sale e ai raggi ultravioletti deve possedere anche doti di grande flessibilità che si mantenga nel tempo anche dopo l’aggressione degli agenti atmosferici. Le vernici adatte a questo scopo sono a legante elastomerico, abbastanza facili da stendere a pennello. La preparazione del supporto dovrà essere in questo caso ancora più scrupolosa: il lavaggio meticoloso. Attenzione alle giunture dove più facilmente permane lo sporco e la sabbia. L’irruvidimento della superficie va effettuato con leggerezza perché c’è il rischio di rovinarla. Un buon sistema può essere quello di utilizzare, durante le operazioni di lavaggio-sgrassaggio, della polvere pomice che esercita una buona azione abrasiva senza danneggiare. La pitturazione deve avvenire a gommone gonfio, ma non in pressione e durante l’operazione il prodotto va mescolato costantemente. Attendete qualche giorno prima di immergere il gommone in acqua. Pitturare i surf In America, patria delle novità, esiste addirittura la “surf-art”, e cioè la mania di personalizzare la propria tavola con dipinti e scritte originali. Ma se anche non si è artisti e si vuole semplicemente coprire graffi o imperfezioni esistono in commercio comode bombolette spray che si possono spruzzare sulla tavola senza altri accorgimenti che non siano la solita indispensabile pulizia accurata della superficie. Sono smalti a rapida essiccazione e ne esistono di vari colori. Questo articolo ti è piaciuto? Condividilo!