Storia della legislazione nautica in Italia di Nautica Editrice il 1 Lug 2016 Aggiornamento: Marzo 2013 La normativa sulla navigazione da diporto ha avuto negli ultimi tempi una notevole spinta verso la semplificazione. Chi segue “Nautica”, sa che è anche merito di questa rivista se le cose sono cambiate. Essa ha pungolato e sospinto i vari ministri competenti e le stesse amministrazioni con proposte, proteste, iniziative, stretti contatti con il Parlamento… insomma, ce l’ha messa tutta per ottenere orizzonti più vasti, maggiore comprensione per i problemi dei diportisti e regole semplici e meno oppressive. Ma ha anche trovato alcuni uomini politici che condividevano le stesse idee – De Luca, Vizzini, Costa, Tesini, Fiori e infine l’ottimo Burlando, senza dimenticare i contributi di Prandini e dello stesso Caravale e ora dei Parlamentari amici del Mare, con in testa Cutrufo, Perlini, Muratori, Germanà e numerosi altri autori della legge n. 172 del 2003, di riforma della nautica e ha avuto la fortuna di avere come interlocutore ministeriale, sul lungo periodo, il Direttore Generale del Naviglio, Vincenzo Mucci, uomo aperto al progresso, sensibile a dare soluzione ai problemi e di grande competenza giuridica.Ma ci sia consentito di ricordare anche altre iniziative di “Nautica”, diciamo di fiancheggiamento, come le operazioni: “Mare Amico” (che ha sviluppato i rapporti dei diportisti con il Comando Generale delle Capitanerie di Porto e tutti gli uffici marittimi), “Mare Sicuro” (col disco che indicava che l’unità era già stata controllata) e, importantissimi, gli incontri collegiali promossi dalla rivista tra i vari comandi delle forze di polizia a mare, divenuti poi istituzionali presso il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, che hanno portato in primo piano l’inaccettabilità di troppi controlli. Anche questa proposta di “Nautica” ha avuto pienamente successo. L’art. 9 della legge n. 172 del 2003 sulla nautica affida alla preminente competenza delle Capitanerie di Porto-Guardia Costiera l’attività di controllo relativa alla sicurezza della navigazione delle unità da diporto, con le modalità da stabilire con specifiche direttive del Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti. Né va dimenticato che una bozza di legge preparata da “Nautica” per De Luca e Costa ha dato luogo alla legge del “natantone”, poi materializzata dal ministro Fiori, mentre un editoriale della rivista è stato l’inizio delle innovazioni semplificative poi introdotte con la legge 436/96 da Burlando. E lo stesso ministro ha anche recepito la battaglia del mensile per l’uso del VHF ai soli fini della sicurezza, senza l’obbligo dell’abbonamento alle concessionarie, risolvendola così brillantemente a favore dei diportisti, nonostante le forti opposizioni di interessi precostituiti. Insomma, pochi hanno seguito così dappresso l’evoluzione della normativa come “Nautica”, che ha chiesto al mondo politico quelle modifiche che i funzionari da soli, anche se ben disposti, non potevano dare. Si è puntato sulla volontà politica e i risultati alla fine sono venuti. Si pensi a quale vantaggio sia per voi diportisti non aver bisogno di attrezzature di sicurezza, se vi mantenete entro i 300 metri da terra, con qualsiasi unità navighiate, e di aver bisogno solo di pochissime dotazioni di sicurezza se vi mantenete entro un miglio. Per ottenere tale risultato, la rivista si è servita di un cavallo di Troia e l’ha trovato nel Regolamento di sicurezza del ’94 all’epoca vigente. L’aveva definito “un’occasione perduta”, perché in esso non erano state recepite le semplificazioni che i diportisti già richiedevano, ma fortunatamente conteneva una norma (l’art. 20) riguardante i mezzi di salvataggio che hanno ispirato le richieste di “Nautica” del novembre ’94. Il citato articolo 20, alle lettere c)e d) disponeva infatti: c) le imbarcazioni i cui proprietari facciano domanda di limitare la navigazione fino a 3 miglia dalla costa, non hanno l’obbligo di