La tecnologia corre e le abitudini dei diportisti cambiano, ma le norme, le procedure e le attrezzature restano indietro. Perplessità sulle omologazioni e sui controlli. Ne parliamo con l’autore di “Mai più Mayday” e “La zattera di salvataggio”. libri L'articolo intitolato “Sopravvivenza: 30 ore in una zattera”, firmato dal nostro Nico Caponetto e pubblicato sul numero di gennaio di Nautica, ha – come sospettavamo e, francamente, speravamo – fatto parecchio rumore, tanto tra gli operatori del settore quanto tra i diportisti. Ezio Grillo In sostanza, il fatto che il mezzo da noi utilizzato per questo impegnativo long-test sia risultato non all’altezza della situazione, obbligandoci a interrompere la prova allo scadere delle 30 ore, invece delle 48 previste, ha in qualche modo fatto passare in secondo piano l’esperienza umana vissuta dai tre naufraghi volontari e posto in evidenza una serie di problemi che, invece, francamente, non ci aspettavamo.
zattera
Il lancio della zattera dal Columbia 50 ‘Knuddel’, lo sloop che Grillo utilizza per il charter.
Li riproponiamo sinteticamente, in ordine di apparizione: subito dopo il lancio, la mancata apertura della zattera nonostante i ripetuti “strappi” al cavo di collegamento (cosa poi risolta, ma mediante un intervento esterno); dopo l’imbarco dei tre tester, l’allagamento per infiltrazione di acqua di mare attraverso una scollatura tra fondo e tubolare inferiore; l’acqua della dotazione di sopravvivenza decisamente sgradevole (pur essendo risultata potabile ai successivi esami di laboratorio); le tute termiche inutilizzabili a causa dell’auto-agglomerazione del materiale con il quale sono state confezionate; soprattutto, il copioso ingresso di acqua piovana attraverso il tessuto del tendalino durante il forte temporale della seconda notte.

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