essere dotati di mezzi di salvataggio collettivi; il provvedimento è annotato sulla licenza ecc. d) i natanti in navigazione fino a 3 miglia dalla costa, nonché le imbarcazioni e i natanti in navigazione nelle acque interne non hanno l’obbligo di essere dotati di mezzi di salvataggio collettivi. Concettualmente, si accettava il principio che le dotazioni di sicurezza potessero non essere strettamente legate all’abilitazione alla navigazione dell’unità. Perché allora non allargare il concetto a tutto il resto? E la carta giocata dal mensile è risultata vincente. Così, ottenuto il “natantone”, cioè il natante a motore fino a m 7,50 (e a vela fino a m 10), uscì l’editoriale del novembre ’94, in cui si chiedeva, tra l’altro, “dotazioni di sicurezza dei natanti in funzione della distanza di navigazione” e anche la possibilità per i natanti di effettuare la “navigazione oltre le sei miglia”. Esso fu recepito dall’allora Ministro Fiori, che diede incarico alla Direzione Generale del Naviglio di procedere in tale direzione. Si deve riconoscere che mai proposta fu accolta tanto favorevolmente da una pubblica amministrazione, che sviluppò e completò, anche sul piano giuridico, l’idea di “Nautica” facendone un disegno di legge rivoluzionario, che, senza nulla togliere alla sicurezza, cercava di rendere più semplici gli obblighi cui erano sottoposti i diportisti. E col già citato Mucci, vanno ringraziati il Direttore della Divisione Nautica da Diporto, Notari e l’Ammiraglio Mario Biancucci, autore anche del prezioso Vademecum del Diportista che tuttora continua a mantenere aggiornato. All’indirizzo politico di Burlando, più aperto alla semplificazione, ha fatto seguito il nuovo Regolamento di Sicurezza della Navigazione da diporto che si allinea in toto allo spirito del legislatore; esso rappresenta un indiscutibile pilastro nella semplificazione della vita del diportista prevedendo che i mezzi i salvataggio e dotazioni di sicurezza per la navigazione sono commisurati alla distanza dalla costa. Ma un passo decisivo verso la semplificazione amministrativa l’ha compiuto la recente legge n. 172/2003, di riforma della nautica, che ha delineato un quadro di orientamento per la creazione di un sistema normativo autonomo, svincolato dal codice della navigazione. Con la realizzazione dell’autonomia normativa, attraverso un apposito codice, l’utenza della nautica avrà (almeno così doveva essere) a disposizione, in un unico corpo normativo, l’intera disciplina della navigazione da diporto. Tuttavia le cose non sono andate così poiché il codice della nautica, approvato con decreto legislativo 18 luglio 2005 n. 171, contrariamente ai principi dettati dal legislatore ha, invece, rinsaldato il legame con il codice della navigazione prevedendo all’art. 1 “che per quanto non previsto dal codice in materia di navigazione da diporto si applicano le leggi e i regolamenti ovvero le disposizioni del codice della navigazione”. E’ il caso di dire che la burocrazia non muore mai. In questo caso ha avuto la partita vinta sul legislatore. Con l’emanazione del regolamento al codice della nautica, approvato con decreto 29 luglio 2008 (entrato in vigore il 21.12.2008), è stato completato il quadro normativo della nautica, anche se devono essere ancora emanati i decreti concernenti i programmi di esami per il conseguimento delle patenti nautiche per il comando delle navi e delle imbarcazioni d diporto. Ma la nautica è sempre in evoluzione adattandosi ai tempi e alle norme internazionali. Nel corso del 2012 è stato esteso alle unità da diporto di bandiera extracomunitaria l’esercizio dell’attività di locazione e noleggio, a similitudine di quelle CE, e introdotto il nuovo art. 49bis al codice della nautica che consente di esercitare, in forma occasionale, l’attività di locazione e noleggio alle unità da diporto italiane, senza che la stessa costituisca attività commerciale. Questo articolo ti è piaciuto? Condividilo!
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